Al di là degli scontri

1 Aprile 2010

foto-per-manifesto

Alice Sassu

“Sono stato rilasciato e stavo per tornare a casa, ma i militari erano già dentro casa mia, mi stavano aspettando. La mia famiglia era là in un angolo con i bambini. I militari erano là e sorridevano: tu torni indietro. Va bene, dammi 5 minuti per abbracciare i miei figli. Non, ora. Stai andando via ora. E mi hanno portato via. Le lacrime negli occhi di quei bimbi sono una cosa che non dimenticherò mai. Dimenticherò che hanno preso la mia terra, l’acqua, ma quelle lacrime in quel momento non le dimenticherò mai”. Questa è una delle testimonianze di un palestinese padre di famiglia, ma come racconta un rappresentante di Addameer, un’associazione palestinese per il supporto dei prigionieri e per i diritti umani: “non c’è famiglia che non abbia vissuto questa esperienza e per molti è ripetuta più volte, in carcere almeno più di una volta”. Specialmente in questo ultimo periodo i media occidentali mostrano alcuni dei feroci scontri tra la popolazione palestinese di Gerusalemme est e la polizia israeliana, mettendo in particolar modo in risalto il parere di alcuni osservatori internazionali che temono per l’inizio di una nuova intifada. È chiarissima la volontà da parte del governo israeliano di fomentare una rivolta sociale tra la popolazione palestinese, soprattutto ora che minaccia d’impossessarsi completamente anche dei luoghi di culto del popolo occupato e che la repressione si fa sempre più violenta. La percezione che si ha vivendo in West Bank è che la vessazione quotidiana da parte dell’esercito israeliano abbia condotto allo sfinimento la popolazione palestinese. Quest’aspetto insieme al reale timore per arresti di massa e ad altre problematiche prettamente politiche che riguardano difficoltà di coordinamento tra partiti e movimenti, pongono dei dubbi sulle forze in campo atte a rendere possibile una nuova intifada. Sono attivi e partecipi dei forti movimenti di resistenza popolare che si muovono contro la confisca delle terre, contro la costruzione del muro di Apartheid e contro l’occupazione in atto. Mentre si avanza nei cortei diretti verso le zone di controllo militare israeliano, proprio in quelle sottratte ai palestinesi, s’incontrano visi di donne, uomini e giovani che osservano e trasmettono entusiasmo, suscitando sentimenti di approvazione, ma la militanza attiva è solo per chi ha deciso di rischiare il carcere e le torture. “Nei territori occupati palestinesi gli arresti da parte dell’esercito militare israeliano sono regolati secondo gli ordini militari. La stessa persona che prescrive gli ordini, gestisce anche le corti militari dove i palestinesi vengono giudicati dai giudici militari (spesso questi non hanno neanche una formazione giuridica). È la legge, è l’esecutore della legge ed è il giudice”. In Cisgiordania si può essere arrestati dall’esercito israeliano in qualunque momento e luogo, senza nessuna particolare accusa, ed un civile israeliano può fermare un palestinese e chiamare la polizia o l’esercito per arrestarlo. In Cisgiordania il 20% della popolazione palestinese è stata nelle carceri israeliane almeno una volta, il 40% della popolazione è maschile, e dai dati del 2009 si rileva che 355 hanno 18 anni, 53 sono donne e 440 sono detenuti amministrativi. Con la “detenzione amministrativa”, infatti, si può essere arrestati senza nessuna prova e processo, le accuse segrete sono portate avanti dai tribunali militari e né il detenuto né il legale ne hanno accesso. Si subiscono interrogatori per un periodo di circa 6 mesi, senza essere accusati di nulla nello specifico e per 90 giorni ai detenuti può essere impedito di vedere un avvocato. Inoltre, questo è il periodo dove si perpetuano maggiormente le torture sia fisiche che psicologiche. “La detenzione amministrativa diversamente da quella legale funziona in questo modo: si ordina che tale persona venga incarcerata perché è un pericolo per lo Stato o le persone. Questo periodo può essere rinnovato e non c’è limite. In teoria quindi puoi spendere 2, 3, 5 anni in carcere senza sapere perché o quando sarai rilasciato. Questa è la prima forma di tortura di natura psicologica anche per la famiglia”, ricorda un coordinatore di Addameer. Per essere arrestati è sufficiente partecipare ad una manifestazione, o ad esempio avere, stampare, e distribuire libri, periodici, o quotidiani considerati proibiti (di politica, geografia, letteratura e poesia, arte o religione), oppure possedere o sventolare bandiere proibite come quella del PLO, o semplicemente essere palestinese. “Mio padre è stato incarcerato quando avevo sei anni e non tanto i suoi racconti del carcere quanto quelli delle persone detenute con lui, mi hanno formato. Sapevo già delle torture prima di entrarci, come per esempio essere messo in un frigo, o l’uso del gas durante gli interrogatori, avevo già imparato dalle storie della gente, da mio zio, mio cugino, da amici”, ci racconta un amico palestinese. Attualmente esistono 24 centri di detenzione: 5 per gli interrogatori, 7 di detenzione, 3 campi di detenzione militare e 9 prigioni. Le condizioni più difficili sono state riscontrate nei campi di detenzione militare, dove i detenuti sono costretti a vivere in tende di piccole dimensioni ed esposti alle più difficili condizioni atmosferiche (come nel campo di detenzione militare Ketziot, nel deserto del Negev). Con diverse forme di torture si estrapolano ai carcerati delle fittizie confessioni di reato; l’isolamento e la solitudine per lunghi periodi sono le prime forme di tortura psicologica che i prigionieri subiscono, poi prevalentemente la privazione del sonno, shabeh (abusi di posizione), in cui i detenuti vengono incatenati ad una sedia in posizioni dolorose, e ancora percosse, calci, minacce, umiliazioni, oltreché le difficili condizioni fisiche dovute alla scarsità di cibo. Per la legge militare israeliana i ragazzi che hanno compiuto 16 anni sono considerati adulti e questi si ritrovano a condividere con loro le celle e a subire le stesse torture, ma anche i ragazzi di 12 anni possono essere condannati dalle corti militari. Secondo i dati raccolti da Addameer nell’agosto del 2009, i prigionieri politici palestinesi detenuti nelle carceri israeliane erano 7.900. Uno dei casi più recenti e più vicini a noi, riguarda Omar Alaaeddin un giovane palestinese di 25 anni, del villaggio di Al Ma’sara. Omar è stato fermato ad un checkpoint lunedì 15 marzo, picchiato per diverse ore e torturato nel carcere israeliano russo a Gerusalemme. Viene in seguito rilasciato senza alcuna accusa nei suoi confronti. Omar è uno degli organizzatori delle manifestazioni settimanali che si svolgono nel villaggio di Al Ma’ara contro il Muro di Apartheid, ed è solo uno dei recenti casi di repressione.

Addameer è un’organizzazione palestinese che si occupa di diritti umani, nata nel 1992 come centro che si occupata di supportare e sostenere gratuitamente i prigionieri palestinesi, i prigionieri politici palestinesi (http://www.addameer.org/index_eng.html).

Scrivi un commento


Ciascun commento potrà avere una lunghezza massima di 1500 battute.
Non sono ammessi commenti consecutivi.


caratteri disponibili

----------------------------------------------------------------------------------------
ALTRI ARTICOLI