Peste li colga

16 Giugno 2012

Roberto Loddo

Giugno è iniziato con il rumore dei caschi degli operai sbattuti con rabbia sui muri del palazzo della Regione. Un rumore assordante che ha accolto l’arrivo di migliaia di lavoratrici e lavoratori provenienti da tutta l’isola per partecipare alla manifestazione dei cassaintegrati di tutte le categorie produttive. Una manifestazione vivace e colorata, per protestare contro il blocco delle indennità di cassa integrazione, convocata sotto il palazzo della presidenza della Giunta in viale Trento, e che ha accompagnato la riunione di Cgil, Cisl e Uil con l’assessore al lavoro Liori. All’ordine del giorno, l’esaurimento delle risorse regionali per coprire la spesa relativa agli ammortizzatori sociali in deroga.
Quattro ore di confronto utili solamente a confermare l’arroganza e la superficialità di ciò che rimane della giunta regionale di centrodestra. Giunta che ogni giorno fa strage di diritti e legalità, dannosa come la Peste nera del 1300. Una Peste chiusa nei propri palazzi, che hanno più interesse alla propria sopravvivenza politica che a un miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini sardi, incapace di affrontare l’emergenza di chi rischia di non percepire più reddito già a partire da questo mese. Il governo Monti non poteva essere più esplicito, sottolineando attraverso il ministero del lavoro, il criminale ritardo della Sardegna nell’attuazione di politiche attive del  lavoro per le migliaia di lavoratrici e lavoratori fuori dal processo produttivo da anni: la disponibilità a versare le risorse dovute per gli ammortizzatori in deroga (57 milioni di euro) è strettamente legata alla capacità, da parte della Regione, di velocizzare la spesa dei 40 milioni di fondi europei destinati alla formazione e al reinserimento lavorativo.
Il 13 giugno, dopo l’ultimo incontro con i sindacati confederali, la giunta regionale ha deliberato la modifica alla Finanziaria per reperire i 32 milioni di euro necessari a saldare il debito con l’Inps per gli ammortizzatori sociali. Il Consiglio regionale adesso dovrà approvare un emendamento. E i sindacati sollecitano, ancora una volta, la spesa dei fondi comunitari per la formazione e il reinserimento lavorativo. Una nota stampa del sindacato sottolinea come “Il numero delle domande per la cassa integrazione in deroga è aumentato da quindici a ventimila rispetto all’anno scorso: è una situazione che impone l’utilizzo delle risorse e, contemporaneamente, un piano di politiche attive per il lavoro”.
Pensiamo davvero che la fine della tempesta possa arrivare quando anche l’ultimo sussidio verrà pagato?
Se il cancro potesse essere curato con un aspirina, la Sardegna non vivrebbe in maniera violenta un processo di deindustrializzazione che cammina insieme a un modello di sviluppo economico selvaggio. Un modello di sviluppo fallito, che ha lasciato un deserto di disastri sociali, ingiustizia e solitudine.
Ci troviamo di fronte ad una vera e propria bomba sociale rappresentata da 350 mila cittadini sardi sotto la soglia della povertà, con oltre 15 mila persone in cassa integrazione, e migliaia di aziende fallite e in crisi. Una bomba sociale pronta ad esplodere, in qualsiasi momento. Perché questa crisi non è solo il prodotto dell’incompetenza del governo regionale di centrodestra, ma è sopratutto il fallimento di trent’anni di politiche liberiste, quelle in cui ci avevano promesso un mondo più competitivo, in cui si sarebbe dovuto correre tutti un po di più, realizzando benessere diffuso per tutti.
Trent’anni di politiche liberiste mescolate al neocolonialismo dei piani di rinascita, hanno prodotto solo la totale libertà di movimento dei capitali e la completa deregolazione dei mercati finanziari. Hanno cancellato le nostre diffuse culture pastorali e contadine e ci hanno abbandonati a una condizione di progressivo sottosviluppo rispetto alle altre regioni italiane. Non ci può bastare l’erogazione di un sussidio. Come non ci possiamo limitare all’attuazione di un nuovo piano regionale delle politiche attive del lavoro. Le grida degli operai dell’Eurallumina e dei lavoratori dei call center sotto la Regione, rivendicavano una via d’uscita credibile dalla marea di disperazione ed emarginazione. Una via d’uscita che può essere determinata solo da un cambiamento radicale di rotta.
Un nuovo modello di sviluppo di politiche del lavoro sane, stabili, legate alle peculiarità delle nostre comunità, nel rispetto dell’ambiente, e dei diritti civili e sociali è ancora possibile.
E’ necessario costruire dal basso, dai conflitti sociali esistenti, un senso comune della crisi, per evidenziare le disuguaglienze e individuare le responsabilità di chi ha prodotto questa crisi. Responsabilità che vanno fatte pagare. Senza sconti.

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