I sotterranei

16 Novembre 2009

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Marcello Madau

I lavori di pavimentazione di Piazza Castello, a Sassari, stanno per concludersi. Sotto il piano della città gli spazi ritrovati del castello medievale si snodano per centinaia di metri. Incrociamo archeologi e operai con carriole, quasi fosse un lavoro di miniera. I conci sono ben connessi, vediamo modanature raffinate e grandi proiettili in pietra. I paramenti murari delle torri, bugnati, sono quelli che conoscevamo da qualche foto d’epoca e dalle preziose tempere liberty visibili nelle case dipinte della città. Dai punti luce l’orizzonte è cambiato. Dopo centrotrenta anni la città si è alzata di qualche metro.
Si tratta dei ruderi imponenti del Castello aragonese raso al suolo nel 1877: furono le esigenze espansive della nascente borghesia sassarese, che cercava nuovi spazi edificatori e di rappresentanza, che portarono in pochi decenni alla radicale eliminazione – fenomeno comune nell’Ottocento europeo – della città murata e di antichi, ma poco funzionali ed ingombranti edifici.
Ma non c’è solo il castello. La trama corre in sotterranea dal Quattrocento al Seicento all’Ottocento alla Seconda Guerra Mondiale, con le suggestive tane di un rifugio antiaereo. Sviluppi, abbandoni, contrazioni, restauri. Un palinsesto degli ultimi sei secoli, e di esso fa parte anche quanto costruito dopo il 1877, sino alle brutture degli anni Sessanta: pur sempre città. L’eccezionale prigione – forse l’unica realmente tangibile ai giorni nostri – di quell’Inquisizione che, attraverso il dominio spagnolo, non mancò di farsi sentire anche in Sardegna.
Parte della piazza verrà risparmiata per mettere in evidenza l’area archeologica. Entro la nuova pavimentazione una scala condurrà verso la Sassari scomparsa.
C’è chi ricorderà che all’inizio dei lavori sembrava impossibile, nelle ostinazioni di qualche assessore, anche solo segnare in superficie (ovvero sulla pavimentazione) l’esistenza della memoria. Perciò la discussione, anche aspra, è pure servita a qualcosa, e un assetto politico di ispirazione democratica ha in qualche modo reagito positivamente. La Nuova Sardegna ha seguito con grande attenzione il tema.
E la città – attraverso se vogliamo il rituale un po’ mediatico degli sms alla ‘Nuova’ – ha risposto con centinaia di interventi. Ma solo sul giornale. Sublimando un vero dibattito pubblico che avrebbe potuto collegare esposizione e confronto ad un concorso di idee che non si è voluto suscitare. Davvero una lacuna grave, un difetto di democrazia partecipata.
Per tempi e logica di una politica che mira a periodiche riconferme elettorali discutere pubblicamente, riflettere, elaborare i tempi di un confronto ed una scelta culturale deve apparire come un’orribile perdita di tempo. Non potendo evitare un monumento ingombrante, la via più veloce è l’affidamento diretto con il diretto coinvolgimento della Tutela. Il modello virtuoso di separazione degli ambiti di controllo e progettuale, con l’evidenza pubblica di quest’ultimo, è utopia frantumata. Altro che avvalersi di quel confronto di competenze che interagisce con i cittadini producendo esiti progettuali (nella stessa Sassari, portò ad un vivo e migliorativo confronto proprio per la risistemazione della Piazza d’Italia, evitando anche gravi errori e qualche bruttura).
Non si è voluto tener conto pienamente delle esperienze realmente maturate nel settore e delle competenze degli archeologi per il punto più alto mai avvenuto dell’archeologia urbana sassarese. Qualcuno dirà di nuovo che sono stati coinvolti archeologi e architetti della Soprintendenza. Ma non basta affidarsi alla ‘semplice’ tutela, pur interpretata da ottimi operatori. La discussione, e il campo culturale sono un po’ più ampi, tra istituzioni di ricerca e artistiche, semplici professionisti e associazioni culturali e professionali. Ci racconta Roberto Schirru, combattivo consigliere comunale ambientalista eletto con ‘Progetto Sardegna’”, che ha preso a cuore la questione:
