Teatro e comunità all’Orto Giardino Mariposa de Cardu nel segno di Francesco Origo
24 Giugno 2025[Rita Atzeri]
Tre giorni di teatro, memoria e visioni all’insegna dei Teatridimare e della Compagnia Càjka, negli spazi dell’Orto Giardino Mariposa de Cardu, a Quartucciu, con Alessandro Berti, Francesco Piras, Ivan Fantini e la Banda Sbandati, si sono svolti dal 19 al 21 giugno scorsi.
Dopo la scomparsa del suo fondatore, avvenuta nel 2022, la Compagnia Càjka porta avanti il suo tradizionale percorso artistico intrecciando teatro, riflessione e comunità. Quest’anno, infatti, l’inizio della rassegna c’è stato un momento speciale dedicato alla vita e all’esperienza artistica di Origo. Un momento di aggregazione che ha composto, tra i riflessi del solstizio d’estate, un mosaico di voci, storie e teatro condiviso.
“Dialoghi su Francesco Origo e il suo sogno su vela”, che ha aperto la tre giorni venerdì 19 giugno è stato un incontro corale di parole, ricordi e aneddoti dedicato al percorso artistico e umano del fondatore dei Teatridimare. Protagonisti della serata sono state due voci d’eccezione del panorama teatrale italiano: Alessandro Berti e Francesco Piras, impegnati in un dialogo condotto dal giornalista Massimo Moi. Un rito laico, collettivo, per ritrovarsi, abbracciarsi e celebrare insieme il teatro come comunità viva, hanno scritto gli organizzatori nel presentare l’iniziativa e complimenti a loro, sono riusciti perfettamente nel loro intento.
I presenti hanno riso, si sono commossi, hanno ancora una volta ribadito la grandezza dell’uomo, del maestro, dell’amico. E gli amici presenti che non sono voluti mancare all’omaggio per Origo erano tanti, la parlamentare Francesca Ghirra, Enrico Incani, Giuliano Pornasio, Ilaria Zedda, Tiziana Pani, Daniel Dwerryhouse, tutti attori che Origo ha portato in scena.
Alessandro Berti ci ha regalato aneddoti preziosi sul maestro Origo all’Accademia di Genova, ci ha fornito una chiave di lettura del “suo parlare” per capire, lui per primo, trovare la via. Origo con i suoi vettori contrari, sempre imprendibile, che agli attori ricordava di vivere e agli allievi dentisti faceva comprendere la sacralità del teatro.
Origo e il mare. Quel mare che non si può raccontare. Quel mare in cui si sentiva a casa, finalmente libero dall’ansia. La rabbia, ce la racconta “Mazzarino”, Massimo Moi, perché il mancato riconoscimento, la memoria corta, sono ferite aperte.
La seconda giornata di venerdì 20 giugno ha visto in scena lo spettacolo “Negri senza memoria” di Alessandro Berti, monologo vertiginoso e coinvolgente che affronta il rapporto complesso tra italiani e afroamericani: un intreccio di ipocrisie, solidarietà, diffidenze e attrazioni, raccontato con forza e poesia da un attore e regista di statura nazionale.
Alessandro Berti è un Gigante.
Il suo spettacolo ha incantato e graffiato l’anima.
Gli italiani immigrati in America nei primi del Novecento erano considerati pericolosi come i “negri” e se qualcuno ti considera pericoloso alla fine sei in pericolo.
Una storia che si ripete che rimanda al diritto di difesa preventiva, che oggi giustifica il genocidio del popolo palestinese.
Alessandro Berti in scena danza quasi senza muoversi dilata il tempo e lo spazio col frinire dalle cicale nella gola e l’immagine di quella giovane donna, nera, che deve fare 60 km per stare un’ora col figlio neonato che le è stato strappato dal seno, per poi essere di nuovo alle 5 del mattino in piantagione con gli altri.
“Perché i nigri nun ce l’hanno il senso della famiglia, noi italiani sì”. Berti gioca con le lingue, siciliano, veneto/lombardo, inglese per parlare della Terra di qua, l’Italia che deve emigrare, e della Terra di là, l’America che accoglie o respinge a seconda che tu sia “normanno” del Nord Italia o “iberico” del Sud dell’Italia.
E canta Berti con una voce impastata di dolore e d’amore e ci racconta una storia, lui uomo colto, filosofo – scrittore, dimenticata. La storia di un’America che un compositore, ebreo, comunista vede come casa se il colore della pelle del suo vicino conta quanto il suo.
