Bellezze e brutture

1 Novembre 2020

[Marinella Lőrinczi]

Qui neuna persona non depiat gietare romenta over stercus in alcunu logu
dessu burgu, ma la depiant gietare dae hui [sa] rumenta si gietat et hui est
postu su signale. *

Anni addietro, durante gli scambi epistolari tra colleghi universitari, si era sviluppata una discussione riguardante il turismo in Sardegna. Credo fosse legata all’arrivo delle grandi navi da crociera, che si fermavano nel porto di Cagliari per uno-due giorni dedicati alla visita di luoghi e musei. Che cosa si poteva visitare in così poco tempo? Barumini senz’altro, tra i siti archeologici più illustri. Con i suoi due nuraghi, uno nero e l’altro bianco. Il nocciolo della discussione penso fosse proprio questo: tutti i turisti frettolosi vengono catapultati ed ammassati sempre negli stessi luoghi, come se non ci fosse null’altro da vedere intorno a Cagliari.

Vivendo in un paese che ora fa parte della Città metropolitana di Cagliari, e conoscendo abbastanza bene i suoi dintorni, mi sono immaginata un giro turistico della durata di una giornata intera, comprese le soste per visita e spuntino, il cui vantaggio sarebbe stato di essere praticabile in qualsiasi stagione, eccetto i momenti di forte maltempo. Si sarebbe snodato partendo da Settimo San Pietro con visita al pozzo sacro di Cuccur’e nuraxi, interrompendosi poi brevemente alla chiesetta campestre dedicata, appunto a San Pietro, per poi far arrivare in qualche minuto, in macchina o pullman, proseguendo poi a piedi nell’ombra di un bel sughereto, alla domu de janas: questa tomba a due vani si chiama, localmente, S’acua de is dolus, perché l’acqua risorgiva che vi si accumula nella stagione piovosa si riscalda e gioverebbe ai piedi doloranti (sicuramente male non fa). Dal cuccuru della roccia rossiccia in cui la domu è scavata, bellissima vista panoramica sul Golfo di Cagliari.

S’acua de is dolus, dicembre 2013. Foto ML.

S’acua de is dolus, dicembre 2013

S’acua de is dolus, dicembre 2013 (Foto M.L.)

Si potrebbe proseguire verso Dolianova, deviando prima verso l’importante chiesetta romanica di Santa Maria di Sibiola (nel comune di Serdiana), ora circondata da un bel parco e che non è lontana dallo stagno salato Su Stani Saliu, soggetto a forte evaporazione estiva, ma dove, se c’è acqua, possono arrivare persino i fenicotteri.

Su Stani Saliu, aprile 2015. (Foto M.L.)

Si tornerebbe sulla strada principale, si entrerebbe a Dolianova che vanta la presenza dell’importante cattedrale di San Pantaleo, dove si possono ammirare decine di dettagli architettonici e scultorei stupefacenti; per esempio la lastra romana in marmo bianco, incastonata nella facciata come architrave e ornata di due serpenti, due piante, tre pesciolini e due animaletti con coda e pelliccia che sembrano nuotare sulla superficie dell’acqua. Ma perché non sostare ancor prima, anche se solo dietro prenotazione, alle rinomate cantine di Dolianova o Argiolas? (Lo giuro: non mi stanno sponsorizzando! magari …). Ma già i rigogliosi vigneti dell’intera area parlano da sé.

Ora viene il bello: la strada panoramica mozzafiato e tutta curve (SP 14) che congiunge Dolianova a S. Nicolò Gerrei. Unico problema: trovarla per uscire dal paese. Si chiama la strada delle sorgenti, delle mitzas; accanto all’ultima (de sa Teula), quasi nel punto più alto della strada, il piazzale circondante è adibito al meritato riposo dei passanti. E pure necessario, perché al ritorno verso Dolianova la strada, dall’ampia carreggiata peraltro, fa venire i capogiri, specialmente se si viaggia in pullman. Per concludere la giornata ci potremmo recare alla tomba megalitica (dei “giganti) Is Concias (nel territorio di Quartucciu), esplorando anche tra le piante che crescono fitte nei dintorni, alberi splendidi e macchia. Un’altra oretta e si è di nuovo a Cagliari, ricolmi di caleidoscopici ricordi.

