Dentro e fuori dal mondo

1 Maggio 2008

Mario Cubeddu

Il manifestosardo, con Marco Ligas e Mario Cubeddu, ha discusso con Salvatore Lai, sindaco di Gavoi, sui temi della criminalità e della violenza verificatasi recentemente nella provincia di Nuoro. Riportiamo una sintesi della discussione.

Sul tavolo per le riunioni di Giunta nel palazzo comunale di Gavoi c’è il manifesto con la bella faccia di Giuseppe Porcu e lo slogan Semper sa limba tua apas presente di “Sa die de sa Sardigna” 2008. La stanza del Sindaco rispecchia il carattere di questo paese essenziale e attivo: è un luogo di lavoro al servizio della Comunità, senza orpelli, solo qualche quadro a dare luce e colore. Salvatore Lai, sindaco di Gavoi dal 2005, ha una lunga esperienza di attività amministrativa come Sindaco, Consigliere regionale e Assessore. Tirata a lucido come sempre, immersa nel verde primaverile, Gavoi risente ancora dell’impressione suscitata giusto un mese fa dalla morte tragica di Dina Dore. Questo delitto si aggiunge a quelli che si stanno ripetendo giorno dopo giorno nella Sardegna interna, dalla morte di Peppino Marotto agli ultimi delitti di Sedilo e San Teodoro. Storie diverse, probabilmente anche cause differenti; ma tutte fanno somma sino ad elevare il numero degli omicidi ad una quantità ben superiore a quella di altre parti della Sardegna e dell’Italia. Una cittadina civile e ospitale come Gavoi, piena di iniziative economiche, sociali e culturali, da un festival letterario, “Isola delle storie”, ormai noto in tutta Europa, a importanti rassegne cinematografiche e artistiche, è il luogo ideale per cercare di conoscere meglio una problematica che non è tanto, o solo, criminale, ma è anche e soprattutto politica. E l’intelligenza e la passione di Salvatore Lai sono uno strumento importante per cercare di capire meglio questa parte della Sardegna di oggi.

Manifesto Sardo: E’ passato un mese dalla morte di Dina Dore, la madre uccisa a due passi dalla sua bambina. Qual è lo stato d’animo presente attualmente tra la popolazione di Gavoi?

Salvatore Lai: Il fatto in tutta la sua gravità non è ancora passato, è sempre vivo dentro di noi. Il corpo estraneo non è stato individuato e la comunità continua a vivere con grande apprensione. C’è la volontà di arrivare a sapere, di rompere l’omertà, magari pensando a tutelare in tutti i modi un eventuale testimone. Non è coinvolto solo chi è colpito direttamente, ma tutti, perché se non c’è giustizia non si vive. Ma sono moderatamente ottimista sul fatto che se ne verrà a capo. Per quanto riguarda la criminalità in generale pensiamo anche a una battaglia politica con gli altri Sindaci del Nuorese, per lanciare un appello attraverso le forze politiche e i le associazioni di volontari.

Riprendiamo alcune tue precedenti dichiarazioni: è veramente così allarmante il clima che si respira non solo e non tanto a Gavoi, ma in tutto il Nuorese? Ed è vera la solitudine in cui vivono le istituzioni locali?

Anche se non è proprio nel Nuorese, l’allarme è vicino al Nuorese e poi dentro un certo tipo di cultura, pensiamo a quanto è accaduto a Sedilo, che fa seguito ad un analogo episodio di tipo ancora più cruento, con due morti. Se facciamo una verifica di ordine più generale, in Barbagia e nel Nuorese, verifichiamo che episodi di questo tipo non sono più un’eccezione e non c’è una sufficiente attenzione a questi fenomeni. La stampa ne parla come di fatti di cronaca, però non c’è un’analisi approfondita; tenuto conto che questi episodi riguardano poi piccole comunità, ognuno di essi è una bomba che ne mette in discussione la serenità. Una cosa è un delitto che avviene in un grande centro, penso agli omicidi, alle violenze nei confronti delle donne, cose che destano, e giustamente, grandissima impressione. Però un delitto in una piccola comunità è qualcosa di più sconvolgente che ne lacera il tessuto sociale.

