Cop21, il congresso dei dinosauri

2 Gennaio 2016
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Guglielmo Ragozzino

Il principale risultato dell’assemblea svoltasi a Parigi è stato decidere insieme, una volta per tutte e senza più tenere conto dei dubbi esistenti che il riscaldamento antropogenico è realtà
Si svolse a Parigi l’atteso congresso dei dinosauri. Essi volevano organizzare la ripartizione tra loro del continente e dei loro fantastici cumuli di conchiglie iridescenti ereditate dagli antenati, prima che venisse giù dal cielo la grande pioggia, o Terra fosse interamente coperta dal gelo o squassata dai terremoti. Erano sicuri di avere davanti tutto il tempo necessario per preparare le difese e sopravvivere, nelle grotte ben chiuse, nel caldo letargo. A colpirli fu, del tutto inatteso, un meteorite; proprio quello che altri osservatori videro come stella cometa.
Cop21, la ventunesima conferenza della parti si è conclusa domenica 13 dicembre con un magnifico successo. Ne va dato atto in primo luogo al ministro degli esteri francese Laurent Fabius, ospite munifico e coraggioso presidente dei lavori, capace di risolvere le situazioni difficili e di forzare le mani dei presenti sia all’approvazione senza contrasti, sia all’applauso finale e liberatorio. Sono i giornali inglesi, The Guardian e The Financial Times, da sinistra l’uno e da destra l’altro, a mettere in evidenza la spericolata abilità del ministro e della sua squadra di pronto intervento, per dirimere, smussare, sorvolare; e poi per rinviare, conciliare, promettere; oppure per tacitare, dividere, escludere, nominare; e per promettere ancora.
Il principale risultato dell’assemblea è davvero importante, un fatto nuovo. Si è deciso, insieme, una volta per tutte e senza più tenere conto dei dubbi esistenti che il riscaldamento antropogenico è realtà. Che l’attività umana prevalente nel mondo– agricoltura, industria, trasporti, urbanizzazione – aumenta la produzione di anidride carbonica con il conseguente effetto serra. Ai margini della Conferenza si è parlato molto e molto male dei “negazionisti”, sopravvissuti, rappresentati dalla maggiore compagnia petrolifera privata, l’americana Exxon. A Cop21 però si può ritenere che tale linea sia stata sconfitta, anche se taluno tra i presenti sia rimasto convinto che i repubblicani, tornati tra un anno al potere a Washington-Casa Bianca rovesceranno il tavolo e rimetteranno i poteri fossili al posto che gli spetta. Per il resto, nella generale cortesia parigina, si è potuto ascoltare perfino un alto rappresentante dell’Arabia saudita assicurare che il suo paese si sarebbe convertito al sole e al vento, lasciando, nel giro di qualche decennio, il petrolio sottoterra.
Affermazioni analoghe si sono susseguite: il senso medio della dichiarazione dei petrolieri pentiti era promettere l’uscita futura dal mondo sporco del carbonio e al tempo stesso mandare un messaggio ad azionisti, autocrati, banchieri, compratori, agenti a spasso, automobilisti disperati, carrozzieri vicini al suicidio: “il mondo farà a meno del petrolio, certo. non subito però… tra quaranta anni…”.
A chi attribuire però il pericoloso aumento di CO2? A chi il compito e l’onere di cambiare rotta? All’attività passata del capitalismo occidentale che ha ridisegnato il pianeta a sua immagine e somiglianza, forzando la natura e rendendola incapace di assorbire l’eccesso di gas serra (eccesso a misura umana, naturalmente)? Oppure alle attività di oggi, alla Cina che inquina fortemente con il suo ruolo di manifattura globale, al Brasile, all’Indonesia che tagliano e bruciano le foreste per coltivare e vendere il legno, agli abitanti delle città che pretendono di vivere tutti insieme e poi sopravvivono solo con i condizionatori? Oppure, ancora, al va-e-vieni inutile di quasi tutte le merci, con i loro involucri pesanti, ingombranti e altrettanto inutili; il tutto sostenuto, o imposto, da una finanza ingovernabile?
Una volta risolto, o meglio lasciato in sospeso questo punto cruciale, ne sorge un altro: il classico “chi paga?” La soluzione è suggerita dal documento finale che recita pressappoco: “i paesi sviluppati devono fornire le risorse finanziarie per assistere i Paesi in via di sviluppo”. Di nuovo però sorgono nuove domande. Facile è indicare, per esempio, il Sudan come paese in via di sviluppo, ma meno facile indicare la Cina nello stesso gruppo di bisognosi. Inoltre, quante sono le risorse finanziarie e come si possono ripartire?
Questa scelta non è stata fatta chiaramente, anzi si può dire che su di essa è calata una nube di ambiguità; su questo non si è votato, neppure nella forma del consenso universale accolto dall’ovazione al presidente Fabius. Si è stabilito soltanto un processo, un da farsi: altri paesi potranno associarsi ai primi 195 (o 200) con i medesimi diritti. Si darà mandato al segretario generale delle Nazioni unite o a qualche suo incaricato di raccogliere le nuove adesioni. Inoltre vi sarà un processo di ratifica del trattato o patto o accordo di Parigi. Esso avrà inizio il 22 aprile del 2016 e terminerà un anno dopo (o quattro anni dopo). Per avere valore, il trattato dovrà essere ratificato da non meno di 55 paesi, portatori responsabili, del 55 per cento delle azioni ops! emissioni. Esso avrà valore a partire dal 2020, ma senza obblighi od obiettivi. Solo una regola: quella di dichiarare, senza controllo indipendente alcuno, quanto inquinamento si produce e quanto se ne risparmia, presentando una sorta d’inventario, ogni qualche anno, e poi ogni cinque anni, sulle emissioni, sui passi avanti nel loro controllo, e ancora sul trasferimento di capitali e tecnologie in vista di un miglioramento delle condizioni generali dell’ambiente del pianeta. Qui siamo nel campo dell’INDC (Intended Nationally Ddetermineted Contributions) uno strumento di qualche cop precedente che adesso è previsto come inventario di ciascun paese del valore e quantità delle proprie emissioni, nonché del capitale impiegato – o elargito – per migliorare le condizioni proprie e aiutare gli altri paesi anche con contributi di conoscenze tecniche. L’obiettivo della salvezza generale è offerto da 195 o 200, o più ancora, impegni, dunque assunti da ciascun paese; vincolanti, ma al tempo stesso senza obblighi che non siano morali; senza che – per i primi dieci o venti anni almeno – nessuno possa interferire o dire a un altro partecipante al trattato di Parigi cosa debba fare o non fare. Così ognuno farà del suo meglio; così il paese intero avrà un vantaggio e tutti loderanno quel paese e la sua buona gente, capace di adattarsi al clima, o se necessario, di mitigarlo.
E con questo si dimostrerà la superiorità degli umani sui dinosauri, quei grossi bestioni senza cervello.

* da Sbilanciamoci.info

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