Combattenti dalla parte sbagliata

1 Novembre 2008

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Gianluca Scroccu

È veramente una lettura da non perdere quella di “Sangue d’Italia. Interventi sulla storia del Novecento”, appena edito da Manifestolibri. Il libro raccoglie un’antologia dei più significativi articoli scritti da Sergio Luzzatto, uno dei migliori storici della nuova generazione capace di muoversi con disinvoltura dalla età moderna a quella contemporanea. Molti sono infatti gli scritti che l’autore del recente “Padre Pio” einaudiano dedica nel libro all’analisi del dibattito sulla Resistenza e la legittimazione dei giovani di Salò di cui si è discusso tanto negli ultimi anni, soprattutto negli spazi mediatici. Questo, naturalmente, con la conseguenza che la discussione sulla storia del nostro Paese sia di fatto diventata prigioniera del dibattito politico. Un contesto dove dominano le banalizzazioni, le semplificazioni e, spesso, le tesi palesemente false. Nel libro di Luzzatto si ricorda, ad esempio, come si sia oramai accreditata come verità assoluta la vulgata secondo la quale prima della pubblicazione dell’importante studio di Claudio Pavone (“Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza”, Bollati Boringhieri, più volte ristampato) nessuno avesse affrontato il tema della presenza di atti di violenza commessi durante la Resistenza. Una chiara mistificazione, e non soltanto perché era sufficiente richiamare i lavori di due intellettuali come Calvino e Fenoglio, che nei rispettivi romanzi “Il sentiero dei nidi di ragno” e “I ventitré giorni della città di Alba” avevano ricostruito atmosfere non esenti da zone d’ombre,  ma anche perché da tempo si pubblicavano lavori scientifici su quelle vicende. Pubblicazioni serie basate su robuste ricerche d’archivio che avevano l’unico difetto  di non circolare nel sistema mediatico che invece culla e protegge soltanto le “sensazionali” scoperte  di Vespa e Pansa. Luzzatto, in uno dei contributi più significativi della raccolta (Piace al ventre molle dell’Italia ignava, uscito sul Corriere della Sera del 20 ottobre 2006), ricorda giustamente che da anni la storiografia ha appurato come la Resistenza presenti alcune  pagine oscure, che il PCI ha avuto la sua doppiezza e che non tutti i partigiani erano persone rispettabili, ma alcuni erano delinquenti. Da diversi tempi la Liberazione viene studiata senza retorica ma con tutti gli strumenti scientifici del lavoro dello storico, e questo proprio a partire dai tanto vituperati Istituti per la Storia della Resistenza e dell’Antifascismo. Già, l’antifascismo, un fenomeno storico completamente caduto nell’oblio con l’obiettivo esplicito di non creare imbarazzi alla costruzione del mito del “Mussolini buono che mandava i suoi oppositori in villeggiatura”. E questo mentre l’introduzione del concetto di guerra civile applicato al biennio ’43-’45 è diventato uno strumento di legittimazione politica della parte sconfitta, piuttosto che assurgere a ulteriore elemento di indagine storiografica. In Italia è così passata la linea, ribadita recentemente da autorevoli ministri del governo in carica, che si devono riconoscere anche le ragioni di chi lottò a fianco dei nazisti. Eppure, se guardiamo ai grandi paesi nati da una guerra civile (gli Stati Uniti, la Francia, l’Inghilterra, per non parlare della Spagna) si può facilmente constatare come in nessuno di questi si tenti, con così grande risalto, di riabilitare le motivazioni di chi combatteva dalla parte sbagliata. Che comun sentire ci può essere infatti tra chi combatteva per le SS e chi per liberare il mondo dall’orrore nazifascista? Come si può sostenere, come ha fatto La Russa, che anche chi andava contro gli alleati angloamericani aveva degli ideali?Una dichiarazione molto grave, pronunciata da un ministro