Ma Cagliari vuole avere una vera politica di gestione del territorio?

16 Gennaio 2018

Cagliari Harbour, foto di IElioI

[Stefano Deliperi]

Il 19 dicembre 2017 il Consiglio comunale di Cagliari approva definitivamente la variante alla lottizzazione immobiliare “Oliveto”, al Quartiere Fonsarda.

75 mila metri cubi, palazzi alti 24 metri, un centro commerciale, un centro direzionale, negozi, 4 aree verdi. Il 13 gennaio 2018 una manifestazione popolare spontanea denuncia pubblicamente la situazione di abbandono e isolamento del quartiere storico di Castello. In queste ultime settimane c’è la fotografia della situazione della gestione del territorio di Cagliari.

Dopo l’approvazione del piano di utilizzo dei litorali (P.U.L.), dopo l’adozione del piano particolareggiato del centro storico, oggi in corso di approvazione definitiva, previa procedura di valutazione ambientale strategica (V.A.S.), latita ancora l’adeguamento del piano urbanistico comunale (P.U.C.) al piano paesaggistico regionale (P.P.R.). Si fanno piani attuativi (P.U.L., piano centro storico), ma manca lo strumento generale di pianificazione del territorio. Come il buco della ciambella (il P.U.C. revisionato) inesistente.

Nel mentre, ancora, continuano a procedere nuovi progetti edilizi, come quello di Via Bolzano-Via Messina (5 palazzi, 73 appartamenti, 3.600 metri quadrati di parcheggi interrati a pagamento, 2.400 metri quadrati di verde pubblico e 3.593 metri quadri edificati su 6.000 metri quadrati di superficie complessiva) e prosegue la cementificazione delle dall’edificazione nelle zone “BS 3*”, cioè le aree già previste dallo strumento urbanistico generale come destinate a “servizi pubblici di quartiere”. Verde pubblico, parcheggi, per capirci.   

Le zone “BS3*” sono mostri urbanistici prodotti dal connubio fra Amministrazione comunale Floris e la speculazione immobiliare Kasteddaia.  Si tratta di zone del vigente piano urbanistico comunale – P.U.C. dove il proprietario può edificare sul 60% della superficie (con un indice volumetrico di 5 metri cubi per ogni metro quadro di superficie) in cambio della cessione gratuita del 40 % al Comune per la realizzazione di quei servizi pubblici (verde, parcheggi, ecc.) che, comunque, si ritengono necessari. Con, tanto per cambiare, la possibilità di deroga in favore dei costruttori: se si dimostra che l’intervento edilizio con le condizioni ordinarie non è redditizio, si può chiedere di monetizzare una parte della quota destinata ai servizi pubblici.

E’ in gran parte in queste aree l’eredità mattonara dell’amministrazione comunale Floris di ben 1.192.935 metri cubi di volumetrie residenziali approvate nella consiliatura 2006-2011. In questi anni in queste zone si è costruito con continuità (soprattutto a Bonaria, es. Via Asti, Via Milano) o si è programmato (es. Via Bolzano), mentre anche la sola predisposizione del nuovo P.U.C. avrebbe costituito valido motivo per “congelare” queste aree in vista del nuovo strumento urbanistico.  Oggi a Cagliari c’è la bellezza di 5.090 unità immobiliari residenziali non occupate (dati ISTAT, censimento 2011).

Parecchi di questa miriade di interventi edilizi, spesso e volentieri di carattere speculativo, oggi sono invenduti e nemmeno affittati, con buona pace e tanti debiti con le banche dell’aristocrazia mattonara della Città del sole. Eppure, dal 2001 al 2016 Cagliari ha perso ben 9.588 residenti, dai 163.671 residenti al 31 dicembre 2001 ai 154.083 residenti al 31 dicembre 2016 (elaborazione dati ISTAT, 2017).

Cagliari non ha bisogno di nuovo cemento, non ha bisogno di ulteriore “consumo del territorio”, ha bisogno di case ristrutturate e di case a prezzi (acquisto, locazione) accessibili. Cagliari ha bisogno di interventi di housing sociale, non solo nell’ex Mattatoio di Via Po, ma anche nell’ex deposito dell’Aeronautica di Via dei Conversi, già dismesso da anni in favore della Regione autonoma della Sardegna e colpevolmente inutilizzato.

Ha bisogno di una politica di incentivi per la ristrutturazione degli immobili e la dotazione ove possibile di impianti di produzione di energia da fonti alternative (pannelli fotovoltaici in particolare), di un efficace accesso ai fondi comunitari per la riqualificazione delle aree urbane. Soprattutto ha bisogno di più alberi, più verde pubblico. Per ogni albero che, purtroppo, dev’essere rimosso, per qualsiasi causa, ne devono essere piantati dieci, possibilmente in prossimità dell’albero perso. Cagliari ha bisogno, finalmente, della revisione del P.U.C. alla luce del piano paesaggistico regionale – P.P.R. (fondamentale passaggio anche per la soluzione virtuosa della vicenda del Colle di Tuvixeddu), come previsto dalla legge e imposto dal buon senso.

L’amministrazione Zedda è al secondo mandato, sono passati ormai sei anni dal suo insediamento. Che cosa aspetta?

