1 Marzo. Una giornata senza di noi

1 Marzo 2010

immigrati

Gianni Loy

Cioè una giornata senza di loro, gli immigrati, che proprio il 1° marzo hanno proclamato il loro primo sciopero generale. Non si fermeranno, in realtà, ma hanno lanciato un messaggio. E’ nato un movimento, esteso a tutta Europa, sicuramente destinato ad essere un importante interlocutore nei prossimi anni.
In tutta Italia sono previste, per oggi e per prossimi giorni, manifestazioni e dibattiti. A Cagliari per tutto il pomeriggio nella Facoltà di Scienze politiche, dove alle 17 si svolgerà un seminario dal tema “Il lavoro decente”, e poi in Piazza Carmine.
Una giornata senza di loro. Proviamo ad immaginarla, ma dopo esserci liberati di tutto il nostro filantropismo, di tutta la nostra carità cristiana, di tutto il nostro amore per il prossimo. Dopo esserci liberati del nostro lessico quotidiano e dei nostri stereotipi. Smettiamo di parlare di accoglienza. Abbandoniamo le immagini che ci mostrano gente disperata abbandonare la propria terra, i morti nel deserto, i cadaveri nel mediterraneo.
Fuggono dalla guerra e dalla miseria? Cercano la terra promessa? Magari. Però questo è il loro punto di vista. Perché mai dovremmo porci nei loro panni?
Almeno per una volta, almeno in questa occasione, proviamo a riflettere non dal “loro” ma dal “nostro” punto di vista. Dal nostro punto di vista di indigeni, o autoctoni, che da anni vedono le loro terre invase da milioni, ormai, di cittadini di tutto il mondo.
Cosa rappresenta, per noi, la loro presenza? Diciamocelo, una volta tanto, con il maggior tasso di egoismo di cui siamo capaci. Abbiamo convenienze, abbiamo svantaggi? Dove si pone il punto di equilibrio dei costi-benefici (ormai parliamo tutti come economisti).
Il titolo dato alla giornata di protesta agevola sicuramente la nostra riflessione: una giornata senza di loro. Che sarà mai? Come sarà la nostra giornata senza più immigrati in mezzo ai piedi? Sicuramente potremo evitare i fastidi di chi, tutti i giorni, ci molesta ai semafori. Ho detto proprio ci molesta: perché oggi ci siamo ripromessi di esser genuinamente e sinceramente egoisti. Poi, magari, ci verrà anche in mente che se ci abbandona la badante ci troveremo in difficoltà. Io ricorderò come mio padre ha passato bene i suoi ultimi mesi di vita grazie ad una badante clandestina. E Totore Sanna incomincerà a pensare che se il servo pastore se ne ritorna in Albania avrà difficoltà serie per rimpiazzarlo. Maestra Maria si troverà disoccupata, come almeno un dieci per cento delle sue colleghe, quando Yang Sem, Baymbay e decide di altre migliaia di piccoli scolari, tra cui non pochi clandestini, saranno spariti. Tremonti, magari sarà contento per l’ulteriore risparmio. Ma quello è il suo di egoismo, non il nostro. Chiuderanno gli altiforni. E potremo fare a meno di una caterva di lavoratori di bassa manovalanza? Siamo sicuri che potranno esser rimpiazzati dai nostri disoccupati?
I pomodori, le olive ed una montagna di altri prodotti marciranno in cielo e in terra. Ma quelli son quasi tutti clandestini, dirà qualcuno. Molti di loro, sicuramente. Ciò significa che non importa se i prodotti si perdano? O che stuoli di italiani correranno prendere il loro posto di lavoratori in nero per pochi spiccioli? O che quando nessun clandestino lavorerà più nei campi, quei padroni (scusate il termine) incominceranno a dare la paga sindacale ai nuovi raccoglitori bianchi.
Ciascuno ha il suo egoismo, o se volete la sua convenienza. Perché magari ci verrà in mente che senza gli infermieri stranieri qualche problema lo avrebbe anche il nostro sistema sanitario. E ciascuno potrà aggiungere, secondo la propria conoscenza e sensibilità, altre piccole o grandi convenienze della loro presenza.
Ma non saremo più molestati all’atto del parcheggio. O meglio, i parcheggiatori abusivi saranno tutti italiani. E diminuirà anche il numero di spacciatori. Questo si che sarebbe un bel contrappeso. Quindi circolerà meno droga? Non verranno sostituiti da altri spacciatori? O no?
E non dimentichiamo che i lavoratori stranieri, regolari o clandestini che siano (la funzione economica non cambia), costituiscono un importante strumento di flessibilità che, proprio di questi tempi, consente di render meno drammatica la crisi occupativa degli autoctoni. Come quando, licenziati al nord, stranieri regolari sono andarti a lavorare in nero nelle campagne del sud.
Vorrei sia chiaro che non appartengo ai fanatici della multiculturalità e che penso che molti di questi amici che oggi abitano con noi potrebbero e dovrebbero stare meglio a casa sua. In un mondo più giusto, però. Solo che voglio smetterla di affrontare temi drammatici come quello delle migrazioni, con approcci ideologici, caritatevoli, superficiali. Smettiamola di ragionare dal loro punto di vista: Perché vengono, da cosa fuggono… ed esercitiamoci con il nostro, egoistico, punto di vista: Possiamo veramente farne a meno? Cosa sarebbe senza di loro? E guardare in faccia la verità in maniera ancora più cruda: Ma non è che siamo noi a chiamarli per evitare che la nostra economia si sfasci, che la nostra convivenza civile regredisca?
Tutto il resto sono dettagli, anche la questione della clandestinità. Immaginiamo di rimpatriare tra mezzo milione ed un milione di clandestini. Cosa accadrebbe delle attività che essi svolgevano. Potrà farne a meno la nostra economia o potranno farne a meno i privati che le utilizzavano? Saranno svolte da i disoccupati italiani?
Immaginiamola davvero, dal nostro punto di vista, una giornata senza di loro. E quando la immagino, persino il termine accoglienza mi da fastidio. Si accoglie chi fugge, potrebbe valere per i rifugiati, per l’asilo politico. Ma ai lavoratori che chiamiamo in Italia per far girare la nostra economia o accudire ai nostri cari si devono si devono soprattutto riconoscere i diritti. Devono essere uguali, nei doveri e nei diritti.

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