Coesione sociale

1 Settembre 2011

Marco Ligas

In queste settimane si moltiplicano gli inviti alla coesione sociale. La crisi che viviamo è tale, viene sottolineato, che il paese non può permettersi ulteriori divisioni. Primeggiano in queste esortazioni, guarda un po’, Governo e Confindustria, proprio coloro che, nel corso di questi anni, hanno favorito arbitri, disuguaglianze e l’impoverimento del paese.
Nelle loro valutazioni la crisi odierna sembra una fatalità, un momento particolarmente difficile dell’economia mondiale che potrà essere sconfitta soprattutto se destra e sinistra riusciranno a superare le solite conflittualità, come se le contrapposizioni tra le classi sociali non dipendessero dalle scelte di campo e dagli egoismi di chi governa.
Colpiscono le semplificazioni che vengono operate, soprattutto sono sorprendenti le terapie indicate per uscire dalla crisi. Così la globalizzazione diventa un contenitore dove si possono trovare tutte le spiegazioni per la comprensione e la giustificazione della recessione, insomma un fenomeno neutrale, quasi un evento meteorologico, estraneo alle scelte e alla volontà degli uomini. Non la logica conseguenza dell’organizzazione del capitalismo, delle sue scelte liberiste e della crescita abnorme delle speculazioni finanziarie.
Eppure, da parte dei sostenitori delle economie di mercato, è sempre stata martellante la propaganda tesa a demolire lo spettro del comunismo. Non è stato mai concesso alcun riconoscimento a questo sistema definito di volta in volta o demolitore delle libertà o fautore della miseria dell’umanità! Neanche un elogio per aver offerto alle persone escluse dalla vita sociale uno spiraglio perché potessero partecipare con dignità e con pari opportunità alle scelte politiche delle proprie comunità.
La severità del giudizio sul comunismo non è stata mai accompagnata da una critica, anche superficiale, sulle nefandezze commesse dalle società capitalistiche. I conflitti tra le potenze imperiali, il colonialismo e, arrivando ai giorni nostri, le stesse guerre umanitarie vengono presentati come processi naturali della storia degli uomini, comunque ininfluenti nella determinazione delle differenze sociali, ritenute un fenomeno endemico e immodificabile.
Se l’uguaglianza è dunque un’utopia, sembrano chiedersi questi signori, perché meravigliarsi delle attuali disuguaglianze e delle povertà? E perché ritenere scandalose le decisioni che vorrebbe assumere il Governo per fronteggiare l’ennesima crisi?
Ebbene, l’uguaglianza tra le persone sarà pure un obiettivo irraggiungibile ma la fuoriuscita dalla crisi non può provocare gli effetti più devastanti sulle fasce sociali più deboli. La coesione sociale tanto auspicata non può passare attraverso un’alleanza tra chi provoca il massacro sociale e chi lo subisce.
Sicuramente oggi più che mai serve una coesione tra forze sociali, ma fra quelle che subiscono sistematicamente i ricatti e che sono facilmente individuabili fra i giovani senza lavoro, fra i lavoratori minacciati continuamente dalla disoccupazione, fra gli studenti che studiano per ritrovarsi poi precari a vita, fra i pastori e gli agricoltori sempre sull’orlo del fallimento e fra i tanti cittadini che vogliono vivere in una società che promuova e rispetti i diritti e la democrazia.
Mentre nel paese si moltiplicano gli inviti alla coesione sociale, in Sardegna si diffonde la proposta di dar vita al Partito dei Sardi. È una strana coincidenza, sorretta dalla stessa filosofia: unire (ipocritamente) tutti per mantenere inalterato il sistema delle disuguaglianze perché nulla cambi.
Se proviamo ad ipotizzare la composizione di questo partito (quali aderenti, quale patrimonio storico/culturale e soprattutto quali obiettivi) non è difficile prevedere la presenza fra i suoi iscritti di personaggi fortemente compromessi nelle gestioni fallimentari delle Giunte presenti o passate e già attivi nel dar vita alla nuova formazione politica. È d’obbligo allora l’interrogativo: potrà un partito così composto segnare una rottura col passato e promuovere una pratica di governo nell’interesse del popolo sardo? La risposta appare obbligata: un partito di questa natura non modificherà alcunché; ancora una volta, e l’isola non fa eccezione, la coesione sociale si raggiunge unendo gli strati sociali che subiscono l’emarginazione e lo sfruttamento.

Questa è la vera coesione sociale di cui hanno bisogno il paese e la Sardegna, ma passa attraverso la sconfitta delle attuali classi dirigenti che l’hanno provocata.
Per queste ragioni va considerata opportuna e coraggiosa la decisione che la Cgil, pur tra difficoltà e qualche resistenza interna, ha preso annunciando per il 6 settembre uno sciopero generale contro la manovra del Governo.
Una scelta che mette ancor più in evidenza l’inganno del Governo le cui intenzioni reali non sono quelle di risolvere la crisi in modo equilibrato ma attaccare due pilastri fondamentali della vita democratica attraverso la cancellazione dello statuto dei lavoratori e la modifica della Costituzione.
Sono motivazioni più che sufficienti per aderire senza tentennamenti allo sciopero.

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