Casta mia fatti capanna

1 Giugno 2012

Marcello Madau

In un recente articolo pubblicato da La Nuova Sardegna, ho provato a sviluppare alcune considerazioni sulla possibile nascita della ‘Fondazione Sardegna beni culturali’, organismo assai monopolista che si dovrà occupare ‘della gestione, della valorizzazione, fruizione e ricerca scientifica del patrimonio culturale della Sardegna’. Continuando col ragionare sulle relazioni con la dissennata spartizione in tre sedi del complesso nuragico di Monti Prama discussa di recente nel convegno “Il sistema museale di Monte Prama”, promosso dal Ministero dei Beni e delle Attività culturali (Il sottotitolo accattivante, dal formato ‘politicamente corretto’: “Un approccio partecipativo alla valorizzazione”. Motto in piena evidenza: ‘Beni culturali beni comuni’).
L’attuale situazione dei beni culturali è molto critica: calo dei finanziamenti, crisi del sistema della tutela e della formazione, gestioni rinnovate talora anno per anno, livelli non certo omogenei di professionalità, carenza di norme, rischi di particolarismo. La Regione cerca allora di rimediare con un soggetto unico puntando sulla fascinazione di due promesse: semplificazione delle procedure tramite un ente che assuma direzione e fondi, l’assunzione (dalla Fondazione e non dalla Regione) degli operatori delle cooperative e società operanti nelle aree e nei vari organismi di gestione, ai quali affidare persino funzioni di coordinamento nel territorio; comitato tecnico-scientifico con presenza costante delle Soprintendenze e dell’Università (gli organi del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali Ministero, dovrebbero controllare per le materie di competenza, l’operato della Fondazione. Così controlleranno anche se stesse…).
Le due istituzioni, secondo lo schema disegnato, dovrebbero addirittura dettare le linee regionali. Ma il ruolo della tutela, con forti ricadute giuridiche, viene d’altro canto depotenziato.
Pur essendovi ‘beni e attività culturali’ ad essi relative, mancano le istituzioni dell’Alta Formazione Artistica e Musicale, come i Conservatori e le Accademie di Belle Arti. Molte organizzazioni professionali, come gli archeologi, non sono state neppure sentite.
Il sistema dei beni comuni, autogoverno delle comunità all’interno di regole chiare universali e organismi centrali snelli, ha portato Elinor Ostrom, che ne ha dimostrato la maggiore efficienza, al Nobel per l’economia nel 2009. La Regione disegna invece un modello accentrato, borbonico, con gravi ricadute sul sistema lavoro e non pochi aspetti giuridicamente discutibili.
Invece di costruire un modello leggero ma efficiente e normativo di coordinamento, regole precise e standard qualitativi, si privilegia un modello con scelte esclusivamente imposte ‘dall’alto’.
Nel citato articolo su ‘La Nuova’ ci auguravamo che la saggezza potesse prevalere, evitando che questa Fondazione vada avanti, o modificandone radicalmente la logica. E – ciò che sarebbe ugualmente riconducibile ad una scelta imposta dall’alto – che le statue di Monte Prama non venissero divise in tre sedi, poiché esse dovrebbero risiedere tutte assieme nel territorio di provenienza.
Dal comunicato della Direzione Regionale Beni Culturali e paesaggistici della Sardegna sembra proseguire l’idea della orribile divisione in tre sedi (Cagliari, Cabras, Li Punti). Eppure alcune voci dicono che le statue andranno tutte a Cagliari in attesa del completamento delle apposite sale del Museo di Cabras, dopodiché lì sarebbero definitivamente trasferite. Sarà vero? Ce lo auguriamo di tutto cuore, e la proposta progettuale del nuovo allestimento pare molto valida. Altrimenti non sarebbe bello leggere, come appare nel sito della Direzione Regionale, che “il progetto intende sperimentare un approccio metodologico innovativo, utilizzando per la prima volta tecniche partecipative che permettono di includere punti di vista e competenze differenti”, di usare termini di ‘suono democratico’ come “sistema museale plurale” , di scrivere che “le varie fasi di lavoro saranno sostenute da un approccio partecipativo che, avvalendosi di tecniche di facilitazione e progettazione condivisa, coinvolgerà fattivamente i numerosi soggetti interessati.”
Quando un complesso così importante finisce in un museo Nazionale, non è facile che resti un passaggio temporaneo. E i fondi CIPE per il Museo Nazionale di Cagliari sono stati formalmente motivati per i lavori della nuova sala destinata ai materiali di Monti Prama… (ma non mancherebbero altre possibilità, solo se si volesse). Ci auguriamo quindi che non si verifichi lo strappo grave a concetti che credevamo acquisiti, almeno dal mondo scientifico e dalle sue istituzioni, come quello della indivisibilità di un contesto artistico unitario.
Ma torniamo alla ‘Fondazione’: nel suo testo si configura un’ azione di ‘esproprio’ dei comuni, sia dal punto di vista amministrativo sia da quello finanziario. Per non parlare dei compiti delle province.. E si percepiscono forti tensioni giuridiche, in particolare dal punto di vista delle competenze: se ad esempio la valorizzazione dei beni culturali è competenza concorrente fra Stato e Regione, e la gestione del patrimonio archeologico può avvenire nei territorio tramite appositi accordi, area per area, la conservazione (a differenza di quanto emerge dal testo) è competenza primaria dello Stato. Spero che non si sia pensato che siccome le aree archeologiche, tramite la legge regionale 14/2006, sono dentro il sistema museale ed il circuito museale è di competenza della Regione, le aree archeologiche sono perciò di competenza della Regione.
Le ragioni per le quali la Sardegna sfrutta assai male lo straordinario patrimonio culturale sono piuttosto complesse. A un ritardo nei paradigmi e modelli prevalenti si aggiunge una visione spesso appiattita storicamente sulla sudditanza a funzionari locali del ministero, oppure a piccoli referenti politici; e sovente su localismi che nulla hanno a che vedere con un discorso di autogoverno dei beni comuni, ma piuttosto con un campanilismo spesso molto marcato. Molti gruppi di gestione, invece di crescere in una dinamica autonoma ed essere incoraggiati a farlo, non riuscivano/non potevano neppure fare un volantino senza l’ok del funzionario di Soprintendenza.
Si pongono inoltre seri problemi di formazione, ovvero di affidamento di incarichi delicati a personale non sempre professionalizzato (né lo rappresenta l’infinito corteo di corsi di formazione professionale e dei loro pseudo-diplomini).
Ma non si risponde a questa crisi accentrando tutto il potere nei palazzi cagliaritani. Il lungo e doloroso precariato delle centinaia di addetti alla gestione di aree, siti e centri culturali si può risolvere ben diversamente.
Nasce perciò la lettura di una potente operazione, trasversale, nella quale la classe politica tradizionale (ancora dominante nel consiglio regionale) costruisce un nuovo sistema di potere, il cui essere accentrato è garanzia per il Palazzo. Tutto ciò sulla risorsa nella quale si appuntano le speranze del territorio e dei lavoratori cognitivi. Il PdCI-Federazione della Sinistra è stato sinora l’unico partito ad opporsi radicalmente alla Fondazione, con un comunicato del segretario Alessandro Corona. Severa la critica del Gruppo di Intervento Giuridico. L’Associazione Nazionale Archeologi-Sardegna ha manifestato preoccupazione e forti perplessità con un documento, letto sia al convegno del gruppo regionale del PD svoltosi a Nuoro nei giorni scorsi, sia al convegno di Cagliari su Monti Prama (nel corso del quale il soprintendente Marco Minoia è intervenuto, sulla stessa Fondazione, con molta durezza).
E ora andrà in aula regionale quell’idea di Fondazione unica per tutti i beni culturali della Sardegna, che sarebbe bene bloccare, o almeno rispedire in commissione.
Centralismo autoritario, offesa al territorio, attacco al lavoro, costruzione di nuovi assetti fra potere politico e istituzioni pubbliche. Ma la sorte di questa Fondazione non appare così scontata.

