Rovelli antichi e recenti

1 Aprile 2009

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Franco Tronci

Uno. Viene quasi spontaneo provare una fastidiosa sensazione di autolesionismo di fronte alla tendenza alla divisione e alla frantumazione dei dirigenti della Sinistra nonostante le reiterate dichiarazioni di volontà unitaria e alle minacciose scadenze che rischiano di cancellarla definitivamente dal panorama politico nazionale.
Due. Neppure la proposta pragmatica di un cartello elettorale appare risolutiva. Il richiamo all’unità trova un insuperabile ostacolo nella ricerca dell’identità e nel rimpianto del proprio passato (ivi comprendendo la nostalgia per i simboli che hanno accompagnato la storia di ciascuno e che non sottovaluterei con ironiche, sbrigative, pubblicitarie proposte).
Tre. L’elemento dotato di maggiore resistenza alle soluzioni unitarie mi pare l’affezione ad uno strumento dell’agire politico che ha giuocato un ruolo non insignificante dalla seconda metà dell’Ottocento in poi. Trattasi della forma-partito come risolutiva delle questioni dell’identità ideologica, dell’elaborazione programmatica, dell’aggregazione e del consenso, della crescita individuale e collettiva, dell’esercizio della democrazia. Soltanto aggregazioni puramente mirate all’esercizio del potere, come il PD e il più recente PDL, possono sorvolare sulla sostanza e sulla organica coerenza di un simile strumento.
Quattro. Un esempio significativo ce lo offre la storia, tutto sommato recente, dei Verdi che faticano anch’essi a rinunciare alla forma-partito nonostante il fatto che i valori ecologistici e i programmi di tutele dell’ambiente attraversino (dove più dove meno) la totalità degli schieramenti politici.
Cinque. La rinuncia ad uno strumento insieme identitario e propagandistico risulta certamente più difficile per quelle forze che, a partire dal Manifesto di Marx ed Engels, si sono richiamate alla filosofia della prassi e si sono dichiarate antagoniste del sistema di valori della borghesia, di una concezione individualistica dell’agire politico e, persino, di ideali anarchici per quanto anticapitalistici.
Sei. Mi pare, anche prendendola alla lontana, che esista, all’interno di quella che, genericamente, chiamiamo Sinistra, una questione comunista per la quale il problema della forma-partito mantiene una rilevanza e una durezza imprescindibili. E ciò spiega, sia detto senza ironia, come anche le frazioni più piccole del già piccolo universo comunista non rinuncino a chiamarsi partito e a produrre tutto l’armamentario (Comitato Centrale, Ufficio Politico, Direzione, Segreteria, ecc.) che la tradizione ha lasciato in eredità.
Sette. Nel recente dibattito politico qualcuno ha avanzato la proposta di rinunciare (lo ha fatto, ad esempio la Link in Germania) alla forma partito come strumento identitario e disciplinato da regole rigide di appartenenza, per sostituirlo semplicemente con un punto di vista /culturale e ideologico che concorre, insieme ad altri, a determinare l’alternativa al modello di società capitalistica.
Il discorso non sembra voler fare molti passi in avanti poichè da troppo tempo è venuta a mancare l’abitudine ad una analisi approfondita dei fatti nonostante le trasformazioni epocali a cui il pianeta è andato incontro.
La domanda inevasa è, infatti, la seguente: si può essere comunisti oggi (e pretendere, perciò, di trasformare in senso egualitario la società) senza uno strumento come il partito? semplicemente diluendosi in un aggregato di forze progressiste che chiamiamo Sinistra?
“Si può essere comunisti anche senza partito”. Con queste parole Aldo Natoli concludeva il suo intervento al Comitato Centrale del PCI che avrebbe decretato la radiazione dei compagni de il manifesto. Sul piano individuale sono ancora perfettamente d’accordo; su quello collettivo avrei più di un dubbio.
