Un piano energetico regionale da rivedere profondamente

1 Aprile 2016
disperso"; l'autore, beppecr
Stefano Deliperi

L’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico onlus è intervenuta (26 marzo 2016) nella procedura di valutazione ambientale strategica (V.A.S.) relativa al piano regionale energetico ambientale della Sardegna, adottato dalla Giunta regionale presieduta da Francesco Pigliaru con la deliberazione n. 5/1 del 28 gennaio 2016, dopo un’ampia revisione della proposta precedentemente adottata (febbraio 2014) dall’allora Giunta regionale Cappellacci.

Dall’esame dell’ampia documentazione è emerso un quadro contraddittorio: si parla di energia da fonte rinnovabile, ma aumentano le centrali a carbone, si parla di tutela del suolo, ma le centrali solari termodinamiche vorrebbero mangiare le aree agricole, si parla di metano, ma senza sapere bene a che e a chi servirà, si parla di risparmio energetico, ma fin d’ora la Sardegna esporta il 40% dell’energia prodotta e aumenterebbe la produzione insensatamente.

Questi sono i “numeri” dell’energia in Sardegna, come emergono dal piano energetico adottato che riprende i dati Terna s.p.a. (al 31 dicembre 2014), risultano i seguenti:

* 18 impianti idroelettrici (potenza efficiente lorda MW 466,7; producibilità media annua GWh 706,1)

* 43 impianti termoelettrici (potenza efficiente lorda MW 2.896,8; potenza efficiente netta MW 2.634,8)

* 118 impianti eolici (potenza efficiente lorda MW 996,7)

* 30.222 impianti fotovoltaici (potenza efficiente lorda MW 715,9)

* energia richiesta in Sardegna: GWh 8.804,9; energia prodotta in più rispetto alla richiesta: GWh 4.083,5 (+ 46,4%).

* consumi energia: in Sardegna sono stati utilizzati 8.377,9 GWh al 31 dicembre 2014 (- 2,63% rispetto al 31 dicembre 2013), con un picco massimo di potenza richiesta pari a 1.400 MW nel 2014 (era pari a 2.000 MW nel 2011).

* produzione energia: GWh 13.936,4 (lorda); produzione netta per il consumo: GWh 12.888,4.

* energia esportata verso la Penisola (SaPeI, capacità 1.000 MW) e verso l’Estero (SaCoI, SarCo, Corsica, capacità 300 MW + 100 MW): Gwh 4.083,5; perdita complessiva della rete: MWh 600

* fonte di  produzione: 78% termoelettrica, 11% eolica, 5% bioenergie, 5% fotovoltaico, 1% idroelettrico.  Fonte termoelettrica: 42% carbone; 49% derivati dal petrolio; 9% biomasse.

* emissioni di CO2 dipendenti da produzione di energia elettrica: 9,3 milioni di tonnellate (2014).

* prezzo medio di acquisto dell’energia nazionale (PUN): nel 2014 è stato di 52,08 €/MWh con un decremento rispetto all’anno precedente del 17,3%, confermando il trend del 2013 e raggiungendo il minimo storico dall’avvio del mercato.

Il dato fondamentale della “fotografia” del sistema di produzione energetica sardo è che oltre il 46% dell’energia prodotta “non serve” all’Isola e viene esportato.         Qualsiasi nuova produzione energetica non sostitutiva di fonte già esistente (p. es. termoelettrica) può esser solo destinata all’esportazione verso la Penisola e verso la Corsica.

Nel piano energetico ambientale vi sono disposizioni scarsamente precettive, soprattutto per quanto concerne l’abbandono progressivo di fonti di energia fossili “tradizionali” verso fonti di energia rinnovabile, anche con l’utilizzo di transizione del metano (30% di emissioni inquinanti in meno del petrolio) ponendo in estremo dubbio il raggiungimento dell’obiettivo di coprire con fonti rinnovabili la quota del 17,8% dei consumi energetici dell’Isola entro il 2020, pena sanzioni pecuniarie (D.M. Sviluppo economico 15 marzo 2012, c.d. Burden Sharing), nonchè l’obiettivo del dimezzamento delle emissioni di CO2 e gas alteranti il clima.

Si punta, poi, all’utilizzo del metano. Il gas naturale giungerebbe con un gasdotto sottomarino dalla Penisola (Piombino – Olbia?) oppure con un sistema di depositi costieri e mini-rigassificatori.  Certezze (e fondi) non ve ne sono. A questo punto, dobbiamo chiederci se la Sardegna debba diventare una piattaforma di produzione energetica per le altre regioni: è questo l’obiettivo della Giunta Pigliaru?

