Tre referendum contro una legge ingiusta e sbagliata

16 Maggio 2016
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Maurizio Landini

Un nuovo statuto per i diritti universali. Il governo prima l’ha brandito come un’arma e poi sventolato ai quattro venti come la soluzione alla crisi. I lavoratori prima hanno scioperato e manifestato per evitarlo e poi ne hanno misurato sulla propria pelle tutte le conseguenze. Ora per il Jobs Act è arrivato il momento di una pubblica resa dei conti. Il momento di trarre un bilancio sui suoi (fallimentari) risultati e di mettere in campo un’azione per cancellare gli effetti di questa legge sbagliata e ingiusta.

Il governo Renzi, da quando è entrato in carica, in tutti i propri atti si è mosso sempre allo stesso modo: non ha dato retta a nessuno se non ai poteri forti, intervenendo su materie decisive per la vita delle persone. Cambiandola in peggio.

Lo ha fatto violentando le regole parlamentari, ricorrendo più volte al ricatto del voto di fiducia, senza avere ricevuto prima alcun mandato programmatico esplicito, coerente con la propria natura originaria, da figlio di una manovra di palazzo. Le persone che devono fare i conti con le sue leggi non hanno mai potuto dire la loro su quelle materie, non sono mai state ascoltate: vale per le lavoratrici e i lavoratori di fronte al Jobs Act che ha distrutto i diritti dello Statuto dei lavoratori senza creare occupazione stabile, per gli studenti e gli insegnanti alle prese con una pessima «buona scuola» che fa dell’istruzione e della formazione una corsa ad handicap sociale, per tutti i cittadini di fronte ai cambiamenti istituzionali ed elettorali che violentano la Costituzione e ridisegnano l’edificio statale seguendo un impianto autoritario e castale.

In particolare, per quanto riguarda gli interventi sociali, la politica economica e quella del lavoro, il governo ha semplicemente gestito le politiche d’austerity europee, applicato i dettami che la Bce ha indicato fin dall’estate 2011 e fatto proprio il programma della Confindustria. Il Jobs Act è il frutto di una stagione secondo cui per creare nuova occupazione bisogna ridurre i diritti e aumentare le diseguaglianze.
La Fiom si è opposta a tutto questo: con la Cgil ci siamo mobilitati, abbiamo scioperato e manifestato fin dai primi giorni del percorso parlamentare del Jobs Act. Il governo non ci ha dato alcun ascolto, ha continuato per la sua strada, ha fatto tanta propaganda parlando di “svolte storiche” e spacciando inesistenti “miracoli occupazionali”. La realtà racconta tutt’altra storia: la disoccupazione continua a essere il doppio rispetto ai livelli pre-crisi, quella giovanile è tra le più alte d’Europa, cresce il numero degli “scoraggiati” che non hanno un lavoro e non lo cercano nemmeno più, dai cocopro ai voucher la precarietà ha semplicemente cambiato nome, la possibilità di licenziare senza giusta causa miete le suoe prime vittime e pesa come una spada di Damocle sui lavoratori dando alle imprese un potere senza controlli.

Rispetto agli annunci e alla propaganda governativa il Jobs Act si è rivelato un fallimento ampiamente annunciato. Rispetto ai bisogni e alle condizioni di coloro che per vivere devono lavorare questa legge e i decreti che l’accompagnano rappresentano un pericolo da scongiurare.

Per questo sono importanti i tre quesiti su cui la Cgil sta raccogliendo le firme per indire altrettanti referendum: per ripristinare la responsabilità delle aziende sugli appalti, che aumentano il lavoro nero e i pericoli per la salute e l’incolumità dei lavoratori, alimentando l’economia criminale; per abolire l’attuale sistema di voucher che estende quella precarietà che a parole si intendeva combattere; per garantire il diritto di reintegrazione sul posto di lavoro in caso di licenziamento senza giusta causa, con un rinnovato articolo 18 da estendere anche alle piccole imprese sopra i cinque dipendenti.

Il rovescio del Jobs Act ci consegna il compito di ricostruire un nuovo diritto del lavoro, non solo per riconquistare le tutele che ci sono state tolte ma anche per rinnovarle e rispondere ai bisogni di tutte le tipologie e a tutte le diverse condizioni di lavoro. Per riunificare con una base di diritti universali ciò che l’economia e la sua crisi dividono: questo è lo scopo della proposta di legge d’iniziativa popolare basata sulla Carta dei diritti elaborata dalla Cgil. Perché dopo aver denunciato e protestato contro le leggi ingiuste e sbagliate ora è il momento dell’impegno per cancellarle e cambiarle.

Qui, nelle pagine che seguono, un decalogo raccoglie le ragioni concrete – scientifiche, empiriche ed etiche – che dimostrano il rovescio del Jobs Act e la necessità di cambiarlo. Sono il frutto di ricerche ed esperienze di persone appartenenti a professioni diverse – economisti, sociologi, giuslavoristi, giornalisti – che con questo lavoro collettivo dimostrano la possibilità d’accomunare in una stessa esperienza persone altrimenti divise da storie, culture e persino anagrafe: perciò un grande grazie a Francesca Angelini, Valeria Cirillo, Marta Fana, Simone Fana, Francesca Fontanarosa, Giacomo Gabbuti, Dario Guarascio, Elena Paparella, Felice Roberto Pizzuti, Michele Raitano, Christian Raimo, Umberto Romagnoli, Niccolò Serri.

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