Acqua diseguale

16 Marzo 2010

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Pierluigi Carta

“Da qui a dieci anni, più alcun uomo, donna o bambino, si coricherà la sera soffrendo la fame”, affermava nel 1974 Henry Kissinger, il Segretario di Stato americano, in occasione della prima Conferenza Mondiale dell’Alimentazione. Trentacinque anni più tardi il mondo non ha mai conosciuto una crisi alimentare di maggior portata. Una delle cause? Un’ineguale distribuzione delle risorse idriche. All’alba del XXI secolo, il divario rispetto all’accesso all’acqua provoca una nuova disuguaglianza planetaria. Negli ultimi anni molte pubblicazioni scientifiche e sociologiche hanno posto al centro del dibattito l’acqua e la sua disponibilità nel medio periodo, come l’elemento più delicato e necessario per lo sviluppo dell’uomo o più realisticamente per la sua sopravvivenza nel mondo. Il terzo rapporto mondiale sulle risorse acquifere, pubblicato il 12 marzo 2009 dalle Nazioni Unite, ha mosso un appello ai governi per “agire d’urgenza per evitare una crisi globale”. L’acqua è il cuore di numerosi fattori di sviluppo. La maggior parte degli attori scientifici mettono in correlazione la mancanza di accesso all’acqua potabile per un gran numero di abitanti, per la più parte situati nei paesi poveri, e il sottosviluppo degli stessi paesi. La mancanza di una sorgente di approvvigionamento perenne va ad impattare l’alimentazione, la sanità, l’educazione, l’emancipazione delle bambine e delle donne, la sicurezza e la sovranità alimentare e le attività economiche. Si potrebbe dire lo stesso per l’assenza delle infrastrutture sanitarie di base. In questo momento, ancora 1,1 miliardi di persone soffrono per la privazione dell’acqua potabile e 2,5 miliardi a causa della mancanza dell’accesso alle cure mediche.  Nel 1990, i capi degli Stati membri dell’ONU hanno posto come priorità da lì al 2015, il raggiungimento di otto grandi obbiettivi per ridurre la povertà e l’ineguaglianza per lo sviluppo nel mondo: gli Obbiettivi dl millennio per lo Sviluppo (MDG). L’obbiettivo n° 7 propone di “assicurare uno sviluppo durevole” e ha per target il “ridurre entro il 2015 la percentuale di popolazione che non ha a disposizione un approvvigionamento d’acqua potabile e che non dispone di una sanità di base”. Nel 2000 si è tenuta un’altra Assemblea generale dell’ONU, dove i capi di stato membri hanno riproposto la scadenza al 2015, ma non pare che le sole dichiarazioni di intenti abbiano cambiato di molto la situazione. La crescita demografica, lo sviluppo industriale, l’urbanizzazione, l’impiego sregolato dell’acqua per l’irrigazione, gli incalzanti cambiamenti climatici, esercitano una pressione enorme sul ciclo idrologico globale –l’utilizzo della risorsa aumenta di 64 miliardi di metri cubi all’anno- aggravando la situazione critica di penuria che prevale già in certe regioni. Dal 1990 al 2004, 1,2 miliardi di persone hanno avuto accesso all’acqua e alle cure mediche. Servirà però una progressione di 1,6 miliardi di persone per raggiungere l’obbiettivo fissato per la sanità diffusa per il 2015, e di 1,1 miliardi per raggiungere il target della disponibilità d’acqua potabile. Le analisi effettuate dall’OMS in collaborazione con l’UNICEF e Unesco, si accordano sul fatto che per raggiungere tali risultati bisognerebbe moltiplicare per due gli sforzi impiegati, vale a dire acconsentire l’accesso a 450 000 persone in più ogni giorno ai servizi sanitari di base; e in materia di accesso all’acqua, aumentare d’un terzo i mezzi adottati, ovvero estendere i servizi a 300 000 persone in più ogni giorno.  Negli ultimi anni sono state prese molte iniziative sociali, come l’Anno Internazionale per l’Acqua dolce nel 2003, l’inaugurazione nel 2005 del Decennio Internazionale de “l’Acqua, sorgente di vita”, il Forum Mondiale dell’Acqua in Messico nel 2006, l’Expo Internazionale de “l’Acqua e lo Sviluppo sostenibile” a Saragozza nel 2008 e il Forum Mondiale dell’Acqua a Istanbul nel marzo 2009. Ma gli effetti sulle politiche globali e sui risultati reali non sono entusiasmanti, anzi, certi fattori come la crescita demografica e le politiche di privatizzazione dell’acqua rischiano di provocare pesanti conseguenze sanitarie, sociali, ambientali e geopolitiche. Durante il Forum in Turchia, partecipato da 142 delegazioni, è stato prodotto un documento non vincolante che afferma per la prima volta “il bisogno di raggiungere la sicurezza idrica” ma nel quale non compare “il diritto umano fondamentale di accesso all’acqua potabile e alla sanità”. Nell’Africa Sub sahariana, per esempio, la crescita della popolazione urbana tra il 1990 e il 2005 è stata dell’85% e nello stesso periodo il numero dei cittadini senza accesso all’acqua e alle infrastrutture mediche è raddoppiato. Nelle zone rurali la situazione è cinque volte peggiore per quanto riguarda l’approvvigionamento idrico e tre volte peggiore per la sanità diffusa. Dati Unicef. Gli obbiettivi per l’Africa sono di far accedere il 75% della popolazione alle risorse idriche e il 66% all’assistenza medica. I mezzi da impiegare sono immensi e al ritmo attuale, secondo le stime, il primo obbiettivo sarà raggiunto solo nel 2035 e il secondo solo nel 2108. Gli studi a lungo termine sono ancora più disarmanti: l’ONU prevede che, nel 2050, 1,8 miliardi di esseri umani (su 9,3) vivranno in regioni totalmente prive d’acqua e altri 5 miliardi in paesi dove sarà difficile rispondere a tutte le necessità. E noi oggi, nel marzo 2010 Anno Domini, in veste di cittadini italiani ed europei continuano a seguire le vecchie abitudini di sperpero, limitandoci a puntare il dito contro la privatizzazione a livello locale, seppur dannosa, o contro le politiche antieconomiche made in USA, senza domandarsi quali sono i mezzi necessari per iniziare ad agire, soprattutto valutando attentamente e rendendo pubblici i costi sociali ed economici che, con una diversa distribuzione della risorsa, ci toccherebbe pagare in quanto membri appartenenti al mondo occidentale.

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