“Barcones, viaggio nel profondo blu” a Buon compleanno Faber 2020

1 Marzo 2020
[Benigno Moi]

Il 29 febbraio a Sinnai, Biblioteca Comunale, è stata inaugurata la Mostra “Barcones – viaggio nel profondo blu”, del pittore Nico Orunesu. Col termine “barcone” in bittese vengono chiamati i balconi e, per estensione, le finestre. Bitti, a 40 km da Nuoro, è il paese d’origine di Orunesu, da anni residente a Sassari.

E “Barcones – viaggio nel profondo blu” è il titolo che Orunesu ha voluto dare ad un ciclo di dipinti, che sono esposti, per la prima volta, in occasione del Festival “Buon Compleanno Faber- sulle rotte di Fabrizio De Andrè”, che si svolge in vari centri dell’area vasta di Cagliari, dedicato quest’anno a Lorenzo Orsetti e a Carola Rackete.

Fra gli svariati eventi artistici (cinema, musica, installazioni) che accompagnano e danno forma alla rassegna, ci sarà l’esposizione dei dipinti di Nico Orunesu. Dipinti nati anche dall’elaborazione (umana ed artistica) del forte impatto emotivo suscitato nell’artista dalla visione di una serie di foto molto conosciute del fotografo Massimo Sestini. Una in particolare, “Mare Nostrum”, realizzata dall’alto di un elicottero il 7 giugno 2014 a largo della Libia, pubblicata fra gli altri da L’Espresso a corredo dei reportage di Fabrizio Gatti.

La foto, che ritrae una barca stracolma di donne, uomini e bambini che volgono lo sguardo verso l’obiettivo del fotografo, è diventata un’immagine simbolo della tragedia dell’immigrazione, conosciuta e premiata in tutto il mondo, dal febbraio 2019 in esposizione permanente al Mandela Forum di Firenze.

La nitidezza di quella foto era tale che, le persone, perdevano il carattere di massa indistinta; tanto che lo stesso fotografo lanciò nel 2015 la campagna “Where are you? Dove sei?”, e chiedeva agli occupanti di quella barca che si riconoscevano nella foto, di raccontare la loro storia.

Questo è stato lo spunto per il ”pittore” Orunesu, artista conosciuto come un pittore di “terra e di terre” sin dai tempi delle sue pitture su juta (anche riutilizzando i vecchi sacchi usati nel mondo agropastorale).

La terra dei miti ancestrali e dell’immaginario che forma l’humus culturale di Orunesu; quella agognata (“Queste pitture sono la memoria di una terra promessa”, scrive di lui Natalino Piras nel 2008); quella persa, traditrice di sogni e speranze giovanili (“dei riferimenti alla civiltà pastorale e contadina qui se ne perdono quasi le tracce: di quel mondo rimane solo terra, pietra, cielo” scrive nel 2019 Giovanni Dettori, presentando il ciclo di dipinti Telos-Kampos-Kelos).

Ma l’immaginario di chi vive il proprio tempo è nutrito anche da suggestioni apparentemente lontane dal proprio substrato culturale; e indubbiamente Orunesu vive pienamente il proprio tempo, anche se la magia della sua pittura sembra portarci spesso in una dimensione atemporale, “inattuale” direbbe qualcuno; una pittura che si interroga su paure e speranze ancestrali. Ma, appunto, presenti in qualsiasi tempo.

Così la visione di una foto, di quelle macchie di colore, donne, uomini e bambini che coprono quasi completamente la barca che li trasporta attraverso il blu profondo del Mediterraneo, tutto questo spinge il pittore a confrontarsi con colori nuovi e istanze apparentemente lontane dalla terra d’origine. Scoprendo, e facendoci scoprire, che materiali e istanze non sono poi così distanti. Che la forza, i miti, i sogni di chi sale sopra una barca per attraversare un mare, che forse mai ha visto prima d’allora, sono anche i nostri.

E se non lo fossero, devono diventarlo. E se li abbiamo dimenticati o nascosti, dobbiamo ritirarli fuori. Ed è per questo che abbiamo un disperato bisogno di arte, di musica, film, poesia. Per ricordarci che i vari strati culturali di cui siamo impregnati, in maniera conscia o meno, controversa e contraddittoria quanto vogliamo, sono ciò che fanno di noi quel che siamo. E sono ciò che possono fare di noi quel che vogliamo.

