L’isola e il mondo

14 Ottobre 2025

[Amedeo Spagnuolo]

Quando studiavo filosofia alla “Federico II” di Napoli ricordo che all’interno del programma di esame di letteratura 1, nella parte monografica, era richiesto, in quell’anno accademico, lo studio delle caratteristiche fondamentali e originali della produzione letteraria di Grazia Deledda.

Allora gli esami, non me ne vogliano gli studenti di oggi, prevedevano lo studio di almeno tre – quattro tomi belli corposi da conoscere in maniera approfondita. Nella sola parte monografica bisognava studiare un saggio critico introduttivo all’opera letteraria della Deledda e due opere della stessa a scelta dello studente.

Ricordo che, grazie a quello studio piuttosto approfondito e alla passione del mio professore per la scrittrice sarda, cominciai anch’io a conoscerla e ad apprezzarla molto, col tempo poi dall’apprezzamento passai a un vero e proprio interesse per il mondo letterario della Deledda. Quando poi mi ritrovai a vivere a Nuoro, ripensando agli anni universitari napoletani e all’esame di letteratura 1, interpretai lo studio di allora della Deledda come un segnale premonitore relativamente a quello che sarebbe successo nella mia vita ovvero andare a lavorare e vivere proprio a Nuoro.

Arrivato in Sardegna però mi resi conto quasi subito dell’indifferenza e lo scarso interesse nutrito dal nuorese medio per Deledda ma anche per altri grandi esponenti della letteratura sarda, ormai considerati dei classici della letteratura non solo insulare ma dell’Italia intera come, ad esempio, Salvatore Satta con il suo sconvolgente “Giorno del giudizio”. In questo caso specifico sono stato, purtroppo, testimone diretto di alcuni giudizi pseudo critici provenienti non da persone prive di strumenti adeguati per esprimere giudizi più “ponderati”, al contrario mi trovavo di fronte a individui con una discreta cultura che però mi riferivano delle incredibili corbellerie come nel caso di Satta considerato da costoro addirittura un “pettegolo” che amava esclusivamente mettere in luce gli aspetti negativi della cultura nuorese.

Non sono ancora riuscito a spiegarmi in maniera esaustiva questa acredine dei nuoresi nei confronti dei loro autori più prestigiosi però, dopo tanti anni di letture e di studi, credo di essermi fatto un’idea piuttosto chiara delle cause di questo atteggiamento ostile. Diciamo che per comprendere bene le cause di questa ostilità bisogna partire da lontano. Cominciamo col dire che Grazia Deledda, la più importante scrittrice sarda di tutti i tempi, nata a Nuoro, per decenni ha visto la sua città voltargli le spalle, la cosa però più incomprensibile è che questo accade ancora oggi, infatti, dietro i riconoscimenti ufficiali e il museo a lei dedicato si nota ancora, tra una buona parte della popolazione nuorese, una certa diffidenza che come si diceva ha radici antiche.

Il primo aspetto che mi sembra importante sottolineare è che quando Deledda cominciò a pubblicare molti nuoresi non si riconobbero nella descrizione che la grande scrittrice fece della dimensione barbaricina. In romanzi come Elias Portolu e Canne al vento l’autrice parlava di una Sardegna selvaggia e chiusa in sé stessa, una terra e una cultura dominata dalla passione e dalla superstizione. In queste descrizioni c’era molto di vero, d’altro canto quelle descrizioni delineate dalla Deledda appartenevano, tra fine Ottocento e inizio del Novecento, a buona parte del territorio italiano con la differenza che in altri luoghi non ci fu la stessa ostilità nei confronti degli autori locali. In sostanza accadde che molti nuoresi si sentirono giudicati, quasi traditi da quella coraggiosa, giovane donna che non aveva paura di raccontare, fuori dai confini della Sardegna, le miserie umane e materiali che si annidavano nell’isola.

Ma esiste un luogo immune da colpe e miserie? Assolutamente no, e allora perché non raccontarle se il racconto può aiutare a mitigare il dolore? Non bisogna poi dimenticare che Deledda aveva vissuto in una società ancora patriarcale che non vedeva di buon occhio il successo planetario, culminato con il premio Nobel del 1926, di una donna. Ci sono voluti molti anni affinché Nuoro cominciasse a guardarla con affetto e riconoscenza. Insomma in molti hanno capito che la grande scrittrice non voleva offendere bensì voleva solo salvare Nuoro, “la città di pietra”, attraverso la letteratura facendo della durezza della sua terra un mito universale.

Per come la vedo io Grazia Deledda ci ha lasciato una grande lezione che non vale solo per la Sardegna e che si può sintetizzare in questo modo: per amare veramente un luogo, una terra, una città bisogna essere molto coraggiosi perché prima è necessario raccontarne le ombre. Ancora più dura fu l’accoglienza che ricevette Il giorno del giudizio di Salvatore Satta.

Il romanzo, infatti, si sofferma soprattutto sui lati oscuri e grotteschi della comunità nuorese, alcuni personaggi e luoghi sono riconoscibili e questo mise molto a disagio una parte della popolazione nuorese che non amava essere “messa a nudo”. Se però questa ostilità era in parte comprensibile negli anni in cui uscirono i romanzi di questi due grandi autori sardi, i lettori a quel tempo, probabilmente, non erano ancora pronti ad accogliere un’autocritica così forte, oggi, dal mio punto di vista, è inammissibile.

Purtroppo posso testimoniare personalmente che in molti sardi ancora resiste questa ostilità nei confronti di due grandi maestri della letteratura come Satta e Deledda che hanno lasciato un’eredità immensa non solo dal punto di vista letterario, ma dal mio punto di vista, soprattutto per ciò che riguarda la loro stupefacente sensibilità artistica che gli ha consentito di scavare nella miseria umana che, è bene ricordarlo, non è una prerogativa sarda, ma che appartiene a tutte le società del mondo, anche se in maniera diversa.

Forse è questo quello che dovrebbero comprendere i detrattori della letteratura di Deledda e di Satta, la potenza del loro messaggio è tale che è riuscito a valicare il mare rendendosi universale e condivisibile anche da chi sardo non è.  

La vita passa e noi la lasciamo passare come l’acqua del fiume, e solo quando manca ci accorgiamo che manca. (Grazia Deledda)

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