Otto. La domanda non sembri ingenua e le possibili risposte non sembrino facili. Lo dimostrano le numerose pubblicazioni che pure vengono, come ricordava Rossana Rossanda, dedicate al pensiero di Marx ed alla storia del Comunismo. Due date, in particolare, il 1917 e il 1989, sembrano imporsi all’attenzione in quanto legate a due fatali momenti della storia del movimento comunista del Novecento: quello che avrebbe condotto alla scelta del socialismo in un solo paese (l’Unione Sovietica) e all’obbligo della difesa della ‘fortezza assediata’ prima e all’implosione dell’URSS, per effetto della caduta del Muro di Berlino poi. E vale la pena di ricordare come, per la prima volta nella storia, un impero che si estendeva dall’Europa centrale all’Oceano Pacifico si sia sciolto senza un grande spargimento di sangue, quasi per esaurimento della propria forza vitale.
Nove. Il panorama, tuttavia, non si esaurisce nella rivoluzione bolscevica e nella sua conclusione. Riflessioni a parte meriterebbero altre esperienze che si richiamarono (ed ancora insistono) al pensiero comunista: la Cina, Cuba, il Vietnam, la ‘terribile Cambogia di Pol Pot’. Tutti paesi che, contraddicendo il pensiero di Marx, iniziarono un processo di trasformazione senza essere transitati attraverso l’esperienza del Capitalismo avanzato. Farebbero parte della nostra riflessione anche le esperienze che, genericamente, definiamo socialdemocratiche (come quelle dei paesi scandinavi) e persino gli abbozzi di ‘via nazionale al socialismo’ prodottesi in Ungheria, Cecoslovacchia, Italia, Spagna, Francia e tutti i tentativi di distinguersi dalla casa madre.
Dieci. Si tratta, dunque di recuperare il prezioso tempo perduto programmando, con l’utilizzazione di tutti gli strumenti che la tecnologia mette oggi a disposizione, una lunga stagione di ricerca e dibattito senza trascurare nessuno dei punti nodali utili alla costruzione di una società alternativa: a) l’economia (che cosa ha distinto i rapporti di produzione in una società a economia statalizzata e centralizzata?); b) le forme della democrazia (i ruolo delle istituzioni e dei partiti, nonchè dei sindacati, debbono sempre restare distinti?); c) la qualità della vita (come devono essere la scuola, la sanità, la giustizia in una società senza classi?); d) lo stato della ricerca, delle scienze e delle arti (è mai possibile che un partito imponga la sua idea di letteratura, di musica, di cinema,ecc.?).
Undici. Soltanto uno scavo in profondità e non riservato a piccole realtà elitarie può consentire alla Storia di essere ‘maestra di vita’. E rendere evidente come da un sistema autoritario si possa uscire sia da destra che da sinistra. E che il Muro è caduto dalla parte sbagliata. E che il velleitarismo di Gorbaciov stava per consegnare ai più potenti e furbi membri della nomenklatura le immense ricchezze dell’Urss, e così via. Una università della Gran Bretagna ha recentemente concluso una sua ricerca dimostrando che gli abitanti della Russia di Putin hanno un’aspettativa di vita di cinque anni inferiore di quella degli abitanti della defunta Unione Sovietica.
Dodici. Non ci possiamo nascondere che una simile prospettiva deve prendersi il tempo necessario. Non sarà poco. Per il futuro prossimo e per il tempo medio dell’impegno politico saranno, comunque obiettivi da non perdere di vista: mantenere viva la consapevolezza della natura conflittuale della società capitalistica. Mai come in questi giorni di crisi profonda del sistema si era sentito, da parte dei lodatori dell’economia di mercato, parlare tanto di spiriti animali del capitalismo. Anche le crisi possono essere di qualche utilità: il caldo di questa potrebbe offrire il clima utile per avanzare alcune ‘modeste proposte’ di società alternativa. Le esperienze recenti, infine, sconsigliano qualsiasi appetito di partecipazione a governi di larghe maggioranze.  Nel breve e nel medio periodo, nel paese e nelle istituzioni, il posto dei comunisti non può essere che all’opposizione.

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