Accogliere ci fa bene

1 Settembre 2016
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Roberto Loddo

Nella giornata di ieri si è concluso lo sbarco di 617 persone migranti in cerca di protezione internazionale soccorsi lunedì nel Canale di Sicilia dalla Guardia costiera nazionale. Già durante le prime ore delle operazioni di costruzione dell’area dell’accoglienza la parte peggiore del web si è scatenata nei soliti esercizi di odio da tastiera: un pezzo di società , alimentato quotidianamente da tentazioni xenofobe e razziste di certa politica e certo giornalismo, che evoca il respingimento dei profughi e l’apartheid nei centri di identificazione come la soluzione finale per chi scappa dalla sofferenza della fame e delle guerre.

Queste tentazioni hanno conquistato trent’anni di governo delle politiche dei fenomeni migratori da parte dell’Italia e dell’Europa. Trent’anni di repressione, respingimenti e pacchetti sicurezza che hanno accompagnato le diverse metamorfosi delle prigioni per persone migranti. La Sardegna non è immune a queste pulsioni irrazionali. Tutti gli organi di informazione sardi hanno dato spazio al presidente Pigliaru che alza la voce e mostra i muscoli contro il governo italiano per denunciare il superamento della quota di riparto delle presenze dei migranti.

Basterebbe partire dai numeri e dai fatti reali per stemperare le preoccupazioni di Pigliaru e di gran parte della politica sarda secondo cui la quota del riparto dei flussi del 2,96% assegnata alla Sardegna è stata superata. Una preoccupazione ridicola che purtroppo dà ossigeno alle argomentazioni più reazionarie. Perché Pigliaru non si preoccupa della debolezza e della precarietà dei progetti legati ai sistemi di protezione per i rifugiati e per i richiedenti asilo presenti in Sardegna?

Le vere preoccupazioni andrebbero indirizzate non verso i numeri delle persone migranti che arrivano in Sardegna , ma alla loro possibilità di inserimento in settori dell’economia sarda. Questa giunta regionale dovrebbe preoccuparsi di favorire la moltiplicazione dei progetti Sprar in Sardegna e orientare inserimenti lavorativi nelle opportunità offerte dall’economia locale. Le persone che accogliamo, se lo vogliono, devono avere la possibilità di rimanere nella nostra isola. Non sono idee irrealizzabili ma possibilità concrete descritte dall’ultimo rapporto sui flussi migratori e l’accoglienza in Sardegna curato da Valentina Brinis e Betti Guetta.

La vera emergenza non è rappresentata dal numero delle persone che accogliamo ma dalla nostra capacità di accogliere. ” Accogliere: la vera emergenza” è il titolo scelto dai curatori del rapporto di monitoraggio della campagna LasciateCIEntrare , su accoglienza, detenzione amministrativa e rimpatri forzati che descrive anche le criticità della qualità dell’accoglienza in Sardegna. Ma non è solo un titolo suggestivo. Indica anche le soluzioni possibili per praticare politiche efficaci in materia di governo dei fenomeni migratori. Un’adeguata accoglienza appare  la soluzione più utile e produttiva non solo per le persone migranti, rifugiate e richiedenti asilo, ma anche per le cittadine e i cittadini italiani.

Il presidente Pigliaru dovrebbe preoccuparsi della crescente intolleranza e paura del diverso che ha contaminato anche la società sarda. Il razzismo è un fenomeno sempre più radicato nella nostra realtà quotidiana, molto più vicino nel nostro presente di ciò che possiamo pensare.

Noi sardi non siamo immuni al razzismo. Leggo con rabbia giustificazioni che difendono il confine etnico che separa “casa nostra” dalle persone che non hanno più una casa e un paese. Eppure anche noi sardi siamo vittime di storiche disuguaglianze e costanti discriminazioni. Forse ha ragione Guido Viale che su Il Manifesto ha descritto il razzismo come un fenomeno che si manifesta in mille forme diverse, sia in chi lo pratica sia nelle vittime. Se Viale avesse ragione, il presidente Pigliaru dovrebbe adoperarsi per favorire l’interazione con coloro che accogliamo e la liberazione delle cittadine e dei cittadini sardi dagli stereotipi inculcati dai nostri passati dominatori.

Foto di Chiara Caredda

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