Asinara. Dei diritti e delle pene

1 Agosto 2008

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Redazionale

Forse potrebbe bastare un muro bianco per trasformare il cortile di un carcere in un cinema all’aperto. Ma le pareti di Fornelli trasudano umidità e storia. Quelle celle di un blu quasi troppo acceso, divorate dalla ruggine, ti costringono a pensare a tutto quello che c’è stato nei 114 anni in cui su questo pezzo di terra si poteva arrivare solo se trascinati con la forza. Forse anche per questo oggi si entra in punta di piedi nella fortezza dell’Asinara.
Il festival «Pensieri e Parole – Libri e film all’Asinara e Alghero» è ritornato nell’ex supercarcere per il terzo anno. E ancora una volta ha scelto di raccontare attraverso la pellicola storie di costrizione, violenza, giustizia. E di dolore. Esattamente quello che ti colpisce di sorpresa quando sbirci dentro il carcere. Come un flashback fulmineo che ti acceca quando guardi da vicino attraverso le sbarre. Cemento. Un buco per terra. Un piano per dormire.
Le storie di «Pensieri e Parole» cercano di restituire il senso di questo passato. Ma stavolta i direttori artistici, Sante Maurizi e Antonello Grimaldi, hanno voluto spalancare anche una finestra sulla realtà italiana. L’hanno fatto domenica 27 luglio, con il dibattito “Pena, diritti e garanzie”, moderato da Marco Ligas, che ha puntato subito l’attenzione su una tendenza galoppante a calpestare i diritti altrui. «Nel paese c’è stata una enorme richiesta di repressione — ha osservato Franco Uda, responsabile nazionale giustizia per l’Arci —. La politica non ha saputo mediare. Le decisioni del momento sono diventate leggi». Il senso di paura nelle persone continua a crescere «ma ci sentiamo più sicuri se il governo decide di prendere le impronte ai bambini rom e manda l’esercito nelle piazze? — chiede — Forse la sensazione nasce dalla difficoltà di costruirsi un futuro. Servono spinte culturali e politche».
Dello stesso parere don Andrea La Regina, rappresentante della Caritas, che punta il dito su una apatia generalizzata: «I cittadini non si sentono chiamati in causa. Non pensiamo mai di impegnarci a realizzare qualche obiettivo che lo Stato ha fissato. Serve un impegno maggiore anche da parte del terzo settore. E tutti dobbiamo davvero iniziare a capire le esigenze degli altri». Un’idea condivisa da don Ettore Cannavera, che aiuta adolescenti in situazioni difficili e oggi chiede più coinvolgimento delle persone e un ripensamento generale del sistema penale, perché punti alla vera rieducazione.
La situazione italiana continua a preoccupare le organizzazioni internazionali. Le carceri italiane sono molto indietro con i tempi, come sottolinea il rappresentante di Amnesty International, Gianni Manca: «Per la nostra associazione il capitolo italiano non si assottiglia mai, è sempre più voluminoso. Questo paese si avvia verso una fase pericolosa. La soglia dei diritti si abbassa. Qualcosa non va se si risponde a tutto con l’esercito».
Il pensiero corre ancora alle immagini di Bolzaneto. «In altri paesi — continua — probabilmente sarebbero state arrestate molte più persone. In Italia non esiste il reato di tortura. Ma soprattutto non c’è modo per i cittadini di identificare le forse dell’ordine. Un agente in divisa può chiederci i nostri dati, ma noi non abbiamo alcun dettaglio che ci aiuti, come un numero di matricola. Amnesty lo chiede da tempo». Dal G8 di Genova l’attenzione si sposta sui fatti di San Sebastiano, con un rovesciamento della visuale: «Quanti di quegli agenti — chiede Anastasia, che da presidente dell’associazione Antigone si occupa di diritti e garanzie del sistema penale,— potevano ribellarsi all’ordine della violenza?».
Lo svuotamento delle carceri continua ancora a dividere, ma è proprio Anastasia a difende la scelta dell’indulto: «E’ stata coraggiosa e giusta — sostiene —, non si potevano tenere sei detenuti in celle pensate per due persone e farli rimanere lì per anni in condizioni di completa illegalità. La maggior parte dei soggetti liberati non è rientrata in carcere. Ma subito dopo l’indulto è mancata una politica che evitasse un nuovo sovraffollamento a pochi mesi di distanza».
Il ruolo della stampa è letto da tutti come cruciale, ma in senso negativo. Franco Uda accusa i titoli urlati, piegati al sensazionalismo, che non fanno altro che aumentare il senso di paura. Gianni Manca denuncia chi omette le provenienze dei clandestini, perché bisognerebbe chiarire che moltissimi fuggono da decenni di conflitti e potrebbero chiedere asilo, se l’Italia avesse una legge chiara in materia. «Invece li respingiamo, violando anche i trattati internazionali».
Poco più tardi il grande schermo ha portato in primo piano ancora il carcere dell’Asinara, ripreso in alcune immagini di «Fine pena mai» di Davide Barletti e Lorenzo Conte, presentato proprio da Barletti e dallo sceneggiatore Marco Saura. La prigione ha preso poi le sembianze dei corpi delle «ragazze esili» di Maria Teresa Camoglio. La regista sassarese ha presentato in anteprima assoluta «Die dünnen Mädchen», il suo documentario sull’anoressia.

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