La fine della liberal-democrazia secondo Savona

16 Giugno 2016
0143ad52-16ce-4775-94ee-4b5c85d033dd_xl
Gianfranco Sabattini

Con un ponderoso volume (“Dalla fine del laissez-faire alla fine della liberal-democrazia”), redatto nella quiete del Nuffield College della Oxford University, Paolo Savona affronta criticamente il problema dell’”attrazione fatale esercitata dall’istanza della giustizia sociale sul liberalismo, attrazione che ha alterato l’equilibrio del sistema delle libertà”; problema, questo, che ha sullo sfondo quello ben più importante “del funzionamento sincrono” delle tre istituzioni, Stato, democrazia e mercato, poste a presidio di quelle libertà.

Savona avverte che nella stesura del lavoro il riferimento costante sarà il liberalismo, col quale egli intende, non la pretesa di un ritorno nostalgico a un improbabile passato, ma “il desiderio di libertà dell’individuo che implica limiti all’esercizio del potere da parte di chi lo detiene, ma anche per l’individuo stesso, per non danneggiare il prossimo”; desiderio non disgiunto da quello di “un’organizzazione della società dove la giustizia sociale sia parte costituente delle libertà, ma si ponga in equilibrio con tutte le altre e non si tramuti in prevaricazione delle scelte collettive su quelle individuali”. Tutto ciò, per evitare il disordine e il caos che affliggono oggi gran parte delle società democratiche; fatti, questi, che sollevano l’interrogativo, a parere di Savona, se sia mai possibile riportare la giustizia sociale “entro uno schema liberaldemocratico di gestione della società senza che una reazione ai suoi eccessi […] richiami al potere nuovi e più difficili sovrani da abbattere”.

Secondo Savona, il cuore del problema dell’inquadramento della giustizia sociale all’interno di uno schema socialdemocratico è espresso dall’aspirazione all’uguaglianza, il cui desiderio è presente in “diversa misura” in tutti i regimi di destra e di sinistra, democratici e autoritari. Dopo il 1945, i cittadini dei cosiddetti sistemi sociali liberi avevano sperato di trovare nella democrazia l’istituzione con la quale perseguire nella libertà “i propri scopi nel rispetto di quelli altrui”, nello Stato la “guardia” posta a presidio delle loro libertà e nel libero mercato “il metodo per gestire razionalmente le risorse scarse”. Quando però le forze che anteriormente al 1945 controllavano l’organizzazione sociale sono state sconfitte, lo Stato avrebbe affievolito, dopo un trentennio “radioso”, il suo ruolo di presidio del sistema delle libertà, per cui, aprendosi alle direttive del mercato, avrebbe “trascurato l’impegno per una migliore giustizia sociale”.

La conseguenza di ciò è stata lo smarrimento del giusto rapporto tra democrazia, Stato e mercato, con l’inevitabile perdita di una comune visione del sistema delle libertà, mentre la rimozione del giusto equilibrio tra le tre istituzioni (democrazia, Stato e mercato) avrebbe impedito che esse continuassero a svolgere la funzione di far progredire l’uomo, facendolo, a volte, arretrare dal sentiero della crescita civile conseguita negli ultimi secoli.

Dopo aver percorso la storia delle idee liberali, Savona, nella prosecuzione della sua analisi, si arrocca dietro le versioni che hanno affrontato più direttamente le relazioni tra la giustizia sociale e le altre libertà, quali quelle formulate da Guido Calogero e da John Rawls; il pensiero di Calogero è stato scelto da Savona perché ritenuto la migliore espressione dei contenuti del programma “liberal-socialista” dei mazziniani Carlo e Nello Rosselli. Con riferimento a tale programma, tuttavia, Savona si preoccupa di precisare, con le parole di Calogero, che se l’”eguaglianza sociale è condizione della libertà politica […], non bisogna poi credere che soltanto in vista della libertà politica sia da ricercarsi l’uguaglianza sociale”; sarebbe, questo, un errore che compirebbe chi, sottolineando troppo il vantaggio della disponibilità dei beni economici non si accorgesse “che una situazione di cose, nella quale ognuno possedesse una giusta quota di ricchezza, e non avesse alcuna (o avesse troppo scarsa) possibilità di influire sulle decisioni di interesse comune, potrebbe essere assai più triste e rovinosa di quella nella quale si possedesse” la libertà politica, ma non si avesse l’uguaglianza sociale. Perciò, sempre secondo le parole di Calogero, condivise da Savona, “la democrazia integrale, non è dunque, né soltanto una democrazia liberale né soltanto una democrazia socialista, è piuttosto una democrazia liberalsocialista”.

