Madre de forasteros

16 Luglio 2011

Alfonso Stiglitz

Algarium, Al ghara ‘ib, S’Alighera, La Lighiera, Alachero, Terra Alegerii, Alighiero, Larguer, Al ghâriq, Salichera, Alqueire, Āli kāru, Āli qirja, Aliera, Alischera, Alescheira, Terra Alogarum, Aliger, Saligarum, Algaria, Alichero, Al ghar, Al ghariq, Algeri, Āli kherhu, Al Qasr, S’Algar, Al khayrum, Al gharb, Al ghayir. Un frullare di assonanze, somiglianze, suoni e immagini per trovare le innumerevoli sembianze e significati di Alghero: Posto delle alghe, Le stranezze, Immondezzaio, Lido dove approdano le cose, Riva del mare fatale, Borgo degli Alighieri, Mezzo-marinaio, Stare alla larga, Il naufrago, Luogo delle vedove del mare aperto, Carra, Città d’approdo, Città di città, Città del rame, Duna di sabbia, Stupidaggini, Terra delle cose senza senso, Allegro, Là dove c’è il garum ben salato, Fastosa, Bue marino, La grotta, Il naufrago, Città straniera, Città fortezza, Il castello, Luogo, Il migliore, L’occidente, L’inesistente; sono alcune delle traduzioni im/possibili.
In sostanza Terra d’approdo, che è anche il titolo del bel libro di Shãbb Zaytun (nome tutto da esplorare) curato da Joan Oliva, che uso come portolano per le mie riflessioni estive. Alighera, Aliga, Pallosu, Pazzosu, modi di dire diversi per gli accumuli di Posidonia che difendono le nostre coste, per noi irriconoscenti.
Paglie puzzolenti eppure suggestive, che richiamano atmosfere di piccoli porti, di spiagge con barche accosciate, talvolta consumate, altre vissute.
E, ovviamente mi ha riportato immediatamente a un’altra città della cui proiezione marina mi occupo professionalmente, Karalì, Carales, Caller, Cagliari, Casteddu. Perché al suo ingresso i naviganti venivano tenuti in quarantena nel Lazzaretto, in un piccolo promontorio che si apriva su un golfo di una certa profondità, che alla sua base aveva le saline, quelle di San Bartolomeo; golfo oggi completamente colmato per costruirvi sopra il quartiere di S. Elia nuovo, quartiere di rifugiati, di separati dalla città, quartiere ghetto e, affianco, lo stadio di calcio, arena dello sport multimilionario.
Ebbene il Lazzaretto sorgeva su un piccolo promontorio che un portolano settecentesco chiama Punta dell’Aliga morta, un’altra Alghero. Tutte le nostre coste hanno tante Alghero. E la somiglianza arriva a essere strabiliante se osserviamo che alla base di quel promontorio e sulle rive di quel golfo era presente il Bagno penale, così come a “Sa Lighera, bidda ‘e galera”. Città, insomma, di approdo ma anche di sofferenza, di accoglienza ma di respingimenti, già da allora. Città dal destino complesso, divise tra l’occidente sardo, catalano, aragonese e poi spagnolo, savoiardo, italiano e l’altro, barbaro, turco, moro: De sa turri de su forti / Si biri barbaria / Deu dongu sa bona notti / A sa picciocca mia, canta un muttettu Cagliaritano, di cittadini di una città di origine orientale, bottegaia e semitica per i fascisti, dove le torri sono bianche, come negli splendidi racconti che Alziator fa della sua città. Una città che ha radici nella costa siro-israelo-palestinese, la Karalì fenicia, ma anche saldi ancoraggi nuragici, una città, in sostanza, sarda. Ed è una città dalle mille sfaccettature saldamente ancorata tra le braccia della divinità femminile, un tempo Astarte, che governava i buoni venti dei marinai, oggi Bonaria, Nuestra Señora de los Buenos Aires, in un eterno ritorno dove ancora i marinai osservano la sua barchetta pendere sulla navata, e si affidano alla sua sapienza. Una città che nasce tante volte e che continua a rigenerarsi con l’arrivo di tanti di noi, molti dall’interno, molti dal mare. Il quartiere di Marina, la barceloneta dei tempi andati, da sempre porto di mare è oggi, ancor di più, quartiere di accostamenti, di intrugli culturali, sociali, vocali.
Il che fa ancora oggi riecheggiare con pieno significato la definizione che di Cagliari diede un romanziere cagliaritano del seicento, unendola a Siviglia: Caller madre de forasteros, cioè madre patria, madre di chiunque la riconosca e ci si rifugi, che ci riporta a una delle possibili traduzioni di Alghero/Algeri, città di stranieri. Una lezione storica per tempi di razzismi, di respingimenti, di reclusioni in moderni lazzaretti senza speranza di liberazione, a differenza di quello di Sant’Elia, dal quale passata la quarantena si entrava in città.
Nei moderni lazzaretti, si sta lontani da essa, una sorta di finis terrae dalla quale nel migliore dei casi si viene trasportati via, nel peggiore chiusi tra quattro assi. Per questo da Cagliari e Alghero in primo luogo, ma l’intera nostra isola, di sardi tutti venuti da altrove e qui approdati prima o poi, potrebbe venire un segnale importante e attivo che può avere un significativo ritorno sulla vita concreta, quotidiana di tutti noi. La nostra, quella sarda, è un’identità mobile, in perenne crescita, che deve fare i conti con la realtà quotidiana di noi uomini e donne alle prese con la necessità di vivere una vita degna di essere tale, con le nostre lingue, i nostri miti, i nostri modi di camminare. Sardi di ieri e di oggi, nuovi sardi compresi.
Questa lunga digressione, non propriamente con ritmo giornalistico, che parte da un bel libro, di scrittura leggera e sonori echi, che giungono anche in un assolato Campidano di un torrido luglio, attraversato con un treno che si affanna lentamente per arrivare all’agognata riva del mare, sa riba de sant’agostino, oggi piazza Matteotti, vuole introdurre un tema, sul quale ritornerò ancora su questo giornale, approdo di molte mie riflessioni. Il tema è quello della campagna “L’Italia sono anch’io” avviata da molte associazioni, volta a una cittadinanza senza discriminazioni, attraverso una serie di azioni tra le quali quella sul voto agli immigrati.
E se tutta la premessa ha un senso e se siamo consapevoli che la nostra isola è luogo di approdo di uomini e di alghe, allora possiamo appropriarci di uno degli slogan della campagna: sono sardo “perché sono nato qui, qui studio, qui gioco, ho gli amici”. Partecipiamo
PS. Il sito web della campagna: http://www.litaliasonoanchio.it
Il libro: Shãbb Zaytun, Terra d’approdo, terra del mezzo marinaio o del gancio d’accosto, a cura di Joan Oliva, Alghero, Edizioni del Sole, 2011

