Ripartire dal lavoro

1 Marzo 2009

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Marco Ligas

La campagna elettorale è finita e riemergono, fuori dai proclami propagandistici, i vecchi problemi. Sono circa un migliaio i lavoratori, compresi quelli dell’indotto, che rischiano di perdere il posto all’Euroallumina. Non bastano gli incatenamenti ai cancelli delle fabbriche o le marce dei sindaci per le strade della capitale per modificare decisioni assunte prima delle elezioni e formalizzate successivamente. Purtroppo questi lavoratori non sono i soli in Sardegna, la condizione degli occupati delle altre fabbriche è analoga, a rischio di licenziamento o di cassa integrazione. La crisi investe tutto il settore industriale, quello che nei decenni precedenti è stato presentato come il volano della rinascita dell’isola.
Per capire meglio la dimensione della crisi è utile partire da alcune informazioni diffuse dall’Assessorato regionale al lavoro già nel mese di novembre. Si sottolineava allora come le esportazioni rappresentino una  variabile importante per la solidità di una struttura produttiva, per il suo livello di competitività e la sua dinamica.  Questi indicatori, validi in generale, lo sono soprattutto in Sardegna. A causa della sua modesta estensione e della limitata popolazione, infatti, l’isola non può basare il proprio sviluppo puntando soltanto sul mercato interno. Ebbene, i dati sulle esportazioni (forniti dall’Assessorato) indicano una debolezza della struttura produttiva. Nel 2004 la Sardegna si trova al 14° posto nella graduatoria nazionale. Questa posizione, già di per sé poco rassicurante, peggiora se si tiene conto che la composizione delle esportazioni è rappresentata in larga parte, per il 75%, da prodotti petroliferi e chimici. Ma questa produzione è destinata a ridursi notevolmente proprio perché è l’industria petrolchimica a subire gli effetti più devastanti della crisi. La Sardegna rischia dunque di diventare drammaticamente il fanalino di coda del Mezzogiorno per la percentuale delle esportazioni sul Pil. Sono molto preoccupanti anche i dati sulle esportazioni agricole e sull’industria agro-alimentare fermi intorno all’1%. Pur non considerando il Pil l’unico indicatore capace di rappresentare il benessere di una società, è indubbio che siamo di fronte ad uno dei maggiori limiti dello sviluppo dell’economia sarda, dovuto anche alle dimensioni delle imprese produttrici, troppo piccole per raggiungere l’efficienza distributiva ed una credibilità adeguata. È notevole anche il grado di dipendenza dalle importazioni, aspetto che consolida ulteriormente la mancanza di autonomia dell’economia isolana.
Da questi dati emerge come, nei decenni trascorsi, le notevoli sovvenzioni pubbliche a sostegno delle iniziative private siano state caratterizzate, se non dal clientelismo, dall’improvvisazione; anziché individuare e promuovere le attività necessarie per porre l’isola al riparo dagli effetti della crisi, sono stati offerti ai privati ‘contributi in libertà’, mai subordinati ai risultati da conseguire. Soprattutto non si è badato alla stabilità dei comparti industriali, né alla loro capacità di tutelare l’ambiente e la crescita dell’occupazione. Anche quando sono emersi i primi segnali della crisi si è continuato con le politiche del rattoppo, della concessione di nuovi contributi nell’illusione che potessero correggere un indirizzo industriale ormai compromesso. Sono mancati, come abbiamo più volte sottolineato, il coraggio e la capacità di avviare le politiche di riconversione dell’economia, in grado di modificare al tempo stesso i nostri modi di produrre.
Oggi, sulla scia della crisi che sta travolgendo l’economia mondiale, si parla nuovamente di aiuti su grande scala alle banche e alle imprese, e si prevedono interventi ancora più massicci perché si possano rilanciare le attività produttive e alimentare nuovamente i consumi. È l’unica strada – si sottolinea –  perché il sistema economico possa riprendersi e garantire migliori condizioni di vita. Ma ancora oggi nessuno vincola gli investimenti del denaro pubblico ad una svolta, all’obbligo per le imprese perché tutelino l’ambiente e garantiscano nuovi livelli di occupazione. In Sardegna non abbiamo neppure questi segnali. Si profila piuttosto il rischio che venga costruita, dopo l’accordo col governo francese, una delle quattro centrali nucleari di terza generazione (tra le altre cose non viene garantita alcuna soluzione per lo stoccaggio delle scorie).
Non resta che un’alternativa: usare tutte le nostre energie per respingere questa prospettiva e informare, a partire da oggi, tutti i cittadini sardi dei pericoli a cui questo governo irresponsabile ci sottopone. In Sardegna come nel resto del paese c’è bisogno più che mai di lavoro, ma di un lavoro che rispetti la dignità delle persone e possa essere al tempo stesso strumento di crescita culturale e di miglioramento dell’ambiente fisico dove viviamo. Questo diritto oggi è attaccato da un decreto antisciopero che il governo vuole sperimentare nel settore dei trasporti: prevede la comunicazione in anticipo dell’adesione allo sciopero e l’imposizione dello sciopero virtuale, vale a dire l’attività lavorativa senza retribuzione!
Naturalmente perché questo disegno venga sconfitto è necessario mobilitarsi con spirito unitario e con una determinazione rinnovata. Ne saremo capaci?

1 Commento a “Ripartire dal lavoro”

  1. ANDREA CONTU scrive:

    Poco numerosi e sfiduciati gli operai giunti a Carbonia per protestare contro la chiusura del polo industriale di Portovesme. Eppure è da lì che bisogna ripartire.
    Arrivano alla spicciolata, srotolano gli striscioni e iniziano a scandire i loro slogan ma si capisce che per oggi tutto si fermerà alla semplice testimonianza o “visibilità mediatica”.
    Del resto la notizia è filtrata: i rappresentanti sindacali il giorno prima si sono accordati con i dirigenti della questura per un blocco di mezz’ora.
    E’ difficile comprendere se si tratti di sfiducia, tattica, irresponsabilità, eccessiva responsabilità o altro: forse semplicemente si spera che vada a finire come sempre, con la politica che arriverà all’ultimo secondo utile a metterci una pezza. All’arrivo dei ciclisti ecco gli slogan di protesta:“l’eurallumina non si chiude”e “Otefal deve riaprire”.
    E qui sarebbe dovuto iniziare il blocco: ma il blocco non c’è, non si fa, si avanza in corteo per una decina di metri e ci si dispone ai lati del parterre.
    E’ un momento surreale con gli organizzatori del Giro che con i megafoni danno il via al corteo, dispongono gli operai sui lati con indicazioni da veri e propri registi del cinematografo: voi più a destra, no a sinistra.
    La carovana passa e nel giro di qualche minuto è tutto finito,gli improvvisati registi danno il buffetto ai protestanti: “bravi ragazzi! avete visto? Avete avuto la vostra visibilità, grazie mille e arrivederci!”.
    Resta un senso di amaro in bocca.

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