Quando c’è di mezzo il mare

1 Giugno 2007

MARE

Marco Ligas

Quando c’è di mezzo il mare c’è anche una terra ferma, magari lontana, e con essa le sue coste. Sono beni comuni o merci? È l’interrogativo che (si) pone Sandro Roggio nella sua ultima pubblicazione, C’e di mezzo il mare (Cuec).
Quello della tutela delle coste e più in generale del governo del territorio è un tema particolarmente caro all’autore e non solo per motivi professionali. Roggio lo affronta con caparbietà e passione, con riferimenti precisi che non lasciano adito a critiche di superficialità o di partigianeria, mettendo in luce il riguardo insufficiente che governanti e costruttori senza scrupoli hanno usato negli ultimi cinquantanni con interventi tesi al consumo del territorio. Parte da lontano, quando l’Aga Khan, scoprendo la bellezza delle coste sarde, le depredò per pochi soldi agli abitanti dell’Isola, dando inizio a quel processo di aggressione dei luoghi col risultato prevedibile che furono trasformati rapidamente in merci (doppie case, alberghi, porti turistici, ecc). Neanche a dirlo, il loro uso fu ben presto destinato a chi possedeva già la ricchezza. Nonostante questo processo di aggressione delle risorse abbia trovato un supporto negli atteggiamenti dei partiti e delle istituzioni, in C’è di mezzo il mare non si coglie una critica animosa nei confronti degli amministratori locali. Roggio è consapevole che i territori dell’Isola non sono mai stati generosi con chi lavorava la terra o praticava la pastorizia, perciò riconosce come siano stati in primo luogo i ritardi culturali e la povertà antica delle popolazioni sarde le cause principali che hanno reso possibile l’arrivo degli speculatori e l’avvio dell’attacco al territorio. Soltanto successivamente, all’apparire dei primi effetti disastrosi, si è acquisita la consapevolezza del danno irreversibile che stava subendo l’isola. A quel punto nessuno poteva più presentare alibi convincenti per giustificare interventi devastanti, né poteva fare ricorso a ipotetiche crescite economiche o dell’occupazione perchè la moltiplicazione delle merci non produceva gli effetti auspicati, ma al contrario ampliava l’area della deturpazione del paesaggio. Eppure la politica (della Regione sarda e dei Comuni maggiormente coinvolti nel progetti del piani edilizi) non solo non ha contrastato quelle iniziative ma le ha alimentate irrobustendo una rete fittissima di interessi e di clientele con i costruttori. Si è trattato di un processo che è andato avanti per decenni e gli effetti prodotti sono difficilmente rimediabili. Qualcosa oggi si muove: cambia intanto la relazione di complicità tra costruttori e operatori turistici, è meno solida che in passato non foss’altro perché chi costruisce le case non ha alcun interesse a condividere le sorti del luogo che inevitabilmente tende a deprezzarsi a causa del deterioramento della risorsa paesaggistica. Ma non è la sola ragione, pur tra molteplici difficoltà e contraddizioni cresce anche tra la popolazione e tra gli amministratori più sensibili una diversa consapevolezza della tutela del paesaggio. E sicuramente questi segnali lasciano intravedere qualche spiraglio perché si verifichino scelte importanti nei comportamenti del potere pubblico. Non sarà facile perchè l’aspirazione all’arricchimento è sempre in agguato e insieme ad essa l’idea che il turismo rappresenti comunque una componente propulsiva dello sviluppo. Ancora una volta sarà la partecipazione democratica a regolare questi processi e, come sostiene Antonietta Mazzette nella presentazione del libro di Roggio, saranno le regole certe e condivise che potranno correggere le distorsioni che sono state sinora prodotte.

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