vedi Terra d’approdo e la locandina della presentazione a Cagliari.

2 Commenti a “Madre de forasteros”

  1. Marcello Madau scrive:

    Complimenti Alfonso. Che bello. Dopo poche righe, inebriato dai rimandi e dalle relazioni e dalle consonanze, ho riattraversato tutti questi luoghi. Ho anche pensato al Lazzaretto di Alghero. Lo vedevo l’altro giorno, mentre mio figlio svolazzava con le liane degli alberi delle Bombarde. E complimenti a Joan, ancora. Quando la trama che si apre è quella giusta, essa subito si allarga, chiama relazioni, fratellanze, ci fa capire il senso della fratellanza e perseguirla condividendo il pane, essendo compagni. Di nuovo, il mare che unisce cantato da Franco Cassano. Un pensiero meridiano dentro un pensiero insulare che torna meridiano.

  2. Andrea Nurcis scrive:

    Rigrazio Alfonso Stiglitz perche questo suo articolo mi ha emozionato profondamente e in un certo senso ha dato un ulteriore senso ad alcune mie riflessioni su un argomento che mi sta particolarmente a cuore, ovvero il colle di Tuvixeddu.
    So che anche qualche giorno fa c’è stato un incontro tra il nuovo assessore alla cultura Enrica Puggioni, il Soprintendente Marco Minoja e i cittadini, proprio per parlare di questi argomenti. Io purtroppo stando lontano non ho potuto assistere a questo incontro, ma mi risulta che la concezione prevalente è quella di considerare Tuvixeddu come mera risorsa turistica. Io penso che Tuvixeddu sia qualcosa di molto più prezioso, non solo per i cagliaritani e i sardi ma per l’Europa intera, per essere “congelato” in un polo museale finalizzato al turismo. Tuvixeddu rappresenta innanzitutto il rapporto millenario che i popoli del nord africa hanno avuto col continente europeo e una riqualificazione di questa grande area di Cagliari andrebbe fatta tenendo conto dei cambiamenti geopolitici che attualmente stanno sconvolgendo il Nord Africa.
    Nel momento in cui interi popoli composti in prevalenza da giovani sotto i 30 anni stanno chiedendo democrazia e un recentissimo sondaggio dice che l’81% del popolo israeliano vorrebbe entrare a far parte dell’Europa, la riqualificazione di Tuvixeddu, monumento millenario della “Karalis dalle radici sirio-israelo-palestinesi”, andrebbe concepita affinchè Cagliari e la Sardegna possano trovare un ruolo importante di mediazione e accoglienza culturale nei confronti delle istanze che ci stanno arrivando dal Nord Africa e che rappresentano il futuro dell’Europa.

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