Quali cause si possono indicare per questi fatti criminosi?

Secondo me noi siamo in presenza di una sorta di mix tra quello che c’è di peggio nella tradizione nostra in termini di violenza, e molto di quello che è la modernità, che sostanzialmente dà alla vita umana così scarso valore, non solo a quella degli altri, ma anche alla propria. E’ senz’altro poi la conseguenza del porre in primo piano altri disvalori, come è quello del fare soldi come prima questione. L’altro elemento è quello del non stare dentro regole condivise della comunità, ma anzi collocarsi come elementi che in qualche modo la sfidano coscientemente

Oggi non sembra esistere più la situazione così grave, così pesante di miseria, di 50 anni fa; eppure nonostante questo ancora oggi si verificano episodi di criminalità gravissimi.

Talvolta in passato la situazione sociale poteva portare, non dico a giustificare, o a comprendere, ma in qualche modo a darsi una spiegazione, come strappo rispetto a determinate condizioni di vita che veramente erano difficilissime. Oggi questo tipo di delinquenza assomiglia molto di più alla delinquenza urbana, cioè non si va a rubare e non si commettono crimini per problemi di sopravvivenza, può darsi che questo possa servire solo per avere la macchina di grossa cilindrata. Ci sono stati episodi in qualche centro vicino in cui a caratterizzare quella comunità in termini negativi erano giovani che appartenevano a famiglie agropastorali benestanti. Ma io mettevo anche in guardia per il fatto che questa situazione avveniva dentro una realtà, quella del Nuorese, che vive una crisi profondissima e molto seria, e l’aspetto, di cui stiamo parlando, corre il rischio di diventare un elemento forte di aggravamento della stessa, favorendo l’allontanamento delle persone ed accentuando lo spopolamento dei nostri territori

Per episodi come quello di Peppino Marotto, forse anche per questo di Gavoi, è difficile pensare a fattori economici. Ora, a noi sfuggono tante cose, ma è difficile pensare che quell’uccisione possa essere funzionale ad un soddisfacimento di bisogni superflui.

Quel tipo di delitto può essere visto secondo la logica che vede queste persone in qualche modo come un corpo che con le comunità vuole stabilire un rapporto di forza. In definitiva si caratterizzano come elemento che sta ai margini della comunità, che non ne accetta le regole e che pertanto entra in conflitto con essa per assumere una posizione dominante.

Contrasta quindi anche le figure simboliche

Certo, Peppino era una figura simbolica. Ora, non sappiamo cosa è accaduto, ma bisogna essere consapevoli che s’è rotto anche un rapporto che poteva esserci tra adulto e giovane. Senza ovviamente andare ad esaltare il passato, comunque c’era una comunicazione tra adulto e giovane. Ora una comunicazione tra certe frange di giovani e persone anziane è impossibile, nel senso che, e questa è una delle ipotesi che si fanno anche per Peppino, se al limite qualcuno mette in discussione determinati atteggiamenti può essere visto come persona che è nemico. Sono persone che hanno bisogno sostanzialmente di determinare dentro quelle comunità un certo tipo di rapporto di forza, di situazione di timore. In certe situazioni sono una presenza talmente rilevante da condizionare la vita sociale e determinare il restringimento di spazi di vivibilità: il poter circolare tranquillamente la sera, il poter vivere senza l’incubo di qualcosa di grave che può accadere.

L’episodio di Gavoi pensi quindi si avvicini di più alle considerazioni che facevi prima? Che possa essere spiegabile come un bisogno di accesso a nuove ricchezze?

