Transfemminismo intersezionale, la strada per una società più giusta
18 Ottobre 2025[Liliana Golosio]
Quando oggi si parla di pari opportunità troppo spesso si fa solo riferimento alla parità di genere intesa come diritto delle donne di veder riconosciuto il loro ruolo nella società.
Un giusto riconoscimento del lavoro di cura nell’ambito domestico, norme atte ad agevolare la partecipazione delle donne all’economia ed alla vita politica o a superare divari reddituali. Ma la riflessione sulle pari opportunità deve essere ben più ampia, profonda e radicale.
Le tesi storico-filosofiche che, partendo dal femminismo storico attraversano il transfemminismo ed approdano alla teoria gender, devono fare da ideologia su cui basare l’agire politico contemporaneo.
Le istanze che arrivano da una parte importante della società civile rientrano in quello che viene definito transfemminismo intersezionale, movimento che si rifà ad un concetto coniato nel 1989 da Kimberlé W. Crenshaw e che si sviluppa a partire dagli anni ‘90 e affronta le diverse forme di oppressione che si intersecano tra loro: molteplici e simultanee forme di oppressione agite sulle persone, ad esempio razzismo e omofobia, sessismo e abilismo, ageismo e misoginia.
Il transfemminismo intersezionale è un movimento che lotta contro tutte le discriminazioni esistenti nella società, analizzando non solo la formazione dei dispositivi normativi, ma le forme di potere che ne stanno alla base.
Come ben si può comprendere la portata di queste istanze è vastissima e non si limita alla richiesta di diritti che proviene dal “mondo” LGBTQIA+.
In Italia una componente di cittadine e cittadini chiede di veder riconosciuto il loro diritto a non identificarsi nel genere che è stato attribuito alla nascita o a non identificarsi in uno dei due generi, maschile e femminile (inutile provare ad elencare le diverse motivazioni che essendo esigenze individuali, non possono evidentemente essere catalogate o classificate).
Chi non ha mai ragionato su queste tematiche e non ha mai osservato il mondo LGBTQIA+, potrebbe pensare che l’istanza di autodeterminazione e di libertà vengano maggiormente dalle persone più giovani, questo è falso e semplicistico e serve a sminuire la portata del tema, che va invece affrontato con grande attenzione, troppo facile dire che riguarda i/le giovani perché sono immature/i e poco consapevoli o peggio, perché seguono le mode; invece sono tantissime le persone e le famiglie coinvolte, si parla di diritti, ma anche di salute.
Da un sondaggio Ipsos in Italia circa il 9% della popolazione si dichiara LGBTQIA+, di cui il 2% si definisce omosessuale, il 3% bisessuale, l’1% pansessuale e l’1% asessuato; all’interno del 9% iniziale un 4% si definisce transgender, genderfluid o non binario. Stiamo parlando di oltre 5 milioni di persone.
Essere di sinistra vuol dire anche farsi carico della lotta che milioni di persone devono affrontare per essere sé stesse/i, per poter seguire in piena libertà e serenità tragitti di autodeterminazione: dalla “semplice” possibilità di camminare per strada mano per mano, a quella di indossare gli abiti che si vuole o di truccarsi (senza venire derise/i o addirittura picchiate/i o molestate/i per strada), alla libertà di fare percorsi di cambio di genere.
Questo breve ragionamento sui presupposti del transfemminismo intersezionale ci pone davanti all’urgenza di posizionarci in maniera netta all’interno di questo movimento, non solo nella condivisione delle battaglie, sfilando sotto bandiere multicolori, ma rivedendo la nostra idea di agire politico, perché parità di diritti civili e diritti sociali per tutti e tutte non può essere il nostro traguardo, la nostra meta, i diritti per tutte e tutti sono esclusivamente la base di partenza per la costruzione di una società più giusta, sono la dotazione minima di un paese civile.
Rendiamoci conto che solo una parte dei problemi è ritenuta socialmente inaccettabile: crimini di odio, violenza e molestie, segregazione, etc.; c’è un grande ambito purtroppo socialmente accettato: trasporti e spazi non accessibili, sanità non accessibile, minimizzazione e svalutazione dei problemi, indifferenza, battute offensive, paternalismo, assistenzialismo senza creazione di prospettive, etc.
Limitarci alla battaglia per l’ottenimento di diritti ci fa correre il rischio di arrivare a quello che Pasolini definiva “la falsa realizzazione dei diritti civili”, a rinunciare a priori al tentativo di cambiare la società, non è concedendo qualcosa che cambiamo il mondo, non è limitandosi a migliorare la capacità economica dei più deboli che si eliminano le classi, per arrivare ad una società giusta è necessario sovvertire le regole.
Tutte e tutti vogliono sentirsi parte della società, non beneficiari di una qualche “gentile” concessione che li fa sentire “uguali” a un modello ideale (maschio, bianco, ricco) che il capitalismo ha prodotto.
Le persone non hanno bisogno di autonomie eterodirette, hanno bisogno di libertà, di sentirsi parte del mondo, protagoniste e protagonisti delle loro esistenze all’interno della collettività.
Ma come identificare le norme da sovvertire? Quale percorso dobbiamo intraprendere? Il giusto percorso oggi è quello interpretato dal transfemminismo intersezionale e dalla ideologia gender.
Bisogna “sovvertire le diseguaglianze abolendo il rapporto sociale che le produce” (F. Zappino), se la teoria gender ambisce ad essere sovversiva dobbiamo essere consapevoli del fatto che vuole sovvertire le stesse regole inique, quelle che fondano il capitalismo, che vogliamo sovvertire noi di sinistra.
Se il mondo deriva dall’organizzazione sociale per cambiarlo è necessario il “rovesciamento pratico dei rapporti sociali esistenti” (Marx), non solo per noi questa è una battaglia civile e sociale, dunque politica in senso stretto, ma deve essere un percorso totalmente affine e compenetrato a tutto ciò che ci caratterizza in quanto sinistra, perché è una battaglia contro il potere capitalista, contro il patriarcato bianco dominatore che ha creato il capitalismo.
Se nel tempo si è prodotta la discriminazione tra cosa è naturale e cosa no, strumentalizzando questa divisione l’uomo ha “deciso” cosa è contro natura, ha stabilito la divisione natura/società ponendo all’interno di questi due concetti le cose che ha deciso – l’uomo maschio, bianco, eterosessuale, occidentale – di farci stare e tenendo fuori il resto, creando in realtà un cortocircuito, perché tutto ciò che esiste o sta nell’ordine naturale in senso stretto (in senso lato ci sta tutto) o sta nella società, di sicuro niente può stare fuori dai due ambiti.
Anziché partire da questa dicotomia che viene usata per discriminare ricordiamoci che il mondo è uno spazio neutro, che non esiste niente contronatura, esistono nella società la violenza, l’odio, il sopruso, l’oppressione ed è su questi problemi che si deve intervenire.
Quello del transfemminismo intersezionale non deve essere un terreno di scontro, ma uno spazio di riflessione che deve dare le basi per intraprendere un percorso comune che ci conduca ad una società più giusta.
Liliana Golosio è la vicesegretaria regionale di Sinistra Italiana in Sardegna con delega al dipartimento Diritti e Libertà