Le torri, i metalli, il mare

16 Marzo 2010

Grutt'acqua

Marcello Madau

Le torri, i metalli, il mare. Storie antiche di un’isola mediterranea”, edito da Carlo Delfino, è un viaggio marino, sardo e mediterraneo, con il quale Paolo Bernardini, a lungo direttore archeologo della Soprintendenza cagliaritana e ora docente universitario, opera una  decisa innovazione metodologica e interpretativa della storia antica della Sardegna. Due le edizioni del libro, l’una ‘severa’ (in copertina nave fenicia da un bassorilievo assiro), l’altra ‘per ragazzi’ (un fumetto dalle suadenti tonalità pastello che mostra una costa nuragica). Ma testo ed immagini sono uguali. Se qualcuno sentisse crisi di astinenza della forma ‘manuale’, diremo che Paolo Bernardini trasforma il ‘manuale’ di archeologia in racconto, come gli antichi narratori che facevano girare le storie e costruivano cultura. In un racconto da manuale. Dall’età del Bronzo nuragica alla conquista di Cartagine, fra il XVI e la fine del VI secolo a.C., il viaggio si dirige, mollati gli ormeggi, verso occidente, ciò che fa presupporre una partenza orientale. E, dopo ‘Navigando verso Occidente’, ‘Racconti di viaggio. L’isola degli dei e degli eroi, il mare degli incanti”,  “La Sardegna e i Fenici” e “Il Mediterraneo mutato”, sarà  ”Approdo”.
Paolo Bernardini è un archeologo dalla formazione eversiva. Succede anche dentro la cosiddetta ‘torre ‘d’avorio’. Egli è un sardo che ha studiato in terra di Sardegna, un’orientalista di formazione etruscologa,  laureato a Cagliari con Mario Torelli in una delle stagioni più felici di costruzione dei saperi archeologici della Sardegna. Inoltre parla in maniera competente del mondo nuragico (diverse e ricche le sue incursioni nel mondo aristocratico delle tholoi, in quello dei bronzetti e della statuaria), intrattenendo talora fruttuose dialettiche con Babay Lilliu, comandante della prima generazione della nostra Sard Trek archeologica.
Si parte con la Sardegna ed i Micenei, dal nome della città paleogreca più potente, che diede Agamennone e la sua potentissima flotta. I nomi degli stili ceramici sono spesso fatti per annichilire, nella loro convenzionalità, identità e luoghi. La  ceramica micenea più facilmente riporta alla vicina Argo o alle più lontane  Creta e Cipro. Al Vicino Oriente quella ‘filistea’.
Ciò che conta, però, è che la lettura dell’interazione mostri una Sardegna nuragica tutt’altro che arretrata. Siamo agli antipodi della visione idealizzata di una società ‘selvaggia’ ed egualitaria sempre pronta, secondo coloni e colonizzati,  a ricevere gli insegnamenti e le visite interessate dei conquistatori di turno. Una compagine socialmente stratificata, con divisione del lavoro evoluta. Questo è uno dei rari libri di archeologia sarda dove la storia si legge come frutto di assetti materiali e relative costruzioni ideali, a loro volta in grado di costituire scenari realistici per oggetti famosi come bronzetti e grandi statue. E il mare era attraversato, con rotta verso oriente, da navi nuragiche sino al porto commerciale della celebre Festòs, nell’isola di Creta, dove gli scavi di Kommos hanno rivelato significative quantità di ceramica nuragica.
Un altro incontro pulsante è quello con i discussi Sherden: Bernardini invita a non trarre conclusioni troppo stringenti sulla base delle iconografia egiziane (che talora accomunano gruppi diversi in scene e trattamenti iconografici di genere), e ne colloca la storia formativa in ambito egeo ed orientale. Ma pensa che essi, pirati e guerrieri non necessariamente di unica etnìa, siano approdati in Sardegna fra il XII e l’XI secolo a.C., assieme al flusso di genti Peleset.
Che bella la Sardegna che si compone intersecando trame e segni orientali a quelli africani e ‘occidentali’.  Complessità indicata con grande evidenza dalle fonti, trattate in modo approfondito nel secondo capitolo: ecco allora Sardò, Lybie, Tartessos, Cipro e Tiro. Melqart ed Heraklès si sdoppiano e riuniscono, come in un magico gioco di specchi, fra le più antiche e vere ‘colonne’, da Gibilterra ai mari dell’Egeo e del Vicino Oriente. Racconti poi trasmessi in Sardegna, nell’età della colonizzazione e dei nuovi, rivoluzionari sistemi urbani: responsabili navigatori greci e fenici. Quelli di Eubea, le cui navi lasciarono la scia dei suffissi in ‘oussa’ (Pithekoussa, Ichnoussa, Koutinoussa) e quelli della ‘Fenicia’ (anch’essa, in realtà, plurietnica: tirii, sidonii, aramei, siriani), viaggiatori comuni e assieme a Sulci e Ischia, Malaga e Cartagine, la siriana Al Mina e la sarda S. Imbenia.
L’invito a percorrere questi mari è affascinante. L’omerico riso sardonico, il “sardànian gelòs” che il vecchio mendicante nelle cui spoglie si nascondeva Odisseo, riservava al principe dei Proci che gli lanciava con violenza una zampa di bue, è l’eco di una storia sarda legato agli anziani che Omero probabilmente, secondo l’autore, dovette conoscere. Molte altre le cose interessanti. Da leggere. Monti Prama (delle statue nuragiche Bernardini è studioso attento e riconosciuto), la battaglia del Mare Sardonio, la fine dell’incanto nuragico… Lungo i capitoli di questo magnifico libro è forte la passione civile per una lettura meticcia, e non nazionalista, della nostra multiforme identità, radicata nella storia e nella scienza. Fortunatamente lontana, come scritto da Bernardini in un suo recente contributo per il ‘Manifesto Sardo’ da quel  “mito dell’isola che rifiuta la sua mediterraneità e che si esalta nell’isolamento e nell’estraneità” che “ha gran parte nella ricerca esasperata e nevrotica di un’identità artificiale e artificiosa così come il suo contrario, le vicende marittime dei Sardi signori degli oceani avanzate da una pseudo-storia analfabeta e tracotante; ma dietro, spesso non capite, vi sono le regole, non scritte ma potentissime, del colonialismo vecchio e nuovo, legate al predominio a-storico di un sistema-mondo in cui il centro sempre civilizza la periferia e insieme la opprime”.
Nel suo approdo Paolo Bernardini auspica altri marinai e vede altre vele. Noi speriamo che la sua nave inizi presto un nuovo viaggio, e che la flotta diventi numerosa.

1 Commento a “Le torri, i metalli, il mare”

  1. Paolo L. Bernardini scrive:

    Ho scritto anche io un pezzo (sono un omonimo del Prof. Bernardini, e docente anche io)
    Saluti cordiali
    Plb

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