Contorni: Da sempre apprendisti stregoni?

1 Aprile 2016
stregoneria-goya
Giulio Angioni

Una delle cose che si ripetevano sovente da una trentina d’anni, riecheggiando secoli e secoli di pessimismi culturali e in particolare tecnologici, dai tempi dei primi computer per scrivere, era che cose come romanzi e poesie li scrivessero ormai le macchine elettroniche. E su questo presupposto si elaboravano ottimismi e pessimismi tecnologici vari e già allora spesso francamente comici, come prima con cinema e televisione, prima ancora con la stampa e prima ancora con l’invenzione della scrittura.

Se si prende sul serio il senso comune quando dice che è il fare, la tecnica, che muove il mondo, vanno presi sul serio anche certi pessimismi culturali di oggi, che ritengono anch’essi che il fare umano cambi il mondo e renda l’uomo quel che è nei suoi vari modi di vivere, ma con nichilismo radicale vedono l’umanità odierna servente e muta, insensata e consenziente all’immane Apparato della Tecnica, il cui unico intento e valore sarebbe l’efficienza fine a se stessa.

Fuori dall’Eden dell’animalità in sé compiuta, l’aquila del Caucaso continua a mangiare il fegato di Prometeo incatenato, che diede la tecnica agli uomini rubandola agli dei. Ma il senso comune medio odierno pare ancora sufficientemente lontano dal preoccuparsi di un tale inumano primato del fare, della Tecnica, che tutto ridurrebbe al solo senso e valore dell’efficacia tecnica, senza più nulla dei tanti sensi umani precedenti e senza più nuova produzione di senso, o almeno di miti del nostro tempo: e ciò si afferma miticamente proprio mentre si sta costruendo il mito odierno del Moloch della Tecnica, capace ormai di distruggere l’intero pianeta in un grande scoppio finale o nel diuturno guato climatico. Da ultimo anche il comunismo, umano, troppo umano, anche il comunismo sarebbe stato sconfitto senza residui dalla tecnica capitalistica più capace e più compromessa con la logica ferrea dell’efficacia tecnica, della Tecnica che starebbe installando sulla terra il suo regno dell’inumana efficienza.

Cose così è possibile che si dicano solo per poter essere smentite: dai fatti, e prima ancora, come nei miti, confutate a parole? Ma l’uomo ormai non avrebbe più niente da dire. Dio è morto, o per lo meno tace, ha perso la parola, lui che era parola, Verbo. Ma il senso comune non pare avere mai maturato o condiviso dai sacerdoti o dai filosofi l’idea del primato della parola, del dire sul fare e forse anche sul sentire. Dal senso comune non pare sia mai stato pensato che è la parola che muove il mondo, o che ha fatto il mondo, perché all’inizio c’era lei sola, la parola. Ancora oggi il senso comune più popolare e condiviso non pare sentire il pessimismo del logos, che il dominio della Tecnica ucciderebbe, rendendo l’uomo incapace di senso oltre l’utile e l’efficiente.

Il senso comune pare però stare ben fermo all’idea che i sentimenti, il sentire, e specie l’amore muove il mondo, avendo anche mutuato l’idea cristiana che Dio è amore e per amore ci salva. Ma sembra rimasta indifferente alla teologia della parola che per salvarci si fa carne e abita tra noi. Il senso comune dei popoli, delle masse, dei subalterni, dei dannati della terra, semmai diffida della parola:  diffida del dire sovrano di Platone e di Aristotele, e non lo intende, perché  diffida della regia potenza della parola, specie se scritta, sapendo per lunga esperienza che la parola è troppo spesso stata soprattutto comando di pochi sui molti, che troppe volte ha incatenato Prometeo e forzato Efesto-Vulcano al lavoro negli inferi, cioè ha reso l’homo faber un demiurgo assoggettato.  

Tecnica o fabrilità umana si sono ormai rivalutate nelle pedagogie alternative contemporanee. Le quali, specie se scolastiche, sembrano tutte a modo loro una sorta di ribellione alla tirannia pedagogica del dire sul fare e sul sentire, una antipedagogia contro il primato della parola, contro la tirannia dell’homo loquens. E ciò per rivendicare, quando non proprio il primato del fare, della prassi, dell’homo faber, o magari del sentire, dell’homo ludens, almeno la fondante funzione antropopoietica dei sinergici ambiti del fare del dire del pensare e del sentire in quel che si dice processo di ominazione, e quindi la loro funzione formativa per l’individuo, in quella che si dice inculturazione o socializzazione primaria, che è stata vista ricapitolare il processo di ominazione .

Il quale processo di ominazione è stato ricapitolato meglio ogni volta che l’uomo è stato rimesso sui piedi, e con la mano libera per fare. Infatti è utile e suggestivo vedere l’uomo ‘sorgere’ dal suo piantare i piedi in terra nella stazione e deambulazione eretta, sicchè il piede libera la mano  per agire sul mondo, la mano libera la faccia per la parola, la faccia libera il cervello nel suo apririsi e specializzarsi nella cultura, cioè nella disponibilità e capacità a essere creatore del proprio modo di vivere, nel quale, come nella lingua per gli strutturalisti, tout se tient.

Nell’immagine: Goya, “Stregoneria”

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