A proposito di migranti

16 Dicembre 2007

MIGRANTI
Vincenzo Pillai

Ricordo quando, bambino negli anni del dopoguerra, venivano a casa di mio padre, a Ventimiglia, giovani emigrati sardi per avere una “copertura” fino a quando non avessero trovato lavoro. Mio padre, che aveva fatto parte della migrazione anteguerra e poteva ormai contare su un lavoro sicuro, quando non aveva più posto indirizzava presso altre famiglie i Sardegnoli (ci chiamavano così), per evitare che la questura, trovandoli senza lavoro e senza casa, li rimpatriasse con il foglio di via. Il bisogno di braccia per la ricostruzione, poi il boom economico ridussero enormemente il problema e in una trentina di anni i Sardegnoli divennero Sardi: la materialità del lavoro stabile ha “integrato” quei braccianti e quelle donne a servizio. La generazione di mia figlia ha ora il problema di come riconquistare il diritto al lavoro come variabile indipendente e di come restare sardi divenendo cittadini del mondo; ma questo fa parte di un altro capitolo. Non mi soffermo qui sulle sofferenze e le umiliazioni subite dai Sardi in questo lungo cammino perché voglio arrivare al punto per cui scrivo. Vorrei che provassimo ad affrontare il problema partendo dal dato materiale che ho citato e utilizzando qualche categoria marxista. – E’ condivisibile l’affermazione che il processo di unificazione europea avviene sotto l’egemonia della borghesia e che, pur riconoscendo ad esso il valore di allontanarci da possibili guerre almeno fra gli stati che ne fanno parte, ha leggi ed ordinamenti funzionali alla riorganizzazione del dominio del capitale europeo nel nuovo contesto mondiale? Se così non fosse perché preoccuparci tanto del trattato di Maastricht e della costituzione europea che vogliono propinarci? – E’ condivisibile l’affermazione che i capitalisti europei hanno bisogno di un esercito industriale di riserva che premendo sulle porte delle fabbriche o nei servizi, o nelle campagne, permetta loro di contrastare meglio le rivendicazioni di diritti e salario dei lavoratori occupati? O il capitalismo non è più questa cosa? Il dislocamento delle produzioni nei paesi del terzo mondo non è l’altra faccia della stessa medaglia su cui è impressa la formazione dell’esercito di diseredati che si sposta per l’Europa o sale su dall’Africa e dal medio oriente? – Ci sarà pure una ragione materiale per cui si è deciso l’ingresso dei paesi dell’est senza prima aiutarli a realizzare livelli di diritti sindacali e sociali almeno vicini ai nostri; o dobbiamo pensare che tutto è stato determinato solo dall’esigenza di sottrarre quei paesi all’egemonia del nuovo capitalismo russo? Anche qui due facce di una stessa medaglia. Però. Però non è facile per la borghesia dirigere tutto, come ingegneri in un laboratorio, perché le masse diseredate sono sì un comodo esercito di riserva ma anche potenzialmente eversive: le baraccopoli di chi ha fame sono il primo individuale o collettivo passo difensivo e, al contempo, eversivo che turba l’ordine costituito, l’equilibrio delle forze in campo. Ecco allora che alcune borghesie “illuminate” d’Europa pensano bene di fare una legge che indica in tre mesi la possibilità di trovare lavoro per chi si sposta di stato, altrimenti si viene rimpatriati. Così quello che è il valore fondante della sinistra (il valore del lavoro, il cui riconoscimento fonda la democrazia moderna a cui ancora aspiriamo) viene rovesciato in misura di polizia sociale. Il Sardegnolo veniva rispedito a casa perché da nullafacente poteva facilmente trasformarsi in delinquente (data anche la naturale predisposizione!) La pensata è geniale perché in questo modo gli imprenditori si garantiscono un turn-over nell’esercito industriale di riserva e si scompagina meglio ogni tentativo di sedimentare organizzazione fra i diseredati. Ma la borghesia italiana, stracciona come sempre, ha pensato solo alla grande abbuffata, all’opportunità che si apriva di affiancare al trasferimento delle imprese anche la creazione, in patria, di una massa di diseredati utilissimi a tacitare le rivendicazioni dei lavoratori, non pensando che qualcuno, pur di non stare sotto l’acqua, avrebbe fatto case con gli scarti dei benestanti e avrebbe cercato di procurarsi ad ogni costo un pezzo di pane. Siete proprio sicuri che stare tutto il giorno curvo in un campo di carciofi o di pomodori e dormire ammassati in una catapecchia sia più lodevole che dare via il proprio sesso? Provate la stessa voglia di espulsione per quei signori-re di alto bordo che si vendono in eleganti camere o in uffici riscaldati per fare più soldi o più carriera? Ora, dopo un delitto efferato che ha, soprattutto, il segno della violenza contro le donne (come altri sempre più numerosi), si vuole correre ai ripari, chiamare in ballo la normativa europea e i sacri valori della convivenza civile. Bene, la borghesia fa il suo mestiere. Noi stiamo facendo il nostro? Se consideriamo che, in presenza della rapida riorganizzazione capitalistica, neppure i sindacati dei metalmeccanici sono riusciti a definire una piattaforma europea unitaria su salario e tempi di lavoro, si comprende subito in quale ritardo ci dibattiamo, rigurarsi a che punto è l’organizzazione dei milioni di persone che disperate circolano per l’Europa in cerca di lavoro o saltando da un lavoro precario all’altro! Se consideriamo la fatica, spesso senza frutto, che facciamo per definire un’azione comune delle sinistre europee anticapitaliste (e nascono problemi anche a usare questo termine), si comprende subito come i movimenti non riescano a costruire quella rete di intenti e di forme di lotta sufficiente a spostare gli equilibri che la borghesia man mano realizza fra capitalisti e forze socialdemocratiche! Ma la cosa più penosa è constatare che gli unici a fare una corretta analisi marxista, per sapere come destrutturare ogni residuo di classe organizzata in sé e per sé, sono i padroni; mentre noi cadiamo, spesso, in sociologismo d’accatto che ci inchioda ai fenomeni del momento e a pensare tattiche utili solo, quando va bene, a farci guadagnare qualche voto, e a innalzare osanna alla prima precaria affermazione elettorale di questo o quel partito della sinistra europea. Forse proprio noi, parte di un popolo colonizzato e migrante da sempre, facendo tesoro dell’esperienza fatta, abbiamo il dovere di pensare non tanto a come integrare i diversi ma a come aiutarli a costruire la loro lotta di liberazione.