1 Commento a “Ma Cagliari vuole avere una vera politica di gestione del territorio?”

  1. GAVINU dETTORI scrive:

    IL NODO FONDAMENTALE…. persistente: la proprietà del suolo.
    Quando si parla di proprietà, sembra di andare a parlare del santuario intoccabile e incrollabile della società moderna, tutta strutturata sull’istituto più equivoco se riferito all’uso del suolo.
    Infatti il suolo o meglio la TERRA, non è un prodotto dell’inventiva umana, la quale può essere ragionevole tutelare con la proprietà. Ma anche questa inventiva non è poi del tutto merito del singolo, che si avvale di tutti gli strumenti e la cultura della società in cui vive e delle culture storiche.
    Si potrebbe paragonare l’invenzione alla ( urbanistica ) rendita di posizione dei terreni che aumentano il loro valore solo per il fatto di essere stati inclusi nelle aree edificbili dei piani urbanistici, o perchè si trovano vicino alle infrastrutture pubbliche. Questi fatti , sono l’incentivo dell’innesco della speculazione edilizia e dell’inevitabile muro di accesso alla residenza delle classi meno agiate, che espulse dalla residenza cittadina vanno a costruire abusivamente nell’agro, acquistando terreni a prezzi sempre maggiorati rispetto al prezzo agricolo, ma più accessibili e con il vantaggio dell’autocostruzion……. Decisioni non lodevoli prese in contrasto della volontà civile, con la conaseguente messa in colpa del cittadino abusivo. Per non palare delle conseguenze negli accadimenti disastrosi degli sconvolgimenti metereologici. Ma quelli sono spesso strumentalizzati per coprire le negligenze amministrattive della predisposizione dei piani urbanistici con aree a prezzi sociali per la costruzione degli alloggi popolari, anche se le aree si potrebbero sottoporre ad esproprio, sempre più difficile da attuare. In ogni caso è sempre una guerra, individuare le aree da destinare per la costruzione delle case popolari, denotando questo gli enormi interessi che girano nell’uso delle aree.
    Nessuna città COSTRUITA, resisterebbe oggi alla verifica delle norme sulla sicurezza come si stanno modificando a causa degli sconvolgenti fenomeni metereologici, è vero straordinari, di cui conosciamo le cause. Ne abbiamo visto molti esempi, con espansioni costruttive assentite, ma condizionate dalle espansioni più economiche a “macchia d’olio”, ed ancor più condizionate dalle pressioni dei palazzinari nel versante dei terreni da loro comprati anzitempo con una preveggente non casuale decisione di un domani speculativo. Tutte le maggiori espansioni delle città importanti sono avvenute con questo sistema speculativo. Le cubature delle costruzioni abusive sono in’inezia rispetto alle costruzioni “assentite abusivamente”. Sono gli abusivi palazzineri che hanno costruito i “mostri” dell’edilizia con la complicità e l’inerzia delle amministrazioni comunali.
    Restituire alle terre il loro valore agricolo significa scongiuare i condizionamenti sulle espansioni urbane per farl espanderle nei luoghi più salubri e idonei per l’edificazione.
    Allora è inutile prendersela con l’abusivismo edilizio
    Ma abolire la proprietà del suolo non sarebbe poi tanto difficile, se non fosse che scardinerebbe un istituto sociale intoccabile, per il sistema capitalista, nella sua essenza che peraltro è già sottoposta a vincoli contemplati nell’art. 41-42-43-44-45- 46 della nostra Costituzione, elusi negligentemente dalle istituzioni……
    La terra non solo come “ bene urbanistico” :
    La TERRA,….. come,…… BENE COMUNE , … non è un’utopia, è un’esperienza che l’uomo ha già vissuto…
    La TERRA, la prima riforma a costo zero: un 13 politico a costo zero per la riforma più importante.
    E’ il primo diritto inalienabile per ogni persona, solo per il fatto di essere nata. Per questo, la terra, non deve essere soggetta ad alcun vincolo che impedisca ad ogni persona di esercitare i diritto minimo di usufruirne per tenersi in vita.
    Lo Stato attraverso le regioni e i Comuni deve garantire la equa gestione, dandola in concessione a coloro che la lavorano, tutelandone e garantendone la corretta gestione attraverso le migliorie,……
    L’appropriazione della terra,come gestita in tutto il mondo, costituisce la limitazione più dura all’esercizio della libetà. E’ un atto anomalo e prepottente derivante dalla esercitazione della forza contro i più deboli, che hanno soggiaciuto alle indebite imposizioni ed alle invasioni esercitate con le guerre di assoggettamento dei popoli, determinando una impari spartizione della terra.
    Non è sbagliato dire che la schiavitù è iniziata proprio a causa della occupazione delle terre da parte dei più forti e dalla imposizione, anche con la forza, al lavoro dei senza terra, costretti ad assoggettarsi per vivere. Ma è anche vero che la conquista dei diritti ebbe inizio proprio con la ribellione dello schiavo e che le civiltà segnano la svolta definitiva quando poi quei diritti sono stati riconosciuti ed estesi a tutti i cittadini, in tutte le società mondiali, riconoscendo che quando si nasce la persona si trova nello stato di estrema debolezza e per questo deve essere tutelata a qualunque razza o ceto sociale appartenga.

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