Migrazioni ed identità

16 Luglio 2011

Rita Atzeri

Mi è capitato di recente di leggere un libro di Alberto Maria Delogu, “Sardignolo”, edizioni Angelica. E’ un libro che si divora: ironico con poca autoironia, acuto e feroce insieme. Alberto Maria Delogu nasce in Sardegna, ma da questa si separa: vive a Montreal in Canada. Il suo, come recita la quarta di copertina, è un viaggio graffiante tra i luoghi comuni e i pregiudizi dei sardi sulla Sardegna. E non si tratta certo di un eufemismo! Riporto alcuni passi del primo capitolo intitolato “Terra aspra e matrigna”, per darvi la possibilità di rendervene conto autonomamente: << La Sardegna è, nella mitologia personale e collettiva di molti sardi, una terra dura, ingrata, aspra e inospitale. Una terra che ‘tempra il carattere’ e lo scolpisce secondo le sue asprezze. Una terra maschia, non un posto da femminucce. Tanto maschia che persino le donne che la abitano portano i calzoni, si fanno la barba, pisciano in piedi e ti carbonizzano con un’occhiata. A questa mitologia fai – da – te, i narratori e i viaggiatori dei secoli passati hanno aggiunto un po’ del loro fiordisale. …>>. E prosegue citando Lawrence, Satta, Montanaru, Melchiorre Murenu, <<… E così via deprimendo. Sino ai giorni nostri: mese di maggio del 2000. Non un bodale qualunque, ma il presidente della Fiera di Cagliari: “Vogliamo un Fiera sempre più, come amiamo ripetere, specchio fedele dell’economia di una terra dura e difficile”: Cioè vogliono una fiera dura e difficile? Ora, lascia perdere per un po’ il fatto che molti sardi siano ormai rassegnati all’idea che un’isola debba essere per forza isolata. Ci sono isole isolate e isole non isolate. La Gran Bretagna, ad esempio, è un’isola, ma non mi pare granché isolata. …>>. Vi siete fatti un’idea giusto? I capitoli più gustosi sono quelli in cui si parla degli Emigrati e del loro rapporto con la Regione Sardegna, ossia del rapporto tra Emigrati, organizzati in circoli dei sardi, e i funzionari della Regione Sardegna… Un parallelo certo non forzato lo si potrebbe fare con un altro testo sagace, “In Sardegna non c’è il mare” di Marcello Fois, edizioni Laterza: un libro scritto da un altro sardo, che non vive in Sardegna ma a Bologna, che della Sardegna fustiga, anche lui, i luoghi comuni. Fulminante il passaggio in cui parla dell’ospitalità dei nuoresi, praticamente una sorta di presa in ostaggio dell’ospite. Insomma due “fuoriusciti” che da lontano creano e riflettono sull’identità. Sì perché l’dentità è questione di cultura e chi meglio di un letterato può elaborare un pensiero identitario. Chi siamo? Per i nostri amici siamo gente che non sa di essere, che ha le idee confuse sul proprio essere. Gente che focalizza la propria ragion d’essere solo  quando è fuori da sé: quindi i sardi per avere un ruolo in Sardegna devono lasciarla la Sardegna, ragionare su di lei a distanza per coglierne le opportunità e le contraddizioni e questo sia che siano, sardi illustri, sia che siano sardi in attesa di diventare illustri. I tanti studenti del progetto master end back ad esempio, o i ricercatori delle diverse facoltà cagliaritane in attesa di contratto, per farne un altro d’esempio. Sotto traccia non sono poche le provocazioni che i due testi rimandano: che ruolo deve avere la politica nella formazione dell’immagine che il sardo ha di sé? Saremo sempre il popolo dei cassaintegrati? Perché lo sapete che anche il lavoro crea identità giusto? Identità positiva se il lavoro lo si ha, identità negativa quando il lavoro manca. Per non parlare del ruolo dell’Università, nel creare l’idea d’identità dei giovani sardi. Pensate quali straordinari risultati raggiungono i nostri atenei nel creare nei loro migliori dottorati l’identità del portaborse – schiavo del professore – senza lavoro retribuito a quarant’anni? Meditiamo gente, meditiamo.

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