Ritornare a Ippocrate

1 Ottobre 2020

[Roberto Paracchini]

“Qual è la cosa più importante in medicina? Non è tanto che malattia ha quel paziente, ma chi è quel paziente che ha quella malattia”, affermava Ippocrate (460-370 a.C. circa).

Chiunque abbia avuto a che fare con un ricovero ospedaliero potrebbe testimoniare (salvo rarissime eccezioni) che non è lo spirito ippocratico quello che guida il funzionamento di queste strutture. E nemmeno quello che informa gran parte degli specialisti e buona parte dei medici di base. Ma la logica del sistema sanitario in cui le professioniste e i professionisti sono inseriti porta lontano da Ippocrate. Si tratta infatti di una logica che erige a monte un’idea della medicina quasi del tutto (se non esclusivamente) finalizzata all’individuazione della malattia, parallelamente però a una totale sottovalutazione del malato nella sua individualità; così compromettendo spesso la correttezza della diagnosi.

Ed è proprio sulla discussione di questo paradigma e sulla necessità di superarlo che si incentra il bel libro “Ritornare a Ippocrate. Riflessioni sulla medicina di oggi” (Mondadori Università) di Enrico Facco e Silvano Tagliagambe. Medico, il primo, docente di anestesiologia e rianimazione, studioso della scienza della coscienza, autorevole esperto di ipnosi, meditazione e filosofie orientali; professore emerito di filosofia della scienza, il secondo, tra i maggiori epistemologi contemporanei, studioso dei linguaggi di intermediazione, della meccanica quantistica, Florenskji e filosofia della mente. Entrambi concentratisi, negli ultimi anni e pur con itinerari differenti, sul mondo delle neuroscienze.

 Attenzione, però, come sottolineano gli autori, la posizione “sintetizzata nel titolo, che parla della necessità di riscoprire e tornare a Ippocrate, non va confusa con un atteggiamento ostile alla scienza, la tecnologia e l’innovazione; al contrario, il proposito degli autori va esattamente nelle direzione della concezione più rigorosa ed epistemologicamente ben fondata della scienza”.

 Nel libro in quasi 400 pagine di attente e intriganti riflessioni viene smontato il paradigma oggi egemone nelle scienze mediche, quello che si basa su una considerazione esclusivamente logico-analitica, che non tiene conto di una visione complessiva del paziente. E per farlo gli autori partono da Ippocrate e dalla cultura presocratica, da quella conoscenza sapienziale e olistica che affonda le sue radici in tempi anche più remoti e trova collegamenti col taoismo e il buddismo. Tutti saperi che nella valutazione della salute esaminavano (ed esaminano) non solo gli aspetti visibili del paziente, ma anche quelli invisibili ma non meno reali, quali lo stato interiore formatosi nel rapporto dell’individuo con l’ambiente.

 Un itinerario, quello sviluppato da Facco e Tagliagambe, affascinante per la ricchezza degli stimoli e le prospettive che apre. Un viaggio-ricerca che ripercorre gran parte della cultura e contemporanea: da Einstein a Rovelli, da Kant a Jung, da Pauli ad Heidegger, da Derrida a Edelman (solo per citarne alcuni). Un percorso rigorosamente documentato che sollecita un bagno di umiltà per l’attuale paradigma indiscusso delle scienze, il procedere logico-analitico intriso di cultura positivista e deterministica. Di contro nel libro viene ricordata la rivoluzione, anche concettuale, prodotta dalla meccanica quantistica, che mostra i limiti della logica classica (del terzo escluso) qualora si vogliano affrontare importanti settori della realtà, dalle micro particelle allo studio della coscienza. Il che non significa, precisano gli autori, che il metodo classico logico-analitico non sia importante, ma solo che vi sono ampi settori della realtà dove non basta e rischia di essere controproducente, come in molti ambiti della medicina.

 Oggi, sottolineano, sono le stesse neuroscienze con le moderne tecniche di neuroimaging a mostrare come, ad esempio, il così detto effetto placebo o il suo contrario, il nocebo (ampiamente utilizzati per testare l’attendibilità dei nuovi farmaci) abbiano dei riscontri precisi nel nostro cervello, divenendo quindi determinanti nella guarigione o meno del paziente. Probabilmente (quando e se è capitato) ci si è sentiti meglio dopo aver incontrato un medico che ci ha fatto parlare e, magari, rassicurati su alcune paure soggettive per la nostra salute. Nel contesto medico attuale, in cui le insicurezze trovano terreno fertile, si rischia infatti e spesso di rasentare l’ipocondria, con effetti nocebo sulla salute anche pericolosi.

 Cambiare il paradigma implica il passaggio dalla malattia al malato; il che non solo può condurre a una conoscenza più completa della stessa malattia, a virtuosi effetti placebo (che lo stesso metodo logico-analitico considera reali e non immaginari), ma anche all’autoriflessione del paziente. Passo, quest’ultimo, rilevante perché apre a un altro importante argomento, la meditazione, ben conosciuta nelle culture sapienziali e olistiche del passato. Pratica di riflessione, però e pur con prove neuroscientifiche sulla sua efficacia, tutt’ora pochissimo valorizzata nell’attuale pratica medica in quanto implicherebbe un rapporto medico-paziente completamente diverso da quello usuale.

 In sintesi il paradigma fisicalista andrebbe contenuto in generale, ma soprattutto nelle riflessioni interne alla medicina dove, dalla biologia alla pratica medica, si evidenzia la necessità di una visione olistica. Un approccio, quindi, in cui diventa prioritaria l’interrelazione tra i vari elementi  che assumono le loro funzioni proprio grazie a queste interconnessioni e che permette uno sguardo reciprocamente inclusivo tra corpo e spirito (leggasi coscienza). Scenari decisivi per una conoscenza medica più rigorosa e, conseguentemente, per la salute del paziente.

 L’analisi della coscienza, argomento sempre più all’attenzione dei neuroscienziati, necessita di categorie e logiche differenti da quelle del terzo escluso, come ad esempio nella dialetheia, in cui A è vera e anche non-A è vera; o nella logica fuzzy, in cui contrariamente alla logica binaria è possibile assumere tutti i valori intermedi. La scienza medica, invece, sottolineano gli autori, è tutt’ora egemonizzata dalla separazione cartesiana tra res cogitans da una parte e res extensa dall’altra. Divisione che ha creato due mondi ontologicamente diversi e incomunicabili. Diversità fatta poi propria dalla chiesa cattolica che ha strettamente tenuto per sé lo spirito, lasciando alla scienza la res extensa. Quadro negativo che nel XVIII secolo è stato ulteriormente accentuato dal completamento del distacco della scienza dalla filosofia. Da cui il predominio indiscusso del paradigma logico-analitico.

 Oggi, infine, il passo verso un futuro medico più efficiente e responsabile passa per il ritorno a Ippocrate che sembra aver anticipato la dichiarazione dell’OMS: “La salute è uno stato di benessere completo, fisico, emotivo e sociale e non una mera assenza di infermità”.

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