Anche a Gavoi ci sono situazioni che sono ai margini della comunità. Ma è un episodio, bisogna capire cosa è successo, perché potrebbe essere un mancato sequestro, o una cosa molto più assimilabile ai delitti di tipo urbano, non escluderei nessuna ipotesi. Segnalando questa come emergenza di tipo più generale, facendo attenzione a non ricadere in vecchi schemi. Ecco perché io parlo, in questo senso, di modernità. Insomma, c’è traffico d’armi e traffico di droga, tanto per essere chiari, quindi siamo nel pieno di delitti di tipo diffuso. E allora queste cose finiscono per diventare un elemento che condiziona pesantemente la condizione economica e sociale di vivibilità. Per essere chiari, le amministrazioni pubbliche, le persone impegnate in un processo di cambiamento, sono alle prese con alcune componenti interne dettate dal fenomeno di spopolamento di queste realtà, e con alle spalle il fallimento di Ottana, la crisi delle campagne, il progetto Parco del Gennargentu che va in malora per una opposizione insensata: quindi dentro un quadro complessivamente negativo da un punto di vista sociale. Poi hai un elemento come questo, di tipo violento, che può aggravare ed accelerare la crisi sino al punto che poi diventa difficilissimo riuscire a recuperare. Per questi motivi bisogna fare un’analisi di quello che sta accadendo che non si fermi semplicemente all’emergenza criminale, ma che affronti il contesto dentro cui questi fenomeni accadono.

Questa presenza di armi così diffusa, che addirittura ti fa pensare ad una rete, ti mette davanti ad un fenomeno che ha una dimensione rilevante. Servono per esercitare un dominio, una prepotenza, un procacciamento di ricchezza?

Certo, e questo ci dice molte cose sulla diversità rispetto al passato a cui facevamo riferimento. Le armi non le prendono perché c’è un progetto di natura rivoluzionaria, le prendono perché poi serviranno per commettere reati che oramai fanno parte del panorama isolano, non solo di questo territorio. Avere un’arma di quel tipo vuol dire mettere nel conto di poter ammazzare o di poter essere ammazzati. Ci riporta al discorso che metti in gioco la tua vita, così come la vita degli altri. Non è una novità: è il discorso dell’accesso alla ricchezza, che in qualche modo avviene in termini molto più semplici. Stiamo parlando di fasce giovanili. Si viene a scoprire che ci sono ragazzi di diversi paesi, poi si scopre che riguardano anche diversi ambiti provinciali, perché evidentemente c’è anche un collegamento, anche se non si può parlare di reti stabili. Questo può dirlo di più la polizia.

Il discorso di queste frange devianti che si formano, si riproducono, crescono, non sembra riguardare solo il Nuorese, ma si inserisce nella crisi generale della Sardegna dell’interno. In che modo la società dei paesi, la comunità, può far fronte all’imporsi di queste frange che con la prepotenza sarebbero destinati a dominarli?

La prima risposta è quella di non far finta di nulla, il pericolo è quello della sottovalutazione del problema. D’altra parte esso va visto nella sua specificità e gravità e quindi occorre aver chiaro che deve contemplare una risposta di natura repressiva, anche seria. E’ un problema che deve comprendere certamente una battaglia culturale che renda consapevoli tutti che lo sviluppo, la crescita di queste aree non è cosa di quattro persone delegate ad amministrare, deve riguardare nel complesso quella parte dell’opinione pubblica più attenta che attualmente invece ha un po’ disarmato; dovrebbe riguardare le forze politiche, se le forze politiche in qualche modo fossero nei paesi strutturate e presenti. Il problema è prosciugare anche gli ambiti contigui, contermini, e sradicare una sorta di indifferenza nei confronti delle istituzioni dello stato. Quindi il problema investe le comunità, le forze politiche, le forze sociali, investe tutti.

Molto spesso l’uso dei beni comunitari sembra si identifichi con la proprietà di singoli e di settori, non di tutti; certo quando viene messa in discussione quella situazione, allora scatta questa reazione.

