La prima donna meccanica di biciclette a Cagliari

17 Luglio 2025

[Rita Atzeri]

Occuparsi di costume significa raccontare la società, i suoi cambiamenti, le sue evoluzioni od involuzioni, significa contribuire a rendere vivo il nostro patrimonio di cultura materiale, una ricchezza di cui non siamo consapevoli fino a quando non arriva qualcuno  a risvegliare la nostra attenzione.

Per questa ragione abbiamo scelto di raccontare il coraggio, la determinazione e la straordinaria scelta di vita di una donna Kety Piras, la prima meccanica di biciclette donna della città di Cagliari. Ma cerchiamo di conoscere meglio lei ed il suo progetto, per farlo, l’abbiamo intervistata per voi.

Chi è Kety Piras?

Definirsi è sempre complicato. Le persone cercano etichette, categorie, ruoli precisi. Ma a me quelle definizioni stanno strette. Faccio tante cose, seguo progetti diversi, spesso tutti insieme. Per anni ho pensato che tutto questo entusiasmo e voglia di fare fosse un limite , oggi so che è semplicemente il mio modo di stare al mondo. Sono una donna che ha superato gli “anta”, sono nata e cresciuta nelle periferie e vivo a Cagliari e mi porto dietro una valigia piena di esperienze: dalla comunicazione all’attivismo ciclabile e culturale, dalla scrittura nei blog, alla grafica, alla mobilità sostenibile alla musica. Sono una ciclista urbana per scelta e una promotrice convinta di città più vivibili, più giuste, più lente. Mi sono anche diplomata all’Università di Verona proprio su questi temi. E sono soprattutto una che le cose le fa. Se manca qualcosa, non sto lì ad aspettare che arrivi: lo creo. Così è nato Cycle Hub — il mio progetto più concreto e più coraggioso. Non arrivo dal mondo del cicloturismo, ma ho costruito una ciclofficina indipendente con le mie mani, quasi bullone per bullone. Un luogo dove si riparano bici, sì, ma soprattutto si mettono in circolo idee, relazioni e possibilità. Cycle Hub è uno spazio in cui le biciclette — e le persone — vengono ascoltate. Dove le mani sporche di grasso convivono con le visioni più ambiziose. È la mia officina, ma anche la mia voce, il mio modo di credere che un’altra città sia possibile. Kety Piras è quella che cade, si rialza e riparte. Quella che ci mette la faccia, le mani, e soprattutto il cuore. E che continua a pedalare, anche quando la salita è dura.

Katy, come nasce la tua passione per le biciclette?

La prima bici tutta mia è arrivata tardi, a 15 anni. Me l’ha regalata mio cognato, che oggi non c’è più. Un regalo semplice, ma per me aveva il peso di una libertà nuova, finalmente mia, senza doverla chiedere in prestito alle amiche nei cortili di Mulinu Becciu, dove ero cresciuta. Non c’erano piste ciclabili, allora. Solo strade di periferia, qualche marciapiede sconnesso, e quella sensazione di essere fuori posto, come se pedalare lì fosse un gesto strano, fuori contesto. E in un certo senso lo era. Lo è ancora: nel mio vecchio quartiere le ciclabili non sono mai arrivate, e anche se oggi compaiono nei piani comunali, sembrano sempre promesse sospese tra la carta e l’asfalto. Ma io non ho mai smesso di pedalare. Anche quando ho avuto un’auto, anche quando ho preso la patente. Quel periodo è stato breve — due, tre anni al massimo — poi, nel 2022, ho venduto la macchina. Non mi somigliava. Era come vivere con una versione di me che cercava di adeguarsi, ma non ci riusciva. In bici, a piedi, o con il bus, invece, mi sono sempre sentita allineata. Con me stessa, con la città, con i suoi tempi (spesso imperfetti), con le persone. Nel 2021 è arrivato qualcosa di nuovo. Un desiderio più grande: capire, studiare, costruire. Ho iniziato a formarmi seriamente con l’associazione Donne. In bici e nel mondo della micromobilità urbana. Volevo imparare, certo, ma anche portare dentro quei progetti una voce come la mia, con la mia esperienza, i miei limiti, la mia rabbia e la mia voglia di trasformare. Quello è stato il punto di svolta. La bici non era più solo una cosa mia. Era uno strumento per fare spazio ad altre persone. Donne, ragazze, mamme, corpi che la città non vede, o non protegge. È da lì che nasce tutto quello che faccio oggi. Anche Cycle Hub. Non solo un’officina, ma un posto dove le biciclette — e le persone — possono sentirsi ascoltate, accolte, rimesse in strada. Perché sì, si può partire da un cortile di periferia

Un’ ultima domanda per te, quali sono i tuoi prossimi progetti

Ne ho tanti — come sempre. Alcuni sono già in moto, altri ancora in bozza, ma tutti tengono insieme ciò in cui credo: la bici, la cultura, la comunità e un certo modo di stare al mondo. Per l’associazione Donne in bici e micromobilità ASD APS (e il territorio). Con l’associazione stiamo lavorando a una nuova stagione di attività legate alla mobilità sostenibile, con un’attenzione particolare alle strade scolastiche , ai minori e agli adulti che vogliono imparare a pedalare per la prima volta . Ci sarà l’annuale pedalata dedicata alle donne ma sono tutt3 benvenuti una nuova edizione del progetto “Raggiosas Bike p.Ride”, che unisce bici, musica e orgoglio femminile,  in occasione della Giornata Mondiale senza Auto. Quest’anno si svolgerà in contemporanea in più cittadine della Sardegna. San Gavino Monreale e Città metropolitana di Cagliari.

Mentre sul fronte aziendale?

Sul fronte aziendale Cycle Hub è aperto da poco, ma i progetti sono già tanti: I piani di sviluppo sono già ben definiti e saranno sempre qualcosa che non abbiamo mai visto in Sardegna.  Mi piacerebbe molto iniziare una collaborazione stabile con chi fa cicloturismo: tour operator, guide locali, piccole strutture ricettive, offrendo loro uno spazio visibile e supporto tecnico. Dobbiamo fare rete se vogliamo creare qualcosa di spendibile nel mercato e smettere di andare da soli. Tante idee sono frullatore e le scopriremo con il tempo.

E sul piano personale?

Qui si fa più delicato, ma anche più vero. Voglio continuare a scrivere e pubblicare — sia articoli, sia contenuti più narrativi legati al mio vissuto da ciclista urbana. Vorrei portare avanti il progetto artistico che ho già iniziato, con nuove grafiche e magari unq mostra personale pensato per le donne in bici ma non solo. E ho realizzato a un podcast in radio che verrà lanciato a breve— ma non ne parlo troppo forte, che porta sfortuna. Soprattutto però, il mio progetto più grande è stare bene. Continuare a pedalare, ascoltare, cambiare ritmo quando serve. E fare in modo che quello che creo — come Cycle Hub — sia uno spazio che fa bene anche agli altri, non solo a me.

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