Democrazia e governabilità

1 Giugno 2016
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Marco Ligas

L’offensiva organizzata da Renzi sulla controriforma della Costituzione è entrata in una nuova fase; appare ben concertata e si presenta con un ampio coinvolgimento di forze. Non bisogna sottovalutarla. È condotta da tutti quelli che contano, con in testa la Confindustria.L’obiettivo è sin troppo chiaro: ridimensionare le prerogative di questo Parlamento che, così vien detto, non consente la governabilità, ostacola tutte le iniziative tese al cambiamento, non garantisce al governo le condizioni necessarie per la realizzazione delle riforme ritenute indispensabili per la crescita del Paese.

Naturalmente questi signori, nel rispetto delle loro tradizioni, quando usano il termine Paese non si riferiscono all’insieme dei cittadini ma esclusivamente alle classi sociali che rappresentano. Gli effetti disastrosi del jobs act o la crisi profonda che vive la scuola pubblica, ormai destinata al collasso, confermano in modo inequivocabile questa distinzione.

Sta di fatto che il soccorso della Confindustria, davanti alla determinazione con cui il Presidente del Consiglio intende demolire la Costituzione, non si è fatto attendere; si è manifestato con celerità e certamente, nel corso dei prossimi mesi, si rivelerà molto importante. L’auspicio di entrambe le parti (governo e componenti dell’imprenditorialità) è che l’accordo produca gli stessi effetti di un vero voto di scambio sottoscritto tra gentiluomini. Il nostro Paese conosce bene gli effetti di queste intese.

Gli organi di stampa potevano stare al di fuori di questo patto? Potevano ma non lo hanno fatto. Evidentemente anch’essi si considerano una componente importante di questo disegno. Così i maggiori centri dell’informazione, compresa la Rai, si sono schierati a fianco di chi intende sconfiggere la democrazia. Sono stati persino sostituiti direttori di giornali sinora fedeli paladini del potere: l’esigenza di una lotta compatta e unitaria a fianco di chi governa non tollera cedimenti o civetterie di nessuna natura, tutt’al più lo scivolone di qualche ministra o il sostegno a qualche banca in difficoltà, purché diretta e garantita da persone di fiducia, meglio da familiari.

La determinazione di questa offensiva è tale che anche le critiche espresse nei mesi scorsi dai vecchi intellettuali, i famosi professoroni, viene banalizzata e presentata come un’esigenza di spazi di visibilità e di esibizione, ritenuta tanto più sgradevole e inopportuna a causa dell’età dei personaggi.

Al di là del cattivo gusto presente in certe affermazioni, poco importa se dalle osservazioni dei cosiddetti professoroni emerge la preoccupazione per le sorti della nostra democrazia. Il passaggio verso una repubblica presidenziale attraverso una legge elettorale non più rappresentativa della volontà popolare non solo non preoccupa chi ci governa ma è la soluzione auspicata per dar corpo alla filosofia dell’uomo solo al comando, tanto cara al nostro Presidente del consiglio.

Ciò che preoccupa in questa vicenda non è solo la determinazione usata da chi governa per attaccare le istituzioni democratiche. È altrettanto grave l’arrendevolezza di quegli strati sociali e dei loro rappresentanti politici e sindacali che in passato hanno saputo rispondere con efficacia, talvolta persino con passione, ai soprusi delle classi dirigenti che frequentemente hanno cercato di neutralizzare le conquiste dei lavoratori.

Certamente si coglie in questo arretramento un aspetto della crisi di tutte le formazioni della sinistra che appaiono sempre divise e in difficoltà nell’individuare un’alternativa credibile a questo sistema di potere.

È significativo, e cito un solo esempio, come anche nel corso dell’attuale campagna elettorale per il rinnovo dei Consigli comunali, nessun candidato riesca a presentare una proposta convincente sui temi dell’occupazione. Tutti, davanti alla domanda su cosa farà il futuro sindaco per promuovere il lavoro, rispondono sostenendo che questo obiettivo non rientra nei poteri di un’amministrazione comunale. Ma è davvero così? E seppure è vero che i Comuni sono stati messi in difficoltà sui temi del lavoro a causa dell’introduzione nella Costituzione della legge sul pareggio di bilancio, è accettabile un atteggiamento che non rimetta in discussione questa decisione? Dovrebbe essere un compito delle diverse istituzioni territoriali mantenere aperto col governo un dialogo teso al confronto per il rispetto dei bisogni dei propri cittadini. Se non si fa questa scelta allora si accetta inevitabilmente l’identificazione tra amministrazioni comunali e uffici del ministero dell’interno. Ma in questo caso è inutile ribadire l’importanza delle autonomie locali.

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