La previsione maggiormente contraddittoria appare comunque quella che accoglie la nuova centrale a carbone nell’ambito del “Progetto di ammodernamento della raffineria di produzione di allumina ubicata nel Comune di Portoscuso, ZI Portovesme (CI)” da parte della Eurallumina s.p.a., attualmente assoggettato a procedimento di valutazione di impatto ambientale (V.I.A.).  In proposito, si deve rammentare che l’alluminio è materiale completamente riciclabile e riutilizzabile all’infinito per la produzione di oggetti anche sempre differenti.

L’Italia (insieme alla Germania) è oggi il terzo Paese al mondo per la produzione di alluminio riciclato, dopo gli Stati Uniti e il Giappone. Attualmente ben il 90% dell’alluminio utilizzato in Italia (il 50% nel resto dell’Europa occidentale) è alluminio riciclato e ha le stesse proprietà e qualità dell’alluminio originario: viene impiegato nell’industria automobilistica, nell’edilizia, nei casalinghi e per nuovi imballaggi.

La raccolta differenziata, il riciclo e recupero dell’alluminio apportano numerosi benefici alla Collettività in termini economici perché il riciclo dell’alluminio è un’attività particolarmente importante per l’economia del nostro Paese, storicamente carente di materie prime, in termini energetici, perchè permette di risparmiare il 95% dell’energia necessaria a produrlo dalla materia prima, nonchè sotto il profilo ambientale in quanto abbatte drasticamente le emissioni inquinanti e necessità di molte meno risorse naturali.

Nel 2014 in Italia sono state recuperate ben 47.100 tonnellate di alluminio, il 74,3% delle 63.400 tonnellate immesse nel mercato nello stesso anno: così sono state evitate emissioni inquinanti pari a 402mila tonnellate di CO2 ed è stata risparmiata energia per oltre 173 mila tonnellate equivalenti petrolio (dati Consorzio Italiano Imballaggi Alluminio – CIAL, 2015). Attualmente nel nostro Paese operano undici fonderie che trattano rottami di alluminio riciclato, con una capacità produttiva globale di circa 846 mila tonnellate di alluminio secondario (2014), un fatturato complessivo di oltre 1,57 miliardi di euro e circa 1.500 lavoratori occupati nel settore.  Una soluzione validamente percorribile sul piano energetico, ambientale ed economico-sociale appare la riconversione degli impianti industriali al ciclo dell’alluminio riciclato.

Però, oltre alle pesanti incertezze nel campo della politica energetica, è un triste dato di fatto l’assenza di una vera e propria politica industriale regionale. Sembrano quindi marginali le pur positive previsioni come l’incentivo all’utilizzo delle auto elettriche, soprattutto nelle aree urbane, e le smart grid, le “reti intelligenti” finalizzate alla gestione del consumo di energia da fonti rinnovabili nei vari distretti in cui sarà divisa l’Isola, tanto efficienti da renderli autosufficienti, in primo luogo grazie  ai sistemi di accumulo dell’energia, vere e proprie “batterie” per utilizzare l’elettricità disponibile quando necessario.

In realtà il perseguimento dell’obiettivo appare piuttosto incerto, perché sarebbero attualmente solo 12 i distretti isolani potenzialmente autosufficienti sul piano energetico, cioè circa il 25% degli oltre 24 mila chilometri quadrati della Sardegna: la sperimentazione del nuovo modello è inizialmente prevista solo a Berchidda e Benetutti, perché, a differenza degli altri, questi due centri hanno conservato la proprietà delle reti elettriche a bassa e media tensione. In seguito, tutto dipenderà dai gestori e dai proprietari delle reti elettriche, vale a dire Terna ed Enel Distribuzione da una parte e Cassa Depositi e prestiti e altri investitori istituzionali, cinesi compresi dall’altra.

Per la realizzazione del piano energetico regionale sono disponibili circa 300 milioni di euro (50% fondi comunitari + 50% Fondo statale Solidarietà e Coesione). I maggiori benefici ambientali si sostanzierebbero nel 50% di emissioni di CO2 e gas che alterano il clima in meno, mentre i benefici finanziari sarebbero il 50% dei costi della bolletta in meno, perché la Regione ritiene di poter abbattere gli oneri di sistema.

Le richieste ecologiste sono molto chiare: in definitiva, appare fondamentale ridurre progressivamente, anche mediante disposizioni efficacemente precettive, l’utilizzo di fonti di energia fossili “tradizionali” (petrolio, carbone, olii vari), accrescere l’efficienza energetica, il risparmio energetico e l’utilizzo di fonti rinnovabili con la dovuta attenzione al paesaggio e alla salvaguardia del territorio. In quest’ottica appare sensato l’utilizzo in via transitoria del gas naturale (metano, 30% di emissioni inquinanti in meno del petrolio).

Una via per migliorare il piano energetico ambientale e, soprattutto, renderlo più efficace c’è, basta volerla percorrere.

Nell’immagine: “disperso”, di beppecr

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