Commozione

24 Settembre 2025

[Gianni Loy]

Commozione. Sì, è il termine giusto. Perché la prima reazione, nel trovarmi circondato dalla marea che ha invaso il centro della città, non può che essere emotivo.

La sensazione di qualcosa di nuovo; anzi, d’antico. Una sensazione, da troppo assente, che ricorda – in tempo di decadenza – di quando tutto è incominciato; di quando nelle stesse strade, con il cuore aperto, gridavamo all’orecchio di attoniti passanti che era soltanto l’inizio.

Ieri, le strade della città sono state invase dalla compassione, una parola, un sentimento, che i padroni del mondo vorrebbero cancellare, perché niente possa intralciare la poderosa ascesa del dominio imposto dai nuovi padroni del pianeta.

L’umiliazione delle istituzioni – dall’ONU all’Unione Europea – che dopo l’ultimo conflitto mondiale abbiamo eletto a numi tutelare della pace – non è sufficiente a chi ambisce il dominio assoluto.

I ricchi planetari, dopo aver soddisfatto ogni altra loro voglia, dopo aver interrogato lo specchio delle loro brame, muovono alla conquista delle istituzioni. A volte, riescono a piegare alla loro superbia i tre poteri dello Stato, persino sostituendosi ad essi. In questo momento storico, ossessionati da un delirio di onnipotenza, non sopportano più neppure il dissenso, la critica, l’ironia, non disdegnano il ricorso alle purghe. Berlusconi, in Rai, fu un antesignano di questo vezzo.

Le manifestazioni di eri in difesa dei palestinesi c’entrano. Perché il dissenso che si manifesta nelle piazze, soprattutto quando esprime valori condivisi e trasversali, è più difficile da neutralizzare di quanto non lo sia la voce di un governo, di un’assemblea legislativa, di una corte internazionale delle cui sentenze ci si può tranquillamene beffare.     

20 mila persone in piazza in una piccola città come Cagliari – soprattutto perché si presentano in prima persona e non in nome d’altri – sono un’enormità.

Se non fosse che protestavano (protestavamo) contro un genocidio, avremmo potuto dire che sembrava una festa. Uomini, donne e bambini. Tantissimi i bambini. Son rimasto, incantato, ad osservare come sventolando i loro cartelli ripetevano gli slogan della manifestazione, sotto lo sguardo compiaciuto dei loro genitori.

Il popolo, per strada, è esercizio di democrazia diretta. Il potere ne ha paura.

E c’entra la compassione. Perché quel fiume umano, gioioso – nonostante la drammaticità del momento mi azzardo ad utilizzare la parola – esprimeva soprattutto compassione.

Franco La Cecla – nei giorni scorsi in città, in occasione del Festival Treccani della lingua italiana – ha cercato di spiegare la differenza tra l’empatia, quel sentimento, istintivo, che consente di partecipare e comprendere la sofferenza di un’altra persona, dalla compassione. La compassione, ricordava, va oltre l’emozione, contiene in sé “un impulso all’azione”.

Tempo fa – ricorro al mio armamentario – l’aveva tratteggiata Parini, in poche righe, esemplarmente, nel descrivere la reazione delle persone che avevano assistito ad una sua rovinosa caduta:

Ride il fanciullo; e gli occhi
Tosto gonfia commosso,
Che il cubito o i ginocchi
Me scorge o il mento dal cader percosso.

Altri accorre; e: oh infelice
E di men crudo fato
Degno vate! mi dice;
E seguendo il parlar, cinge il mio lato

Con la pietosa mano;
E di terra mi toglie;
E il cappel lordo e il vano
Baston dispersi ne la via raccoglie.

Empatia, per intenderci, è quella del fanciullo che si commuove. Compassione è quella della persona che fa di più: soccorre l’anziano vate l’aiuta. Come compassione è quella del samaritano che, alla vista di un giudeo percosso dai briganti e abbandonato mezzo morto per strada, lo raccoglie, gli fascia le ferite e si prende cura di lui.

Compassione. Sì. Perché ventimila persone lungo le strade della città – come i milioni di persone mobilitati in tutto il mondo – non intendono semplicemente “partecipare” al dolore delle vittime del genocidio, ma agiscono per porre fine alla barbarie, facendo pressione verso un governo che ancora mantiene relazioni con un paese sul cui primo ministro pende un mandato di cattura internazionale per crimini contro l’umanità e crimini di guerra commessi nella Striscia di Gaza.

Credo che il Governo abbia avvertito la compassione della piazza, e che se ne preoccupi, sicuramente più di quanto non si preoccupi delle iniziative dei partiti nelle sedi istituzionali. Non accoglie le richieste, naturalmente, perché troppo devoto a Trump e per tante altre ragioni. Tuttavia, comprendendo di essere assediato da una maggioranza del popolo, gioca persino la carta di fingere un riconoscimento dello Stato palestinese – sottoponendolo ad una condizione che ne impedisce ogni effetto pratico -per cercare di contenere la pressione di una maggioranza del paese.

A differenza dall’empatia, la compassione non è affatto un sentimento istintivo e – probabilmente – connaturato. La compassione è un sentimento che ha necessità di essere coltivato, compreso, condiviso. E di essere trasmesso. Il luogo può essere anche quella piazza dove i bambini ripetevano slogan che, a suo tempo, se avremo la pazienza di spiegarglielo, potranno comprendere più a fondo.

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