Il Pd: lettera d’amore Bce *

1 Ottobre 2011

Francesco Paternò

Caro Partito democratico, ma è così che pensi di andare alle elezioni? Enrico Letta e Romano Prodi hanno risposto con una lettera d’amore alla lettera con cui il 5 agosto scorso, la Bce ha costretto il governo Berlusconi a riscrivere per l’ennesima volta la manovra. Eppure, la pubblicazione sul Corriere della Sera della missiva da Francoforte, firmata dal governatore Jean Claude Trichet e dal suo successore Mario Draghi, rivela come alla Bce pensino di far sistemare i conti italiani anche entrando a gamba tesa sui contratti di lavoro e sulle norme che regolano assunzione e licenziamenti (vedi scheda qui sotto), meglio se di corsa con un decreto. Una opposizione decente vi avrebbe letto quantomeno uno sconfinamento di Draghi, ma è successo esattamente il contrario. Il Pd insieme a Romano Prodi ha fatto quadrato intorno alla Bce e dunque intorno a Draghi, in difficoltà dopo che il suo candidato alla direzione di Bankitalia Fabrizio Saccomanni è stato «azzoppato» dal no del ministro dell’economia Giulio Tremonti. La manina che ha passato la lettera al giornale, con certo non nobili intenzioni nei confronti di chi l’ha firmata, è assai sospetta.
Il più stupefacente è stato il vicepresidente del Pd. «I contenuti della lettera di Draghi e Trichet rappresentano la base su cui impostare politiche per far uscire l’Italia dalla crisi – ha tirato dritto Letta – è siderale la distanza tra quelle analisi e ciò che il governo ha concretamente fatto, o meglio non fatto in queste settimane. Qualunque governo succederà al governo Berlusconi, si dovrà ripartire dai contenuti di quella lettera». Davvero un bel viatico alla campagna elettorale, se mai si voterà prima del 2013. E per non essere frainteso nelle sue vere intenzioni, Letta in serata ha aggiunto una nota a margine, sposando il «manifesto delle della crescita» con cui la Confindustria di Emma Marcegaglia sta martellando il governo. «Il manifesto è una svolta importante per la situazione di stallo che sta vivendo il paese», dice Letta, pronto insieme al suo partito «a confrontarci e a fare lunga strada insieme agli estensori del manifesto per dare, ognuno nella sua responsabilità, un contributo all’uscita dell’Italia dalla crisi».
Da compagni di strada nuovi a quelli vecchi (non anagraficamente) come Romano Prodi. Per il quale la lettera è un «atto dovuto» e nulla più. «Quella lettera è tutto. È una lettera che mette le cose in chiaro ed è poi anche un atto dovuto, d’altronde al mondo ognuno fa il suo mestiere», dice l’ex premier, anche se non si capisce perché da Francoforte due governatori di banche centrali debbano sollecitare nuove regole sui licenziamenti saltando il parlamento, invece di occuparsi di politiche monetarie come da statuto.
A conferma che il Pd sia fuori di testa basterebbero le parole euforiche dei due ministri più zerbinianamente berlusconiani.
Il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, si è detto infatti «molto soddisfatto» della pubblicazione della lettera, perché dimostra che «avevo ragione, nella lettera c’è l’indicazione sull’art.18. Nel testo viene chiamato in inglese ‘dismissal’ ma a a casa mia, si chiama articolo 18». Già che c’è, Sacconi aggiunge del suo, sostenendo che «la richiesta della Bce, peraltro è coerente con quanto da noi fatto con l’art.8, sia a livello di contrattazione aziendale sia nel rendere più agevole l’uscita dal lavoro». «Se confrontiamo gli ultimi provvedimenti presi dal governo da maggio ad agosto, corrispondono al 95% delle indicazioni date dalla Bce», plaude il ministro della Pubblica amministrazione, Renato Brunetta, «noi abbiamo bloccato in maniera intelligente la contrattazione proprio per far convergere la dinamica retributiva rispetto al privato nell’arco di tre anni». Chissà se Letta li ha sentiti: nel dubbio, il capogruppo del Pd ha chiesto un’audizione di Draghi alla Camera sulla lettera. Repetita iuvant?

* il manifesto, 30 settembre 2011, p. 4

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