Nico Orunesu fa poesia e pittura, e lo fa con una solida formazione e conoscenza di quanto è stato fatto e detto sulla pittura e sulla poesia. Con un linguaggio inconfondibile e originale, con una tensione creativa che lo fa tornare alle sue tele e a suoi colori ad olio, qualsiasi cosa questo possa voler dire nei dibattiti attuali sull’arte figurativa, su cui non ci azzardiamo ad avventurarci.

Il ciclo “Barcones” ci aiuta a riflettere sul significato del vedere e dell’elaborare un dramma come quello delle persone che mettono in gioco tutto attraversando deserti, fiumi, mari, frontiere…

Ci aiuta a chiederci cosa vuol dire vedere, magari da un elicottero o con la mediazione di uno schermo televisivo; comunque venire a sapere e, in quanto consapevoli, comunque complici, diretti o indiretti, di quanto accade, anche per il solo fatto di godere dei privilegi che determinano tali drammi.

Chiederci cosa significa essere “testimoni”, anche quando testimoniamo con il nostro impegno ma ci sentiamo impotenti, non sufficienti. Lo stesso artista denuncia “l’inutilità” della sua opera: “musei e biblioteche sono da tempo colmi di quadri e volumi che non sono serviti né a riscattare né tantomeno a salvare i destini, sia dell’uomo in generale che quelli degli emarginati e dei discriminati di classe e di razza…”.

Noi, che abbiamo voluto che questi dipinti vengano esposti in questa occasione, noi siamo però convinti che non sia vero che sia del tutto inutile. Siamo convinti che un’opera d’arte lasci comunque una traccia. Magari, purtroppo, non utile nell’immediato a salvare alcuna vittima, alcun sommerso. Ma forse utile a far riflettere noi, ”carnefici” involontari e impotenti, a darci quei pugni nello stomaco necessari a combattere indifferenza e complicità. Senza sentirci assolti (direbbe De André) per il fatto che ci emozioniamo davanti a un quadro o a una musica, ma convinti che si possa ancora “restare, tornare a essere, umani”. A non stare al balcone, per tornare al nome dato al ciclo di dipinti, ma ad aprire porte e finestre 1).

La mostra sarà visitabile in concomitanza con l’ottava edizione di Buon Compleanno Faber a Sinnai, nella Biblioteca Comunale, dal 29 febbraio al 16 marzo quando (domenica 15 e lunedì 16), il festival curato da Gerardo Ferrara, farà tappa a Sinnai con due eventi molto significativi, che vedranno la presenza fra gli altri di Padre Abba Mussie Zerai, il prete eritreo impegnato nelle campagne di salvataggio dei migranti, candidato nel 2015 al Nobel per la pace. Con lui in quelle due giornate Giovanni Maria Bellu e Katia Luciani, e le musiche e le voci di Tomasella Calvisi, Egidiana Carta, Luca Nulchis e Roberto Deiana.

 

Orari e dettagli sulle pagine FB di Buon Compleanno Faber https://www.facebook.com/bcfaber2014 e di Associazione Madiba Sinnai https://www.facebook.com/Madiba.sinnai

Su Nico Orunesu:

http://www.sardegnacultura.it/j/v/253?s=25124&v=2&c=2678&c1=2818&visb=1&t=1

http://www.regione.sardegna.it/index.php?v=9&s=17&xsl=2435&ric=2&c1=orunesu&c=4461&ti=

1) Barcones è anche un piccolo paese nell’entroterra spagnolo, uno dei sempre più numerosi piccoli centri che si vanno drammaticamente spopolando (in 80 anni è passato da 650 a 30 abitanti, ha una densità di nemmeno di 1 abitante a km2.) Uno di quei centri come tanti in Europa, Italia, Sardegna, cui l’apporto di alcuni dei “passeggeri dei barcones” potrebbe, come fu a Riace, ridare speranze e prospettive.

Benigno Moi è attivista dell’associazione Madiba di Sinnai

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