A tempo indeterminato

16 Gennaio 2009

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M. L.

La rivendicazione di un lavoro a tempo indeterminato è stata sempre presente nei programmi delle organizzazioni sindacali. Le ragioni sono sin troppo evidenti ed è superfluo elencarle. Col passare del tempo e in seguito a dure lotte, soprattutto negli anni settanta, anche i lavoratori del settore privato sono riusciti a raggiungere questo obiettivo. Nei decenni successivi però questa conquista è stata ripetutamente messa in discussione e oggi siamo tornati a rapporti di lavoro caratterizzati dal precariato e da bassi salari.
Ma c’è una categoria di lavoratori (?) che continua a battersi strenuamente per un incarico a tempo indeterminato: è quella degli eletti in Parlamento e nei Consigli Regionali. Molti di loro, quando sentono parlare di rinnovamento, mostrano e usano protezioni molto resistenti e difendono ad oltranza i loro incarichi parlamentari. Adottano diverse argomentazioni per conservare i privilegi che si sono arbitrariamente attribuiti. Adesso è di moda la deroga per funzione, ovvero la possibilità di mantenere l’incarico a causa dell’importanza del ruolo avuto nell’ultima legislatura (per esempio quello di Presidente di un’Assemblea elettiva o di qualche commissione o di un gruppo parlamentare). Come se un nuovo eletto non potesse svolgere lo stesso lavoro con uguale diligenza e competenza di chi l’ha preceduto. I sostenitori della deroga per funzione naturalmente non si curano se, con queste rivendicazioni, si passa rapidamente dalla democrazia alla oligarchia.
È innegabile come queste tentazioni siano strettamente collegate, oltre che alla caduta delle idealità, alle dispense ingiustificate che questa classe politica si è concessa. Certamente siamo lontani dalla sobrietà che caratterizzava i comportamenti dei politici del dopoguerra. Queste trasformazioni hanno prodotto conseguenze perverse. Così l’incarico in un assemblea elettiva viene vissuto come il coronamento di una carriera politica, poco importa se condotta all’insegna del clientelismo e/o del trasformismo. Chissà se si riuscirà ad invertire questa tendenza e a ridare all’impegno politico un carattere diverso per cui la militanza diventi davvero una partecipazione attiva, da effettuare senza calcoli e al di fuori degli interessi personali.

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