Contrordine compagni

1 Aprile 2012

Gianni Loy

Contrordine, compagni. Neppure stavolta è passata. Si è trattato soltanto di qualche giorno di tregua, di borse calme, di spread in ribasso. Poi, d’improvviso, tutto è tornato come prima. I sacrifici già fatti, archiviati e dimenticati. Altri se ne profilano all’orizzonte. Altri sacrifici,altre tasse. Stavolta lo ricorda, con aria vagamente intimidatoria, un presidente del Consiglio parco di sorrisi: meglio altre tasse. O preferite finire come la Grecia? Perché come è finita la Grecia? L’impressione è che finora si sia scherzato. E poi c’era da mettere in conto il senso di liberazione per l’addio di Berlusconi. Poi l’idea della transitorietà. Insomma quell’idea della politica dei due tempi che ha sempre fregato i poveri ed i lavoratori, ma che continua a mantenere un alone di suggestione e finisce per persuadere anche chi non dovrebbe cascarci. La politica dei due tempi, ad aver buona memoria, l’ha inventata il serpente maligno. Quello che circuiva subdolamente Eva: in un primo tempo mangia la mela; in un secondo tempo diventerai come Dio.
Quasi mezzo secolo fa, i metalmeccanici già l’avevano denunciata, questa storia del “prima fate sacrifici che poi arriverà la crescita”.
In fondo, anche in occasione di questa cosidetta emergenza, di sacrifici ne sono stati fatti, e tanti. Ma invece della crescita arriva il Maramaldo di turno, ad uccidere un uomo (ed una donna), se non ancora morto, sicuramente già boccheggiante.
Ma non solo l’orizzonte è fosco. E’ che tutto accade nel solco di una divaricante diseguaglianza, in presenza di simboli del privilegio, che seppure non potrebbero cambiare le sorte dell’economia, tuttavia offendono.
Può darsi che non ci sia più speranza. Può darsi. Ma la speranza si perde soprattutto quando si pretende venir fuori da questo guazzabuglio all’interno delle logiche che ci hanno imposto e che molti noi hanno accettato. Con quale coraggio si afferma che occorre dare risposte al mercato, che il mercato ci impone certe scelte, quando il mercato, questo mercato, è il maggiore e diretto responsabile di questa crisi. Crisi che in fondo, si badi bene, non è crisi del mercato ma è crisi dei poveri cristi. Perché il mercato continua a funzionare perfettamente, o meglio con la stessa imperfezione di sempre, visto che l’unico elemento che veramente gli difetta è proprio la libera concorrenza. Chi è, quindi, questo cosiddetto mercato? Quali sono le sue sembianze? Gli speculatori che continuano ad arricchirsi, o i piccoli investitori che tentano disperatamente, come in un tavolo di poker, di rifarsi delle perdite?
E chi è questa Europa, l’altra divinità pagana invocata tutte le volte che occorre dare un altro giro di vite alla pressa che ci comprime? Chi è questa Europa che, secondo il presidente del Consiglio, ci chiede lo scalpo dello Statuto dei lavoratori, che vorrebbe capitozzare proprio l’art. 18. Che non è un simbolo, o non solo, ma piuttosto la linea Marginot delle tutele faticosamente conquistate con secoli di lotte. Perché l’art. 18, evidentemente, non evita, non può evitare l’estromissione dal posto di lavoro, ma sicuramente fa si che l’ambiente di lavoro, laddove esso opera, conservi ancora dignitose tutele.
La prova la si ha, empiricamente e drammaticamente, laddove l’art. 18 non opera, al vedere l’impressionante tasso di violazione dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici.
La verità, insomma, è che dentro questo schema non c’è via d’uscita, se non un progressivo impoverimento dei lavoratori, una riduzione delle tutele, per gettarli nella mischia della competizione globale in condizioni tali da poter fronteggiare nuove economie che, in termini di diritti, parlano un’altra lingua.
Quando è nata l’Europa, in molti avevano, avevamo, l’idea di una omogeneizzazione dei diritti nella crescita. Immaginavamo cioè, che le conquiste dei paesi più avanzati si sarebbero potute estendere ai paesi più “arretrati”. Ed invece la normativa si è omogeneizzata, è vero, ma al ribasso.
Se otto ore vi sembran poche. Abbiamo conquistato la giornata lavorativa di otto ore. Solo che, grazie all’Europa, ora, anche in Italia, la giornata lavorativa può arrivare sino a 12 ore!
Ora più che mai, insomma, è il modello che non va. E’ da ripensare l’Europa, è da ripensare questa globalizzazione selvaggia. Soprattutto è da spostare il baricentro della politica e della cultura dall’economia ai bisogni della persona. Ridefinire la relazione tra egoismi e solidarietà. Anche fuori dagli schemi tradizionali. Può darsi che il binomio padroni-operai non funzioni più, ma quello ricchi-poveri funziona sempre. Quello tra chi si guadagna la propria sopravvivenza con il lavoro e chi, invece, con la finanza o con la speculazione, funziona ancora.
Per questo, ho provato a rifletterci, qualche volta si soccombe anche fisicamente, ci si lascia trascinare dalla corrente, ma non solo i cassintegrati, o i disoccupati, anche artigiani, lavoratori autonomi, piccoli imprenditori si lasciano andare, anche fisicamente, ogni giorno.
Avrei dovuto ricordarlo prima. Perché il lavoro, per chi ne fa mezzo di sussistenza e di elevazione, può assumere diverse forme, ma possiede una sola natura. Una natura divina?
Avremmo anche perso di vista schemi e categorie del passato, altre saranno pure diventate improponibili, ma questa verità rimane un punto cardinale.
E tuttavia non ho ancora ben chiaro, al di la della certezza di alcune analisi, del dovere di opporci, cosa dovremmo fare.

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