Impatti poco verdi

21 Settembre 2012

Joan Oliva

Compagni e amici fraterni, confesso subito che non sono un esperto di chimica, processi industriali e accordi sindacali, ma non sono del tutto sprovveduto in materia di studi per la valutazione di impatto ambientale, per lo meno relativamente agli aspetti che attengono alcune sue componenti ed in particolare i paesaggi. Fa parte della mia formazione ed esperienza professionale.
A proposito della questione “Chimica Verde e Centrale a Biomassa” che interessa il nostro territorio, vorrei comunque porre alcune, se pur ingenue, domande e avanzare semplici, forse banali, considerazioni .
Sembrerebbe di capire che secondo il progetto di Matrica spa e di Polimeri Europa, per la riconversione degli impianti del petrolchimico di Porto Torres in “Polo per la Chimica Verde” (termine che, come mi insegnano amici chimici non pentiti e biologi aggiornati, è neologismo fuorviante), i contadini della Nurra dovrebbero in futuro essere convinti a produrre piante di cardo di una particolare specie (Cynara cardunculus L.). Non si riesce però a capire bene perché dovrebbero abbandonare produzioni alimentari su terreni magari anche irrigui e destinare questi a produrre le piante di cardo per fornire di materia prima gli impianti chimici.
Domanda: è vero che servono migliaia e migliaia di ettari delle nostre campagne per quella che diventerebbe quasi una monocultura da destinare all’industria non alimentare? E si pensa che questa, a lungo termine, sia una prospettiva saggia? Molti esperti dei problemi demografici in rapporto alle risorse alimentari, ci informano che in futuro l’umanità dovrà affrontare seri problemi proprio relativamente alle risorse alimentari disponibili, perché allora sottrarre a questa primaria destinazione, terreni fertili e che possono darci prodotti di altissima qualità? E’ vero poi che le piante del cardo che contengono una maggiore quantità di materia prima utile per produrre le plastiche negli impianti della cosiddetta “Chimica Verde” sono proprio quelle più stressate? Ossia quelle che crescono in terreni incolti e aridi? Allora perché dedicare a questa produzione le terre della Nurra? Sprecarle per una coltivazione di minore valore? Quale sarà il guadagno per ettaro per i contadini che volessero convertire le loro produzioni? Sarà una questione ancora di incentivi? Fino a quando?

Domanda infantile: per la cosiddetta “chimica verde” non sarebbe forse meglio utilizzare materia prima “prefinita”, come la gomma ricavata dal lattice estratto dagli alberi, che sono già, loro stessi, eccezionali “impianti bio-chimici“ (e così in più si preserverebbero coperture vegetali a macchia e bosco)? In alcuni paesi del mediterraneo si raccoglie da tempo la resina del lentischio, è il caso per esempio dell’isola di Kios: In Sardegna poi abbiamo già i nostri eccezionali e a volte monumentali “impianti bio-chimici”, non sono forse questi le querce da sughero, che ci regalano un materiale di cui ancora non ci immaginiamo tutte le possibili applicazioni e utilizzi? A che punto è la ricerca nel campo?
Ancora, dobbiamo tutti chiederci: ci sono seri piani per la bonifica delle aree del polo petrolchimico di Porto Torres devastate in tutti questi anni? Se sì, sono già partiti i lavori? Se no, perché ritardano a partire? Ci può essere una ragione per questi ritardi?
In effetti nello Studio di Impatto Ambientale per la Centrale a Biomasse, la compatibilità degli impatti non dovrebbe essere verificata con riferimento alla situazione di degrado attuale, ma semmai proprio agli obbiettivi dei piani di bonifica (se ci sono e sono seri) e nella prospettiva del ripristino della qualità di quei luoghi.
Leggendo la documentazione dell’ENI Saipen, nella parte dello Studio di Impatto Ambientale per la Centrale a Biomasse dedicata alla verifica dell’impatto sull’atmosfera, ossia le valutazioni sulle variazioni delle caratteristiche e della qualità dell’aria, viene da chiedersi: cosa significhi l’espressione “gli impatti sulla qualità dell’aria … risultano contenuti” e l’espressione “la valutazione degli impatti è stata effettuata … con la situazione simulata ante operam”?
E’ evidente che nello studio citato gli impatti sono in genere ritenuti, dai tecnici dell’ENI Saipen, “trascurabili” proprio perché si considera quella una zona già compromessa dalla presenza degli impianti industriali. Evidentemente si scarta in partenza l’idea che dopo le bonifiche necessarie questi potranno tornare ad essere paesaggi di alto valore ambientale. Luoghi frequentabili da tutti. E’ rispetto a questi nuovi scenari, rispetto all’auspicabile rigenerazione della qualità di quei luoghi, come chiedono le comunità, che andrebbero fatte più correttamente le verifiche della compatibilità degli impatti.
Basta pensare che, non distanti dall’area presa in considerazione per i nuovi impianti, ci sono Siti di Interesse Comunitario, Zone di Protezione Speciale, zone umide e corsi d’acqua, foci, spiagge e scogliere, ecc. Poi, proprio nelle immediate vicinanze dell’area presa in considerazione per i nuovi impianti della Centrale a Biomassa, in stretta correlazione visiva, ci sono preesistenze storiche eccezionali, assolutamente non trascurabili, come per esempio insediamenti nuragici! Il Nuraghe Nieddu è lì a un tiro di schioppo, estrema propaggine di un sistema insediativo più complesso cui probabilmente facevano parte un’altra decina di nuraghi che gli fanno corona (S.Elena, Margone, Biunisi, Pilotta per menzionarne solo alcuni) Ma lo saprà il governo italiano, attraverso il suo ministero competente? Ma lo sapranno, in Europa, le sue attente commissioni? Ma lo sapranno all’Unesco, i funzionari dell’ente impegnato per la salvaguardia del patrimonio culturale dell’umanità?
Qualcuno che ha lavorato dentro gli impianti del Petrolchimico, esperto più di me di chimica, processi industriali e accordi sindacali, ci considera irresponsabili perché mettiamo in dubbio la ragionevolezza del piano di investimenti per la “Chimica Verde e per la Centrale a Biomassa” e sospettiamo l’ennesima beffa.
Eppure tutti noi che vogliamo vederci chiaro e con pignoleria poniamo questioni scomode, noi sosteniamo che c’è bisogno ancora di buoni operai e tecnici chimici, c’è bisogno di tutta l’ottima competenza che si è sedimentata nelle risorse umane del territorio in tutti questi anni, a costo di grandi sacrifici per la collettività. C’è bisogno di laboratori di ricerca che guidino tutte le attività di ri-generazione dei luoghi, c’è bisogno di operatori specializzati che studino, sperimentino e applichino sistemi di bonifica, facendo esperienze che potrebbero essere anche esportate in futuro nel resto del mondo.
Per l’internazionale futura umanità. Viva.

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