Questo non è gran teatro, è teatro, il teatro non può che essere questo, tutto il resto è fuffa, omologazione borghese al politicamente corretto adatto ad un pubblico sinistroide e radical chic, acquiescente e responsabile delle catastrofi del mondo contemporaneo tutto intento com’è, solo a celebrare sé stesso.
Una serata magnifica, a cui hanno preso parte amici impareggiabili di Origo, l’attore Enrico Bonavera, il regista Enrico Pau, Basilio Scalas, presidente del Teatro Stabile della Sardegna.
A chiudere la tre giorni sabato 21 giugno è stata l’originale e sorprendente “Sagra per F | Prendete quel che volete, mettete quel che potete” di Ivan Fantini. Scrittore per urgenza e cuoco eterodosso, Fantini trasforma il cibo recuperato dagli scarti in un gesto artistico e politico. La serata si è aperta con la proiezione del film “Cosa c’è di strano in tutto questo?” (regia di Mauro Bartoli), dedicato proprio all’esperienza del cuoco-scrittore, ed è proseguita con due cortometraggi: “Ri~fioriture” e “Sesso e anarchia”. Il tutto è culminato in una performance gastronomica e letteraria, tra letture, riflessioni e canzoni anarchiche eseguite dalla Banda Sbandati.
L’ Orto Giardino Mariposa de Cardu, zattera di Resistenza a cui ci aggrappiamo con tenacia, ha visto navigare a terra, dunque, Ivan Fantini, che con il suo esempio di vita ci ha fatto prendere il largo.
Ivan, cuoco, poeta scrittore, nato comunista diventato anarchico fino a che qualcuno non dice di esserlo, allora smette lui, con la sua vita è rifiuto del capitale, rifiuto del consumismo, rispetto della natura, relazione vera profonda.

Ivan, un cuoco famoso, affermato, osannato, chiude la sua osteria, quando le regole del mercato imponevano di smettere la relazione con quel mondo di produttori genuini che facevano la differenza nei suoi piatti. Sanificazioni, HACCP, mal si sposano con il mondo contadino vero.
Ivan lascia quel sistema in cui non crede e decide di vivere dando valore a ciò che il capitale scarta, l’in venduto, che lui baratta con i cibi che ne prepara: estratti, marmellate, sottaceti, conserve, cene.
Al bosco storto dove stà, coltiva, accudisce le galline, cucina, pratica il baratto ed organizza delle cene: prendete quel che volete, lasciate quel che potete è il suo motto.
Ivan vomita scritti meravigliosi che legge durante le sue cene. Un editore fallito se ne innamora vuole pubblicarle ma non ha i soldi e allora parla. Parla con due amici contadini, marito e moglie, forse, lui ha la soluzione, “ammazziamo una vitella e facciamo una festa”.
E così con gli hamburger della festa il libro si pubblica, tiratura 300 copie: cento pagano le spese della pubblicazione, altre 200 restano ad Ivan e consentono la pubblicazione di altri due scritti.
” Per il resto tutto bene”, ti risponde questo genio quando gli chiedi come stai.
Ieri, Ivan ha cucinato per noi ed abbiamo conosciuto “l’abbondanza della povertà”.
Abbiamo mangiato piatti preparati con quello che il capitale porta a buttare. Piatti cucinati con sapienza, rispetto, professionalità.
Su di Ivan sono stati girati corti, film documento, che ieri abbiamo avuto la fortuna di vedere, in parte.
Ma soprattutto abbiamo avuto la fortuna di stare con un uomo che ti buca dentro. La fortuna di ascoltarlo. Prima della proiezione legge una poesia di un poeta palestinese, pochi versi che parlano di un padre ucciso mentre porta un sacco di farina per la famiglia e di una figlia che per tutta la vita mangerà un pane intriso di sangue.
Ivan, che ha l’impudicizia di dire la verità, di parlare di cibo che è diventato pornografico nel suo consumo, nella sua preparazione, nella sua presentazione. Ivan, che ci racconta della nonna. Ivan oggi gira l’Italia, invitato a destra e manca per raccontare il suo essere anti capitalista, la sua vita.
Nello spirito del dono abbiamo invece potuto ascoltare i “compagni” della Banda Sbandati. Ora e sempre Resistenza. Teatridimare proseguirà poi a luglio, stavolta a fare da palcoscenico saranno le saline Contivecchi. Firma la direzione artistica di questa edizione dei teatri di mare Barbara Usai, che dimostra di saper condurre con sapienza l’imbarcazione Càjka. Origo sarebbe fiero.