di uno Stato fondatore dell’Europa Unita, nata proprio dal rifiuto della follia nazifascista e a cui ha risposto prontamente il Presidente Napolitano. Ma il senso comune, nel nostro Paese, è da tempo in mano di chi detiene gli strumenti dell’informazione, selezionando i fatti al fine di creare opinioni precostituite. Come si possano difendere gli ideali dei repubblichini di Salò ancora nel 2008 è infatti un interrogativo che trova risposta soltanto nelle logiche della autolegittimazione politica. Basta riferirsi al fondamentale contributo di decine di tesi di laurea, dottorato e monografie di giovani ricercatori che hanno attestato, solo per fare un esempio, il fondamentale ruolo che ebbero le Brigate Nere nell’aiutare le SS naziste nel rastrellamento e nella deportazione di migliaia di ebrei italiani destinati ad Auschwitz Birkenau. Una vergogna tutta italiana che, al pari delle stragi commesse durante le avventure coloniali e imperiali, quasi nessuno ricorda. Purtroppo oggi sembra che gli unici accreditati a ricostruire la storia di quei momenti siano Pansa o le puntate imbarazzanti di Bruno Vespa sul Mussolini buon padre di famiglia: ma si può immaginare che in Germania, nel principale talk-show politico, si costruisca una puntata su quanto Hitler amasse divertirsi con il suo cane nei momenti liberi? Purtroppo questo è il mercato della storia che viene alimentato da giornali e programmi televisivi compiacenti nell’Italia del XXI secolo; le ricerche serie sono bandite e non possono raggiungere il grande pubblico. Certo, Pansa avrà venduto centinaia di migliaia di libri, ma non può essere minimamente paragonato, per acume e rigore scientifico, al bellissimo studio di Guido Crainz, “L’ombra della guerra. Il 1945, L’Italia”, uscito l’anno scorso per i tipi di Donzelli. Una ricerca importante, che ci restituisce il dolore e la violenza di quei drammatici mesi; la liberazione e l’ansia di pace, ma anche l’esplodere di un odio covato da decenni e tenuto nascosto sotto la cappa del totalitarismo fascista. Con un lavoro approfondito sulle relazioni prefettizie conservate presso l’Archivio Centrale dello Stato e mettendo a confronto una moltitudine di fonti giornalistiche e di memorialistica, oltre che importanti ed efficaci pagine delle opere di romanzieri e poeti, Crainz ci restituisce tutta la violenza del 1945 in un’Italia sporca, lacerata e annichilita dal dolore, coperta di sangue e polvere, dove non vengono celate  le violenze del dopo-Liberazione, che l’autore stima, sulla base dei documenti conservati presso l’Archivio Centrale dello Stato, in 9364 persone colpite (ben sotto, quindi, la vulgata neofascista che si attesta su una cifra intorno a ventimila). Un libro che non meriterà una sceneggiatura degna di un film da presentare al “Festival del cinema di Roma”, ma che rappresenta comunque un esempio di come il lavoro di tanti storici non è venuto meno neppure in momenti non facili per il mondo della ricerca. Per una bibliografia minima sul problema della discussione storiografica intorno alla Resistenza, oltre ai volumi richiamati nell’articolo, si rimanda a:

Mirco Dondi, La lunga liberazione. Giustizia e violenza nel dopoguerra italiano, Editori Riuniti, Roma 2004.

Filippo Focardi, La guerra della memoria. La Resistenza nel dibattito politico italiano dal 1945 a oggi, Laterza, Roma-Bari 2005.

Sergio Luzzatto, La crisi dell’antifascismo, Einaudi, Torino 2004.
Santo Peli, La Resistenza in Italia. Storia e critica, Einaudi, Torino 2004.
Stefano Pivato, Vuoti di memoria. Usi e abusi della storia nella vita pubblica italiana, Laterza, Roma-Bari 2007.
Massimo Luigi Salvadori, Italia divisa. La coscienza tormentata di una nazione, Donzelli, Roma 2007.
Pietro Scoppola, 25 aprile. Liberazione, Einaudi, Torino 1995.

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