Un ritratto allarmante

1 Novembre 2012
Michela Caria
Spesso si afferma che il sistema di istruzione di un Paese sia la fotografia di come quel paese o Nazione intendano la società e la democrazia; se dovessimo fare oggi una fotografia della scuola italiana il ritratto che ne verrebbe fuori sarebbe allarmante e desolante.
È sufficiente ricordare che negli ultimi tre anni sono stati espulsi dal mondo della scuola 154.000 lavoratori, tra docenti e ATA, per rendersi conto delle proporzioni della catastrofe. Nella nostra Regione i lavoratori della conoscenza falcidiati dall’ultima riforma Gelmini sono stati 4500 circa, a ciò si aggiungano: i piani di Dimensionamento Regionale e l’accorpamento delle istituzioni scolastiche (che hanno privato i paesi dell’interno dell’unica presenza dello Stato, oltre alla caserma dei carabinieri), la riduzione delle ore di sostegno per gli alunni diversamente abili, l’eliminazione delle ore di compresenza nella scuola primaria, la cancellazione del tempo pieno e del tempo prolungato, la soppressione dei corsi sperimentali (con la motivazione che fossero troppi e inutili), l’innalzamento degli alunni per classe e il taglio ai collaboratori scolastici (con il conseguente peggioramento degli standard di sicurezza per tutti coloro che lavorano nelle scuole o che ci passano gran parte della loro giornata).
Al disastro in atto si aggiunga l’umiliazione delle frasi provenienti dal ministero all’indirizzo di chi lavora nella scuola: Ci sono più bidelli che carabinieri, I precari sono l’Italia peggiore; fino ad arrivare alla necessità di usare il bastone e la carota con i docenti che nel senso comune vengono identificati come categoria di fannulloni, scansafatiche che lavorano troppo poco e rubano lo stipendio.
Al di là della facili battute, la situazione odierna ci dimostra chiaramente che la scuola statale è in agonia e l’approvazione della Legge di stabilità potrebbe infliggere il colpo mortale al sistema dell’istruzione pubblica.
Le statistiche ci dicono che nel 2011 i lavoratori precari erano 3,5 milioni pari al 15,5 % di tutti i lavoratori italiani. Dal 2009 ad oggi il numero dei lavoratori precari è raddoppiato, con particolare incidenza tra le donne e i giovani under 35. La situazione che oggi si evidenzia in tutto il Paese è invece consolidata da almeno 25 anni nel mondo della scuola, dove la forza lavoro precaria è stata in alcuni momenti predominante e vitale alla sopravvivenza stessa delle attività scolastiche. Si potrebbe addirittura affermare che la scuola sia stata una palestra di precariato, con un modello da esportare negli altri settori produttivi del paese.
È proprio a scuola che i giovani italiani vengono addestrati alla precarietà: docenti precari che si avvicendano nelle classi di mese in mese, docenti di ruolo che cambiano ogni anno sezione o  scuola con buona pace della continuità didattica e della possibilità di instaurare un rapporto proficuo e duraturo con gli studenti. A questo si aggiunga l’introduzione dei contratti atipici. Basti pensare alla salva precari o agli accordi Stato-Regione, come il famigerato accordo Baire Gelmini, che ha introdotto e legittimato i co.co.pro: insegnanti di serie A (quelli che di mattina svolgono le classiche funzioni di docenza) e insegnanti di serie B (i precari che nel pomeriggio vengono impiegati nelle mansioni più disparate: dai corsi di recupero o potenziamento, passando attraverso i corsi di teatro, senza magari avere alcuna competenza in materia, per arrivare alla gestione della biblioteca scolastica). In aggiunta a ciò si pensi che nelle scuole si compiono atti che sono impensabili in altri settori produttivi per cui ci sono lavoratori che per 20 anni si vedono rinnovare il contratto dal 1 settembre al 31 Agosto senza arrivare mai ad una stabilizzazione. Ciò che è illecito in altri ambiti lavorativi viene praticato nella scuola da decenni.
Mentre si chiedono sacrifici ai lavoratori della scuola pubblica i finanziamenti alla scuola privata sono intoccabili ed anzi aumentano di anno in anno, per cui se da un lato si vorrebbero innalzare le ore di lezione da 18 a 24, con il conseguente taglio di altri 10000 docenti, dall’altro non sono messi in discussione i 223 milioni di euro per le scuole paritarie.
A parte le ricadute catastrofiche che questo avrà sul personale attualmente in servizio, c’è un aspetto altrettanto importante e forse poco sottolineato e cioè che verranno espulsi dal mondo della scuola coloro che hanno studiato per almeno 2 anni per diventare docenti. Se in precedenza si diventava docenti per caso, negli ultimi 12 anni, con la creazione delle SSIS, l’insegnamento è diventato un lavoro non più improvvisato o lasciato al buon senso del singolo docente, ma un lavoro specializzato e altamente professionalizzato. Se la legge di Stabilità dovesse essere approvata la scuola italiana perderebbe menti brillanti ed entusiaste che sarebbero potute essere artefici di un vero cambiamento. Verranno lasciati a casa i giovani professori, quelli che mancano nelle statistiche nazionali, quelli che dovevano essere promotori della scuola del domani per raggiungere gli standard europei tanto citati.
A questo proposito è interessante sottolineare come in nessun Paese europeo l’istruzione sia tenuta in così poco conto come in Italia. Oggi l’unico Paese europeo a cui sembra che ci stiamo allineando è la Grecia dove i provvedimenti di austerità hanno portato ad una drastica riduzione degli stipendi dei dipendenti pubblici e al licenziamento degli stessi, mentre da noi sarebbero licenziati in tronco altri 10 mila precari, il tutto con la giustificazione che l’Europa ce lo chiede. Ma quale Europa? Di sicuro non l’Europea dei popoli, ma quella dei tecnocrati in salsa neoliberista. Nessun passo viene fatto invece in direzione di una vera equiparazione agli standard Europei a confronto dei quali il nostro sistema di istruzione sembra davvero da terzo mondo, basti pensare alle strutture fatiscenti, alle dotazioni tecniche totalmente insufficienti ed inadeguate o ai salari che sono risibili se confrontati a quelli degli altri paesi europei.
Il vero sconforto è che qualunque attacco alla scuola pubblica passa sotto silenzio, senza nessuna vera protesta e soprattutto senza una forte opposizione parlamentare tanto che il DDL Aprea in commissione è stato approvato quasi all’unanimità. In un simile contesto è molto difficile che la scuola italiana centri il suo obiettivo principale cioè quello di formare cittadini sovrani e consapevoli e ancora meno può diventare la via di uscita dalla crisi. Forse perché la cultura in generale non genera Pil e il tracollo culturale e dell’istruzione non importa a chi è interessato ai titoli quotati in borsa e alla azioni e poco interessa alle forze politiche di sinistra che rispolverano lo slogan della difesa della scuola pubblica solo quando si sente profumo di elezioni. Forse dovremo aspettare Gennaio con l’inizio della campagna elettorale per vedere la scuola di nuovo al centro dell’agenda politica?

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