2 Commenti a “Casta mia fatti capanna”

  1. Loredana Rosenkranz scrive:

    Sono d’accordo sulla contrarietà dell’autore alla fondazione anche se mi pare che occorrerebbe una proposta alternativa perché la frammentazione degli interventi tra le diverse amministrazioni comunali e provinciali ha reso difficile il reperimento di fondi ed il rapporto con istituzioni come le sovrintendenze, con il risultato di un maggiore decadimento del nostro patrimonio e la perdita di risorse anche economiche ( lavoro, turismo culturale ecc). Forse il processo che, speriamo, si innescherà di sostituzione delle province attraverso consorzi di comuni potrebbe riguardare anche il coordinamento sui beni culturali? Forse l’associazione degli archeologi, delle biblioteche e degli operatori dei beni culturali più vari potrebbero coordinarsi e far pervenire alla commissione, mi pare l’VIII, del consiglio regionale una proposta sostitutiva nello spirito di questo processo avviato dagli elettori sardi?
    Loredana Rosenkranz

  2. Marcello Madau scrive:

    Grazie del preciso commento. L’esigenza del territorio è reale, la risposta della politica è profondamente errata. Noi ovviamente, più che indicare una legge alternativa, esprimiamo la preferenza su altre linee generali che però alternative sono: coordinamento delle realtà territoriali piuttosto che un processo pericolosamente ‘dirigista’, autonomia professionale, separazione delle azioni di valorizzazione da quelle di controllo, rifiuto netto di ogni pratica clientelare e di dominio di centri di potere politici e accademici, autogoverno dei beni comuni. Il comunicato dell’Associazione Nazionale Archeologi – Sardegna indica, a mio parere, linee utili al miglioramento (direi radicale) di questa idea, sottolineando concetti importanti come l’autonomia regionale, la divisione dei ruoli, la necessità di orientamenti qualitativi. Mi auguro che seguano altre azioni, per lo sviluppo virtuoso dei nostri splendidi ‘beni comuni’ e di forme evolute di autogoverno, anche, naturalmente, consorziate.

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