Tra realtà e stereotipi

16 Dicembre 2010

Cool Sardinia

Bastiana Madau

La Sardegna è storicamente una terra che produce mitologie e mitografie. Finiti i tempi delle osservazioni scientifiche alla Maurice Le Lannou, in cui la geografia dell’isola si “leggeva” come un libro di storia – essendo, appunto, l’isola piuttosto defilata dai processi proprio per le sue caratteristiche fisiche – è curioso constatare come ancora oggi, invece, alcuni fenomeni conservino, per così dire, una certa “fissità”.
A questo proposito la mia attenzione è recentemente caduta due articoli di stampa usciti quasi contemporaneamente: il primo nel quotidiano Il manifesto e il secondo nel settimanale L’Espresso, che già nei titoli assai categorici e fortemente narrativi si mandano, per così dire, al diavolo a vicenda. “Sardegna l’isola che affonda”, titola il primo; “Com’è cool la Sardegna”, è il controcanto dell’altro. Certo, si parla di cose diverse, si adotta un diverso punto di vista. Ma vediamo quale dei due, allontanandosi da un divenire più complesso, sembra innescare il meccanismo mitografico.
Carlo Lania, inviato a Nuoro del Manifesto, racconta dello spopolamento dei paesi del centro della Sardegna, spinto dalla crisi verso le coste, prima, e oggi nuovamente verso il continente o all’estero, e dice di una situazione che, dopo aver investito le industrie dell’isola, si aggrava con il tracollo dell’agricoltura e della pastorizia che sta facendo languire gli operatori del settore, e in particolare i pastori, per il prezzo stracciato della vendita del latte. Nonostante l’isola, nei mesi estivi, si trasformi nell’ambìto paese dei balocchi, nessun conforto arriva dall’industria turistica che – scrive Lania – “non incide sul Pil sardo per più del 7%”. E tutto è in rivolta: i pastori, gli operai dell’Alcoa, della Vynils di Porto Torres (che hanno trasformato l’Asinara nell’isola dei cassintegrati). Ma sotto questa che è solo “la punta di un iceberg”, il giornalista svela i numeri da incubo attraverso un prezioso testimone, Ignazio Ganga, segretario della CISL di Nuoro: 214.000 disoccupati, oltre a 90 mila precari – una cifra che segnala un tasso di disoccupazione regionale sempre in salita e che oggi si attesta al 16,1% e una famiglia su cinque, pari al 18%, ha avuto almeno un componente che ha perso il posto di lavoro. Disoccupazione, abbandono scolastico, emigrazione. Inadeguatezza degli industriali, incapacità assoluta dell’attuale governo di Ugo Cappellacci che, soppiantato Renato Soru, guida (si fa per dire) la Regione. “Una regione sull’orlo del collasso economico, con un quarto della popolazione che vive sotto la soglia di povertà”– prosegue l’articolo – con i giovani che, se possono, tentano un progetto di vita altrove. Un disastro.
Se l’articolista del Manifesto osserva l’isola dal punto di vista della crisi, Maria Simonetti, per L’Espresso, ne contempla invece l’aspetto culturale più spettacolare: “Com’è cool la Sardegna”, intitola il suo pezzo, dove racconta – mettendoli in un unico calderone – di scrittori, registi e comici nativi dell’isola all’apice del successo, sia in Italia che all’estero: da Michela Murgia a Elisabetta Canalis, da Marcello Fois a Valerio Scanu, fino a Barbara Serra, volto di Al Jazeera. E si domanda: “come mai?”.
Controcanto dell’articolo uscito in contemporanea nel Manifesto, per modo di dire, giacché in una società complessa non necessariamente la situazione economica di crisi impedisce l’emergere di forme di “rinascimento culturale” (per adottare un’espressione enfatica in voga) o, più sobriamente, come in questo caso, di persone che si affermano nei vari ambiti della creatività e della mondanità. Il nodo è quello della rappresentatività della società sarda reale. Dice Marcello Fois, nell’articolo: “per affermarci siamo stati costretti a diventare tutti giallisti”, implicitamente ammettendo l’adesione a un modello commerciale, e in quanto tale, appunto, potenzialmente foriero di narrazioni che non si relazionano con quello che oggi accade in Sardegna, sino al punto che il mondo culturale e quello “reale” rischiano di diventare paralleli, non affondando questo in quell’altro. Curiosa e interessante la reattività della rete a questo articolo. Se infatti non si trova alcuna discussione intorno all’articolo del Manifesto, tramite le note postate nei social network e provenienti da blog come quello della scrittrice Michela Murgia e del poeta Alberto Masala abbiamo assistito nei giorni scorsi a uno sviluppo di treadh di rivolta a “Com’è cool a Sardegna”. Le polemiche sono segnate sia dall’incomprensione dello stupore – definito “razzista” – con cui la giornalista si interroga sul mistero dei “tanti sardi di successo” che invadono le altre sponde, sia dall’eterno “non riconoscersi come sardi” nella rappresentazione della realtà nel fenomeno del “successo” e nella lettura che di esso se ne offre. Poi ci sono gli estremi, ovviamente: c’è chi, da sardo, è “fiero” e “orgoglioso” dei propri “rappresentanti” e c’è chi invece, nutrendo la massima indifferenza verso la società dello spettacolo in genere, snobba la “sardità” usata per il “business”. Particolarmente critico il giudizio del poeta Alberto Masala nel suo blog: “Mi sembra di vederla quella giornalista che, spinta dalla necessità di piazzare un pezzo, si aggira con gli occhi spalancati alla Carfagna in un mondo di ‘minorati’, stupendosi che fra loro ci siano segnali di intelligenza. E allo stesso tempo, in cerca di una politically correctness, si arrampica sugli specchi della dolcezza del proprio sguardo inebetito. Ecco a voi la Sardegna dei salotti, la Sardegna dei parvenants senza problemi.”
Insomma: i “sardi”, se esistono, sono complicati come tutti gli umani, pare, e la Sardegna se si rifiuta di “affondare” non altrettanto facilmente accetta di essere cool.
Di fatto se non siamo più ai tempi dei giusti studi di Le Lannou e se la Sardegna è totalmente presente – com’è presente – nei processi storici e culturali, se il sardo “resistenziale” sembra essere tramontato, il fenomeno della creazione dello stereotipo sembra essere ancora vivo e tenuto in vita: si è spostato dai bellissimi racconti dei viaggiatori dell’Ottocento a quello delle cronache della mondanità del Duemila?

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