Savona, tuttavia, va oltre la sintesi di Calogero riguardo alla relazione tra libertà politica e uguaglianza sociale, aggiornandola, riguardo al problema della giustizia sociale, con le idee di John Rawls, sulla base della considerazione che il filosofo americano, a differenza dei “liberali puri”, tratta l’equità, non come una questione legata alla sfera del diritto naturale, ma come un problema risolvibile in una prospettiva contrattualistica, con esclusione comunque della pretesa di un egualitarismo sostanziale. Savona giustifica l’aggiornamento della sintesi di Calogero grazie alle idee di Rawls e alla sua condivisione dell’assunto di quest’ultimo secondo cui non è possibile determinare una concezione della giustizia soltanto sulla base delle sue implicazioni distributivo; per Rawls, infatti – sono sue le parole – “l’oggetto principale della giustizia è la struttura di base della società, o più esattamente il modo in cui le maggiori istituzioni sociali distribuiscono i doveri e i diritti fondamentali e determinano la distribuzione dei benefici della cooperazione sociale”.

Secondo Savona, tuttavia, Rawls vede realizzarsi la giustizia in presenza di istituzioni che pongono “il principio di libertà sullo stesso piano di quello della riduzione delle disuguaglianze distributive”; l’aver messo sullo stesso piano i due principi (di libertà e di uguaglianza) avrebbe motivato, però, gli elettori a desiderare una società che si ispirasse all’assistenzialismo di Stato e rifiutasse l’impegno personale. In questo modo, gli elettori avrebbero preferito la scelta della “creazione di una rete di welafre a quella di creare maggiori opportunità”, disconoscendo “ogni principio meritocratico, con poco rispetto anche per le diversità che hanno origine nella capacità imprenditoriali e professionali creatrici di risorse necessarie per coprire i costi della pubblica assistenza”.

L’istanza all’uguaglianza si sarebbe in tal modo trasformata nell’attrazione fatale di ciascuno verso il desiderio “di essere coperto dai rischi della vita, ponendoli a carico della collettività”. A fronte delle continue e crescenti pretese garantiste degli individui, la conclusione di Savona è che la soddisfazione di tali pretese abbia causato una relazione perversa, tra democrazia di massa, organizzazione difettosa dello Stato e mercato imperfetto, che ha messo a repentaglio la sorte di quegli stessi individui, per averla sottoposta “alle scelte della collettività, rovesciando gli obiettivi del liberalismo”. Per questo motivo, Savona, dopo aver aggiornato la sintesi di Calogero riguardo alla relazione tra libertà politica e uguaglianza sociale, aggiornandola con le idee di John Rawls, torna a privilegiare le idee del primo, per aver affermato, da posizioni più rispettose delle libertà, che “un socialismo che non si muove nell’ambito di uno schema predeterminato di queste […] le limitazioni in nome della giustizia sociale saranno crescenti, sia nell’ampio spettro dell’economia, sia in quello non meno ampio della politica”.

Strana, questa conclusione; non si capisce perché Paolo Savona non si sia accorto che è vero anche il contrario; ovvero, che anche quando l’uguaglianza economica e politica che non sia definita in uno schema predeterminato, le limitazioni della giustizia sociale in nome della salvaguardia del sistema delle libertà saranno ugualmente crescenti, vanificando ogni ragionevole giusto equilibrio fra le istituzioni che dovrebbero garantire l’ordine e la stabilità di funzionamento del sistema sociale.

Cosa significa l’inversione della conclusione di Savona? La risposta è intrinseca all’argomentazione di Rawls sull’idea di giustizia: a fondamento di questa idea, il filosofo americano pone il “principio di differenza” che, nella sua prospettiva del contrattualismo repubblicano, corrisponde al significato del principio di solidarietà (fraternità), rivendicato, assieme a quelli di libertà e di uguaglianza, dai rivoluzionari francesi del 1789; tali principi, com’è noto, costituiscono il fondamento della democrazia sociale moderna.

La mancata collocazione contemporanea in uno “schema prederminato” di tutti i principi del 1789, cioè la loro mancata istituzionalizzazione pre-politica, dimostra, a parere di Rawls, che una democrazia nella quale si ammetta la possibilità della formazione di disuguaglianze sociali è una democrazia incompleta e “zoppa”, dominata, a seconda dei rapporti di forza politica prevalenti tra i gruppi sociali, da un eccesso di individualismo o da un eccesso di socialismo.

All’interno di una siffatta democrazia, il giusto equilibrio tra sistema delle libertà e giustizia sociale, che Savona pone alla base della configurazione ideale di un’organizzazione social-democratica del sistema sociale, si riduce a puro e semplice risultato dei “mercanteggiamenti politici”, caritatevoli e residuali, del welfare State; una soluzione che, anziché rimuovere le disuguaglianze ed i privilegi, tenta solo di porre rimedio, senza riuscirvi, al processo di deterioramento della relazione virtuosa che, a dire di Savona, sarebbe necessaria, tra democrazia, Stato e mercato, con grave pregiudizio per il perseguimento della giustizia sociale.

Scrivi un commento


Ciascun commento potrà avere una lunghezza massima di 1500 battute.
Non sono ammessi commenti consecutivi.


caratteri disponibili

----------------------------------------------------------------------------------------
ALTRI ARTICOLI