Dighe e scempi ambientali e finanziari

1 Giugno 2014

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Stefano Deliperi

Con grande clamore, la Giunta regionale della Sardegna – con le deliberazioni nn.  19/18, 19/19, 19/20/19/21 del 27 maggio 2014 – ha deciso il “subentro della Regione nella titolarità delle concessioni di derivazione delle opere del sistema idrico multisettoriale regionale e trasferimento di gestione” riguardo gli invasi del Taloro, del Coghinas e dell’AltoFlumendosa, nonché delle opere in costruzione di Monte Nieddu – Is Canargius e di Cumbidanovu (Alto Cedrino), in base alla legge regionale n. 19/2006 (art. 11 e 30).

Il Gruppo ENEL, titolare degli invasi del Taloro, del Coghinas e dell’Alto Flumendosa, ha duramente replicato che le proprie concessioni (il cui canone annuo attuale in favore della Regione è pari a 5 milioni di euro) scadono nel 2029 (decreto legislativo n. 79/1999) e prima di tale data non se ne fa nulla. Dal canto suo, l’Assessore regionale dei lavori pubblici Paolo Maninchedda, padre dell’operazione, ha confermato che la Regione andrà avanti.

L’operazione riguarda l’energia idroelettrica prodotta – il cui valore è stimato in 47 milioni di euro all’anno – i relativi certificati verdi (5-6 milioni di euro annui), la medesima gestione dell’acqua invasata.

Riguarda anche la “concessione di derivazione dell’acqua” del Rio Monte Nieddu – Is Canargius, bacino idrografico e ambientale massacrato dai lavori – realizzati per meno del 20% – per la realizzazione del relativo invaso per conto del Consorzio di bonifica della Sardegna Meridionale: lavori interrotti da anni, privi di reti di distribuzione, con un contenzioso ancora in corso con l’A.T.I. appaltatrice, la cui ripresa è oggetto di un nuovo appalto recentemente assegnato a una nuova impresa in stato di crisi. L’area è un sito di importanza comunitaria, nel bel mezzo della foresta più estesa del Mediterraneo ed è in corso, su denuncia ecologista, una procedura di accertamento europea.

Un autentico scempio ambientale e finanziario, fra i maggiori in Italia: quasi 173 ettari di bosco distrutti per centinaia di milioni di euro sprecati.

La Regione autonoma della Sardegna subentrerebbe, quindi, al suoConsorzio di bonifica della Sardegna Meridionale nella concessione idrica rilasciata con decreto Assessore reg.le LL.PP. n. 662 del 5 agosto 1975 per fare che cosa?

Per continuare uno degli scempi ambientali e finanziari maggiori a livello nazionale?

In proposito, alcune cose non possono non essere ricordate.

Circa l’85% dell’acqua attualmente immessa nelle reti idriche in Sardegna va persa, come ha denunciato (ottobre 2011) l’Ordine dei geologi della Sardegna, buona parte delle reti di distribuzione è in condizioni precarie, soprattutto nelle aree urbane e nella rete irrigua.

La Sardegna possiede ben 32 invasi di grandi/medie dimensioni aventi una capacità massima attuale di 2 miliardi e 280 milioni di mc. di acqua, di cui 1 miliardo e 904 milioni di mc. con autorizzazione all’invaso (dati Registro Italiano Dighe – Ufficio periferico di Cagliari, 2011).

La Sardegna ha 1.675.000 residenti (la metà di Roma) e poco meno di un sesto della risorsa idrica “invasabile” di tutto il territorio nazionale (540 bacini medio/grandi per circa 13,35 miliardi di mc. di risorsa idrica “invasabile”, vi sono ulteriori 10 mila circa piccoli bacini con capacità inferiore a 100 mila mc., più facili da gestire – dati Ministero Infrastrutture, 2007). A partire dal 31 dicembre 1995 è stata autorizzata una complessiva ulteriore capacità di invaso, in seguito alle previste procedure di collaudo (art. 14 regolamento dighe), di ben 328,359 milioni di mc. di acqua. La sola nuova diga sul Tirso (la 32^) potrà invasare, a collaudi ultimati, circa 800 milioni di mc. di acqua: è, quindi, agevole sostenere che, a operazioni di collaudo ultimate delle dighe già realizzate, la Sardegna potrà contare su circa 2 miliardi e 280 milioni di mc. di risorsa idrica “invasabile”.

Non dobbiamo, poi, dimenticarci che attualmente si stimano in circa 350 milioni di mc. annui i reflui civili depurati scaricati direttamente in mare senza praticamente alcun riutilizzo (il solo depuratore consortile di Cagliari-Is Arenas scarica circa 60 milioni di mc. all’anno, da qualche anno portati “in risalita” nel bacino di Simbirizzi per essere destinati all’agricoltura, ma non utilizzabili a causa del mancato completamento della terza fase di depurazione, con una spesa complessiva di circa 80 miliardi di vecchie lire, senza considerare le ingenti spese di esercizio). Analogamente avviene per i depuratori industriali: non siamo in possesso di dati complessivi, ma si tratta di una realtà certo non trascurabile. Il solo depuratore CACIP produce circa 20 milioni di mc. all’anno di acqua depurata.

Eppure non si pensa al restyling delle reti di distribuzione, al risparmio idrico, ben più importanti di qualche sterile polemica.  

Gestire l’acqua in Sardegna vuol dire avere una regìa unica, collegamenti fra gli invasi, riciclaggio e riutilizzo dei reflui, risparmio idrico, sistemi a circuito chiuso e, soprattutto, basta con ulteriori dighe!

E’ necessario voltare pagina rispetto ad una politica di gestione dell’acqua fallimentare e folle, assolutamente contraria alle elementari norme di gestione ambientale e agli interessi dei sardi.

All’Assessore Maninchedda, visto che sa “governare e risolvere problemi”, la risposta.

2 Commenti a “Dighe e scempi ambientali e finanziari”

  1. News Acqua Sardegna del 31.05.14 | Beni Comuni Planargia scrive:

    […] Dighe e scempi ambientali e finanziari – di Stefano Deliperi […]

  2. Regione autonoma della Sardegna, dighe e scempi ambientali e finanziari. | Gruppo d'Intervento Giuridico onlus scrive:

    […] su Il Manifesto Sardo (“Dighe e scempi ambientali e finanziari”), n. 170, 1 giugno […]

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