Proponendo quest’itinerario a una persona che fa la guida turistica, la prima risposta è stata: Sì, ma dopo aver ripulito tutto dall’immondezza. Questi posti li conosco da anni addietro, ma nel frattempo le condizioni saranno molto cambiate, come tutti sanno, con la questione della differenziata e delle susseguenti gravi conseguenze di abbandono di ogni sorta di rifiuti. Se prendiamo ad esempio la bretella che collega la statale 131 (viale Monastir) alla statale 554, si percepiscono persino i gesti con cui sono stati lanciati dalle macchine le centinaia di buste ed altro sui due bordi della strada. Così era mesi fa, come testimonia anche quest’articolo di fine 2019. Ma possiamo restringere il perimetro. Qualche settimana fa, entro l’area descritta nel progetto di gita, in piena campagna, giaceva questo cumulo di rifiuti misti, uno tra i tanti, e c’è ancora nonostante le segnalazioni. Lo sgombero costa molto ai comuni. Tolte le schifezze, il panorama resta ugualmente bello.

Settembre 2020. Foto (M.L.)

Sempre in campagna, nei luoghi appartati, fioriscono i ‘fiori dell’amore’ abbandonati da coloro che qualcuno ha da poco definito, in facebook, i copulanti campestri. Di solito c’è tutto l’occorrente per prima durante e dopo; ma anche nei tempi recenti sono assenti le mascherine.

2019. (Foto M.L.)

Dove invece sostano gli sbevazzatori, abbondano ovviamente le bottiglie e le lattine, inutile documentare. Come è inutile dire che i bordi delle strade e i dintorni dei negozi sono ornati da guanti e da mascherine e quant’altro, poiché sarà fastidioso sprecare energie per gettarli tra i rifiuti domestici.

Ma utilizzando impropriamente i cestini appositi si arriva al grottesco involontario, quando nei luoghi pubblici vi si ammassa ciò che invece dovrebbe essere smistato in casa. I contenitori sistemati accanto a questa statua di Padre Pio, recentemente e finalmente sono stati rimossi, ma ne resta l’asta di sostegno con i tre coperchi di cui due continuano a richiamare i colori del Vaticano (bianco e giallo).

Autunno del 2019. (Foto M.L.)

Qualche giorno fa ho camminato lungo lo stagno di Quartu, sulla spiaggetta che è parallela, al di là della strada, al Poetto. Inutile fotografare i sacchetti o i pezzi di plastica, le mascherine, i guanti di vario tipo, le bottiglie, le lattine, i vetri, i pezzi di gomma, impigliati nella vegetazione, affioranti dalla sabbia o semplicemente buttati. Oltre ad una chiusura in rete tutta rotta, inizia un lungo tratto di sabbia interamente ricoperto da oggetti come quelli qui fotografati, interi, ma soprattutto rotti, che scricchiolano sotto le scarpe. Ne ho raccolti alcuni, e chiedendo ad un signore che passava lì con la nipotina cosa potessero essere, mi ha spiegato che erano i piattelli, e i loro resti, usati dai tiratori che si radunavano nell’edificio rosso, a quanto pare abbandonato, che sta dall’altra parte della strada. Leggo che l’Unione Sarda aveva descritto la situazione già nel 2014, e l’impressionante foto dell’articolo riprende una situazione molto più vistosa, dal momento che tra il 2014-2020 gli oggetti si sono rotti in milioni di pezzi, e attualmente sono quasi ricoperti dalla sabbia. Dovrebbero essere stati prodotti con una specie di silicone (che in teoria dovrebbe essere biodegradabile …? polemiche al riguardo in rete), da ditte il cui nome è ancora ben leggibile. Quello piccolo, che funge da ‘naso’ nelle due foto, in gergo si chiama bourdon “il calabrone, il ronzante”, parola che si usa in francese anche per il drone.

L’opinione pubblica dovrebbe invece pungere energicamente ed esigere la bonifica della zona.

Ottobre 2020. (Foto M.L.)

* [Ordiniamo] … che nessuno butti spazzatura ovvero sterco in alcun luogo del borgo [di Castellu Ianuensi], ma che [tutti] la debbano buttare dove si getta la spazzatura e dove è esposto [l’apposito] segnale [della discarica comune] …”. Statuti di Castelgenovese – oggi Castelsardo – sec. XIV, cap. CLIIII. Ringrazio Giovanni Lupinu dell’Università di Sassari per avermi cortesemente fornito questo ed altri capitoli del prezioso documento sardo medioevale, riguardanti il trattamento dei rifiuti domestici, solidi e liquidi; i trasgressori venivano ovviamente multati. Gli abitanti erano anche tenuti a spaçare et netare daenanti dessas domos hui istant.

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