3 Commenti a “A proposito di migranti”

  1. mery mazzola scrive:

    CARISSIMI SARDI SONO 40 ANNI CHE ABITO A MILANO, E HO TANTA NOSTALGIA DELLA MIA TERRA, CONOSCENDO BERLUSCONI CONSIGLIO METTERLO IN UN TIRA ELASTICO E MANDARLO PIù LONTANO PESSIBILE, QUI A MILANO LA GRAN PARTE DELLE PERSONE SONO POVERE, SENZA LAVORO, SENZA CASA GLI AFFITTI CI VUOLE LO STPENDIO, COME LO PRENDI LO DAI AL PADRONE DI CASA, BERLUSCA, INVECE NON HA BISOGNO HA LA VILLA ROSA A PORTO CERVO, PAGATA DA NOI, E LE ALTRE? CARI CONNAZIONALI UN GRANDE ABBRACCIO .DA UNA SARDAGNOLA!!!!!!!!!!!!!!

  2. valter erriu scrive:

    Caro Bissenti cara Mery, anch’io come voi vengo da una realtà di migrazione, diciotto anni in Brianza tra i terun e i sardagneu dei primi anni sessanta agli anni ottanta certo migliori, a Firenze, per ventitidue anni. L ‘azienda per cui lavoro mi ha dato l’opportunità di tornare nella mia terra, che a dire il vero non conoscevo per nulla, ne la mentalità ne gli usi ne i costumi. Nonostante tutto ciò son felice di essere tornato e di godere del sole che tanto mi mancava da piccolo nella brughiera industriale della nebbia del varesotto. Ora dopo 5 anni che son qui le cose son migliorate. Ma non mi abituo alla mentalità razzista che sento in connazionali Sardi nell’epigrafare i poveri immigrati… o contro i popoli cacciati dalla loro terra come è il caso del popolo Palestinese. Condivido le tue parole Mery sul “salame pieno di viagra” berlusca, che come gli israeliani sionisti è un distruttore di richezze culturali e creatore di povertà, nonche affossatore dei bisognosi (vedi social card). Io penso ad una terra, la nostra Sardegna, libera dal giogo italiano e finalmente natzione autodeterminata e pronta ad ri-accogliere i propri figli migrati forzatamente per mancanza di lavoro.
    “…..proprio noi, parte di un popolo colonizzato e migrante da sempre, facendo tesoro dell’esperienza fatta, abbiamo il dovere di pensare non tanto a come integrare i diversi ma a come aiutarli a costruire la loro lotta di liberazione” io, Bissenti, aggiungerei anche la nostra di LIBERATZIONE

  3. Giulio Loche scrive:

    Da quarantasette anni vivo in Svizzera e a voi che abitate in Sardegna dico che voi proprio perchè siete sempre li non vi accorgete in quale paradiso vivete. Solo tornando dopo tanto tempo ci si accorge delle bellezze che la nostra terra offre e se ne sono accorti i ” continentali ” i quali se possono si trasferiscono li, approffitando anche dei prezzi irrisori con i quali state svendendo la terra dei nostri avi. Cosa lasceremo ai nostri figli? Una terra cementificata, abitata in estate da gente che non pensa minimamente a protteggere l’ ambiente e le bellezze naturali proprio perchè non gli frega niente, non è la loro terra! L’appello che voglio fare è: non vendetevi la terra, non permettete che per poche bricciole distruggano le bellezze che domani potranno goderne i nostri figli e nipoti, non permettete ai vari Belusconi pieni di soldi di fare il bello e il brutto tempo a casa vostra modificando l’habitat a loro piacimento. Non è vero che danno lavoro, vi danno solo qualche bricciola per tenervi buoni e loro se la spassano rovinando l’ ambiente. Ora vanno in Sardegna perchè gli altri posti li hanno gia rovinati, è rimasta giusto la nostra terra da cambiargli i connotati. NON PERMETTETELO, anzi se potete buttateli fuori prima che sia troppo tardi!

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