Fin dall’inizio dei ritrovamenti, chiesi all’allora assessore ai Lavori Pubblici Luigi Lotto di lanciare subito un Concorso d’idee per riorganizzare la piazza. La proposta fu bocciata sul nascere per via del fatto che i lavori di risistemazione della piazza rientravano sempre sotto il pool di professionisti già incaricati (Lubiani e co.), di conseguenza erano essi a dover “ripensare” la piazza. Impossibile qualsiasi Concorso d’idee. Alla fine si arrivò a dare –d’ufficio- la progettazione all’architetto Dettori, che insieme al prof. Gabrielli ha creato il PUC di Sassari; la bozza che verrà visionata per la prima volta questo martedì 17 (ma già approvata in Giunta), prevede una copertura con vetro sul lato del giardinetto e un “poggio” con tanto di giardino, area-verde sull’altro. L’idea sembra buona. Quello che invece lascia ancora perplessi è il fatto che non sia ancora “ovvio” (all’interno del tiepidissimo dibattito politico in merito), il fatto che il rifugio anti-aereo debba essere messo in comunicazione con il fossato del castello, creando un percorso”.
La palma che si sovrappone al ‘rifugio non sarà spostata (eppure, mi dicono in cantiere, si potrebbe fare senza sacrificarla e a costi irrisori).
La rimozione della palma posta di fronte al Grattacielo vecchio – continua Schirru – e lo scavo di ca. 4 metri di terra al di sotto, creerebbe un percorso storico-museale “chiuso”, che –di colpo- renderebbe la piazza il sito storico-archeologico più importante di Sassari: diventerebbe una tappa obbligata, un “tour sotterraneo” per centinaia di turisti e i primi a goderne sarebbero i commercianti limitrofi che adesso “soffrono” per i lavori”.
Rischia anche di non essere realizzato il percorso che conduce dai ‘sotterranei’ di Piazza Castello al suggestivo prospetto dell’antemurale emerso in Piazza Cavallino de Honestis, davanti a un ristorante. Un percorso naturale nella stessa articolazione interna del maniero aragonese. Anche in questo caso ci auguriamo che la fretta non sia cattiva consigliera.
Ovviamente, occorre che anche l’ingresso da piazza Cavallino de Honestis sia accessibile, in modo da articolare un percorso con ingresso dal rifugio antiaereo, posto di fronte alla caserma -già pronto- ed uscita sulla piazzetta o viceversa. Si passerebbe dalla Sassari bellica a quella aragonese in 600 metri, e una corretta musealizzazione del “tour sotterraneo”, sarebbe in sintonia con lo “zibaldone sopra terra” di piazza Castello, che vede alternarsi: neoclassico piemontese, liberty, razionalismo post-bellico, “grattacielo” anni ’60 e il contemporaneo palazzo del Banco di Sardegna. Non si tratta di “disordine urbano” bensì di “stratigrafia storica e architettonica” che va valorizzata, evitando penosi tentativi kitsch di farne una piazzetta pseudo-umbertina in pieno 2000.
Alla politica è richiesto di mettere l’ultima oncia di coraggio sulla piazza, ed aprire il percorso sotterraneo, da subito; un’oncia di coraggio inferiore, rispetto alla rivoluzione –encomiabile- che questo sindaco ha già fatto per questa area. Occorre “chiudere il cerchio”.
Credo invece, come si sta vociferando, che sia sull’ingresso-uscita su piazza Cavallino che sul rifugio, vengano messe due botole, apribili “giusto per le grandi occasioni”, non venga riaperto il collegamento tra il rifugio e il fossato del castello, con buona pace della “totale fruibilità del percorso sotterraneo” Sarebbe un grosso errore, e perdita per tutta la città, soprattutto per quelle categorie che tanto hanno osteggiato il lavoro degli archeologi e per la nostra memoria storica
.”
Si avvicinano le luminarie di Natale e le preoccupazioni elettorali. Ma non tutti vogliono abbandonare la discussione, che sta per partire anche nella sezione Sardegna dell’Associazione Nazionale degli Archeologi. Questa grande occasione di storia e archeologia urbana sassarese, non limitata a pochi lacerti murari, può certamente essere spesa meglio, in direzione di una città migliore che scelga di ricomporre con pienezza la propria identità, rendendola a cittadini e visitatori.

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