Notti padane. La trattativa

1 Settembre 2012
Valeria Piasentà
Stanno trattando. Ce ne informa Vannino Chiti (Pd): «Non penso che sia corretto affermare che non si è tenuto conto delle osservazioni di tutti, Lega compresa. Mi spingo più in là. Sono disponibile a portare avanti un’ipotesi alternativa al 5% di sbarramento, ovvero l’8% in almeno tre regioni. Ci sono forze politiche, infatti, che hanno un insediamento territoriale e che potrebbero essere penalizzate, ma è interesse della democrazia garantire a tutti la rappresentanza che gli spetta». L’on. Chiti nel 2002 pubblicò un libro dal titolo profetico: La politica come servizio alla speranza. Ora qualcuno deve avvisarlo che oggi molti italiani non sono democraticamente rappresentati, né in Parlamento né in fabbrica. E di speranza nei partiti politici, anche in quella sinistra che lui rappresenta, ne conservano poca. E che così sottoposta a compromessi la nuova legge elettorale, semmai si farà, si presenterà come l’ennesima legge truffa ‘all’italiana’, dove le regole si ritagliano al millimetro come un abito d’alta sartoria sulle esigenze particolari e sotto le pressioni dei pochi a discapito dei tanti, oggi di un manipolo di politici già sfiduciati dalla loro base.
Così Ferrero (Prc) in una dichiarazione del 23 agosto, all’agenzia Asca: «Con questa legge elettorale possiamo anche non andare alle elezioni. Serve unicamente a santificare il governo Monti, destinato a durare nel tempo, e a tenersi buona la Lega Nord … c’è una sola possibilità per contrastare questa schifezza: la costruzione di una lista unitaria alternativa e di sinistra che si ponga esplicitamente l’obiettivo di rovesciare le politiche antisociali del governo Monti e dell’Europa. L’appello, quindi, che faccio a Di Pietro, a Vendola e al complesso delle forze di sinistra è quello di rompere gli indugi e di costruire un polo dell’alternativa che si candidi al governo del paese in alternativa al governo Monti». Neppure Maroni crede che il Porcellum bis vedrà la luce prima delle prossime politiche, quando spera di allearsi con un Pdl del nord frutto di scissione dal partito centrale che appoggia il governo Monti, meglio se a condurlo sarà Formigoni. E Formigoni sta già appoggiando il progetto leghista di una macroregione del nord, l’ha presentato a Trieste insieme al governatore del Friuli Venezia Giulia preannunciando una riunione a settembre con Cota e Zaia.
Ne hanno parlato i nostri leghisti alla loro festa di Bergamo e ora varano la «campagna di autunno del partito» (Maroni) con gli Stati generali a Torino Lingotto il 28 e il 29 settembre, e un tour dal 7 ottobre a Venezia fino al 7 aprile 2013 a Pontida, scandito da tappe mensili per illustrare le proposte politiche e raccogliere firme per un referendum sull’euro e l’Europa.
La campagna è iniziata il 18 agosto in Sardegna «Dalla Sardegna, terra di una grande tradizione indipendentista, deve partire un segnale forte per tutta l’Europa, vogliamo che intorno alla Lega si uniscano tutti i movimenti che condividono le nostre aspirazioni» (Maroni). La proposta è quella di fondare un movimento autonomo insieme alla Corsica e a guida leghista, finalizzato alla fondazione di macroaree alternative agli Stati nazionali, progetto al quale sta lavorando Cota che alla stessa assemblea ha lanciato il referendum sull’uscita dall’euro.
In previsione delle elezioni politiche, il nuovo segretario della Lega Maroni si sta impegnando a fondo per ripulire l’immagine del partito dalla paccottiglia bossiana, allontanando anche la sua immagine dagli storici raduni, dal concorso di bellezza Miss Padania e dall’agone sportivo tradizionale pertinenza di Renzo Bossi ‘il trota’. Insieme al nuovo gruppo dirigente ha reimpostato le coordinate dei desueti secessione e federalismo organizzati nel progetto più razionale delle macroregioni: tutto ciò basterà per convincere il loro popolo, per recuperarne fiducia e voti, per compattare una Lega oggi a rischio di scissione senza continuare con le epurazioni come a Padova, dove la sezione filo-bossiana è stata commissariata?
E’ tutta in salita la strada seguita da Maroni per trasformare la Lega in un partito della tradizione italiana. Il movimento negli ambiti locali si rappresenta diversamente, e quello che Chiti e altri si ostinano a definisce ‘insediamento territoriale’ si declina in una realtà spesso paradossale e sempre connotata dalla tipica chiusura mentale leghista. Come a Lecco, ridente cittadina affacciata su quel ramo del lago di Como di manzoniana memoria, città passata al centrosinistra nel 2010 dopo 17 anni di ininterrotto dominio leghista e a seguito della sonora sconfitta dell’illustre candidato Castelli. A Lecco ora si è aperta la ‘guerra dei cartelli’.
Il sindaco in carica sta sostituendo i cartelli segnaletici in dialetto con altri in lingua italiana, un ignoto sostenitore della Lega ha incollato una H adesiva a stampa (un professionale prodotto tipografico) sul nuovo cartello all’ingresso della cittadina, così da ripristinarne in nome vernacolare. La H non si scolla senza rovinare la scritta sottostante e il tutto è finito all’ o.d.g. del consiglio comunale, dove la capogruppo leghista dichiara: « il sindaco non campi scuse … dica sinceramente che quelli che ha tolto li ha voluti togliere perché li ha messi un’Amministrazione leghista». Forse la Lega locale non ha  ancora accettato la sconfitta, di certo rivendica l’importanza dei suoi simboli coi quali marchia un territorio considerato di sua esclusiva proprietà, secondo la più tipica mentalità feudale. Malgrado le buone intenzioni del nuovo segretario Maroni, i leghisti mostrano quotidianamente la loro natura.
Come quelli veneti che, nella pagina ufficiale della Łiga Veneta su Facebook e parafrasando la querelle sulla trattativa Stato-mafia, qualche giorno fa hanno pubblicato l’immagine che vedete più sopra, un montaggio fotografico dove lo stereotipo visivo di un terrorista (passamontagna e occhiali neri) però con la mostrina della Łiga sul giubbotto (nero) e la loro bandiera col leone alato sullo sfondo (al posto delle tradizionali insegne di brigatisti e terroristi), punta una pistola alla tempia del Presidente Napolitano. Il sottotitolo recita: Italiani, noi veneti siamo pronti a trattare! Ed ecco alcuni commenti postati: «Perché il terrorista non spara subito alla testa del vecchio?», «Sarebbe troppo bello levarcelo di torno», «Napolitano non vale il costo di un proiettile». Dopo molte proteste e qualche denuncia alla polizia postale, la foto è sparita. Resta il fine intendimento. Anche con questi leghisti sta ‘trattando’ il Pd di Vannino Chiti?

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