Il discorso della crisi ha bisogno di grandi elementi di novità dentro il mondo agropastorale, cambiamenti profondi, di un progetto forte nel campo della gestione e del governo del territorio, che non può essere semplicemente proprietà di qualcuno, ma deve essere vivibile, luogo insomma nel quale si fa riferimento alla grande valenza che può avere l’ambiente in campo turistico, in campo delle produzioni dell’agroalimentare. Occorre dare a questa società un grande scossone positivo: introdurre elementi di modernità positiva perché alcuni modi di vita siano messi in discussione, e soprattutto introdurre il concetto della legalità, di osservanza delle regole. In definitiva la fase del parco del Gennargentu l’ho vissuta come una sorta di rinuncia dettata, più che da convinzione, quasi dal timore che chi era contrario potesse creare una conflittualità. In realtà i pastori non avrebbero avuto nient’altro da perdere che le proprie catene, almeno i pastori che in campagna operano sul serio, nel senso che potevano vivere condizioni di vita molto più dignitose. Perché un Parco non può vivere senza i pastori come protagonisti della presenza nel territorio, della difesa dell’ambiente. Hai una situazione che è bloccata, non ci sono grandi idee, grandi proposte che avviino un processo di cambiamento. In un processo di cambiamento anche il discorso di queste presenze cambia, in una mobilitazione positiva in qualche modo quei fenomeni vengono sconfitti dal mutamento.

Quindi per sintetizzare proviamo a dire in poche ? cosa è fondamentale per il processo di cambiamento.

In primo luogo deve essere basato certamente su un turismo dei beni naturali presenti sul territorio. Proporre dei viaggi con esperienze importanti dal punto di vista ambientale, e che favoriscano la conoscenza del territorio nelle sue diverse componenti. Un tipo di turismo che è complementare e arricchisce l’offerta turistica regionale. Anche nel settore culturale il discorso deve essere quello di valorizzare le tradizioni positive, però contemporaneamente devi aprire la porta ad attività nuove. Noi siamo sulla scommessa del Festival delle Storie, nei festival che hanno valenza internazionale. L’altra grande scommessa è come si entra dentro il mondo, dobbiamo esserci per fatti positivi. Quindi bisogna stare dentro i cambiamenti, si tratta di capitalizzare quelli positivi e di contenere quelli negativi. E’ una battaglia difficilissima ed è illusorio che possa essere fatta da piccole realtà; si tratta di politiche regionali e nazionali. La cultura diventa un elemento importantissimo in questo ragionamento. La cultura è anche la consapevolezza della necessità del cambiamento. Ma c’è una carenza di riflessione politica che aiuti la parte più avveduta della popolazione a capire quale è il movimento, e noi sappiamo quanto sia importante perché poi queste riflessioni siano trasmesse ad altre parti dei cittadini. Insomma, pensiamo agli anni settanta e ottanta, c’erano cose che coinvolgevano tutti e certi fenomeni erano totalmente marginalizzati. Non dimenticando una cosa importante: il fallimento di Ottana, che però ha prodotto quei cambiamenti.

C’è una speranza nei giovani imprenditori del mondo pastorale, giovani figli di pastori che hanno studiato e scelto di dedicarsi a continuare il lavoro in agricoltura?

Questa è la scommessa che stiamo ponendo in atto. Nel Consorzio del Fiore Sardo ci sono dei giovani, il presidente è un giovane, e sono giovani figli di pastori che hanno studiato. Questa è la scommessa che si vuol giocare: fare in modo che il passaggio delle attività possa avvenire immettendo energie nuove. Anche la stessa organizzazione in campo culturale immette giovani. C’è un problema anche nostro di riuscire ad utilizzare professionalità straordinarie presenti nei giovani. L’altra cosa fondamentale per tutto il ragionamento che abbiamo fatto è la scommessa di far entrare il mondo dei giovani dentro questi processi di cambiamento, diversamente tutto ciò a cui abbiamo fatto riferimento fallisce. Se entrano nuove generazioni, e soprattutto questa generazione che ha studiato, noi si può dare sul serio una sterzata. Ognuno certamente deve fare dentro le proprie comunità il proprio dovere, però la questione seria è il discorso del darsi insieme un obiettivo. Che riguarda il Nuorese , ma riguarda anche tutta quest’isola. Io mi rendo conto che tutto sta cadendo sui Comuni. E in effetti con la crisi della politica è qui, è nelle comunità che poi giochi anche la tenuta della situazione politica generale.

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