Alchimie di Chiara Seghene e Carlotta del Giudice

1 Settembre 2015
Gianni_Atzeni_Foto
Claudia Puddu

Le artiste sassaresi Chiara Seghene e Carlotta del Giudice hanno aperto, con la loro performance, la terza edizione di Contemporary, festival di musica contemporanea e arte d’avanguardia. Con la predisposizione di un tavolo e di due sedie bianche posizionate sul campo da bocce dell’ex Montegranatico, le due artiste hanno incuriosito e coinvolto le tante persone presenti a Donori.
La loro ricerca artistica nasce sin dall’adolescenza e continua seguendo due percorsi diversi: Chiara si laurea in Decorazione all’Accademia di Belle Arti di Sassari, mentre Carlotta si laurea sempre all’Accademia (di Bologna stavolta), ma in Scultura. Iniziano in seguito a sperimentare diverse forme di comunicazione come la fotografia, l’arte audio visiva e sviluppano un interesse per la comunicazione cinematografica.
La loro ricerca artistica subisce una svolta due anni fa quando, cercando di capire se fosse possibile diventare quegli stessi oggetti che stavano alla base del loro lavoro, pensarono che un atto performativo potesse essere la soluzione. La performance era uno strumento artistico estraneo a entrambe, una forma d’arte effimera sia per il performer che per il pubblico – nessuno lo può comprare, averne delle riproduzioni o ripresentarlo identico -, ma era perfettamente inserito all’interno del contesto dell’arte contemporanea nella quale Chiara e Carlotta si trovavano e si trovano.
L’arte contemporanea, si sa, si lascia muovere da quelli che sono i cambiamenti politici, sociali, culturali e le due artiste mirano a riproporli durante la performance, cercando inoltre di attuare una sintesi delle loro diverse poetiche artistiche: Chiara è da sempre interessata al tema del sacro e del profano, mentre Carlotta ha come punto di riferimento il macrocosmo femminista.
Nel contesto specifico della performance svoltasi a Donori, le artiste hanno cercato un punto d’incontro tra la dimensione privata del culto e la dimensione pubblica dell’ideologia attraverso l’utilizzo del simbolo dell’Uroboro – antichissimo simbolo alchemico il quale rappresenta la ciclicità del tutto – e del simbolo del femminismo islamico. I due simboli sono stati materialmente creati e cuciti sulla pelle dalle artiste, le quali sono così riuscite nel loro intento di divenire loro stesse gli oggetti alla base della loro ricerca. Scopo di entrambe è quello di trasportare la loro dimensione privata all’interno di un atto pubblico: Chiara lo fa utilizzando la sua costante della componente rituale e religiosa, attraverso l’Uroboro appunto, mentre Carlotta porta all’ attenzione del pubblico il tema a lei più caro: la condizione femminile in un tempo di presunta emancipazione.
Le due artiste avevano già eseguito questa performance, ma con dei simboli diversi cuciti sui palmi delle loro mani.
Tale rito sarà riproposto lasciando spazio a nuovi simboli che si svilupperanno e si modificheranno seguendo di pari passo la ricerca artistica individuale di ognuna, mantenendo come punto fermo la tecnica del ricamo, metafora dell’adesione, ma anche del lavoro quotidiano e metodico.

[Foto di Gianni Atzeni]

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