Diario Palestina 4: Marwan Barghouti

11 Maggio 2014
Marwan_Barghouti_painting
Mariella Setzu

Prosegue il viaggio in Palestina. Nel primo pomeriggio della domenica di Pasqua ci rechiamo all’incontro con Fadwa Barghouthi, instancabile combattente della causa palestinese, avvocato, e moglie di Marwan Barghouthi, che ci presenta le motivazioni della campagna di liberazione di Barghouti, leader di Al Fatah, e di tutti i prigionieri politici.

Vari premi Nobel ed ex primi ministri stanno sostenendo questa campagna, lanciata lo scorso Ottobre in Sud Africa, dalla cella di Nelson Mandela a Roben Island attraverso un comitato internazionale (in cui è presente anche Luisa Morgantini) presieduto da Ahmet Kathrada, leader anti-apartheid che lanciò anche la campagna per il rilascio di Nelson Mandela. L’iniziativa sta avendo diffusione in Irlanda, Italia, Francia, Regno unito. Attualmente sono oltre 5200 i prigionieri politici palestinesi, di cui 16 parlamentari.

Marwan Barghouthi, in carcere da 11 anni, è il stato il primo deputato a subire l’arresto. Ha rifiutato la libertà condizionale per affermare il diritto alla liberazione di tutti i prigionieri politici palestinesi, prevista anche dagli accordi di Oslo e mai attuata. Questo passo è condizione fondamentale per la pace e la riconciliazione, come è avvenuto in Sudafrica con la liberazione di Mandela, insieme alla cessazione del regime di apartheid subito dal popolo sudafricano, così come adesso bisogna che finisca il regime di apartheid subito dal popolo palestinese.

Luisa Morgantini ci presenta anche l’avvocato Mojed Bamiah (responsabile della campagna di liberazione dei prigionieri politici). Parla della recente risoluzione europea, partita proprio da una proposta di Luisa Morgantini, già vice presidente del parlamento europeo, riguardo alla liberazione dei prigionieri politici, in cui si fa riferimento a Marwan Barghouthi. Non ci si è soffermati a richieste sui diritti dei prigionieri politici, ma si è immediatamente chiesta la loro liberazione. “Quando abbiamo visto”, racconta “che Israele liberava mille prigionieri palestinesi tra cui alcuni importanti, ma non Marwan, allora abbiamo capito quanto Marwan fosse importante. Per capire come riuscire ad ottenere la sua liberazione si è studiato il caso di Nelson Mandela. Ma quando abbiamo parlato della liberazione di tutti i prigionieri allora ci hanno detto che questa proposta era impossibile da raggiungere: piuttosto, ci dicevano, cercate di ottenere la liberazione di un gruppo particolare: ad esempio prigionieri per via amministrativa (cioè senza imputazioni formali e senza processo), minorenni”.

– Sì, bambini e ragazzi, penso, e per conto mio rivedo alcuni dati Unicef, per cui negli ultimi dieci anni oltre 7 mila minori sono stati incarcerati e il 90% ha subito tortura. In base a un decreto militare il governo di occupazione procede all’arresto dei bambini palestinesi a partire dai 12 anni di età.

Mojed Bamiah continua: “un anno fa ancora non si credeva che saremo arrivati a chiedere la liberazione di Marwan e di tutti i prigionieri politici. Adesso, un anno dopo, abbiamo dalla nostra parte premi Nobel, ex primi ministri, 500 parlamentari di tutti il mondo, persone che si occupano di diritti umani, artisti. E’ così che abbiamo lanciato la campagna di liberazione. Il messaggio è anzitutto libertà, la pace è conseguenza. Quello che ha visto fare in Italia è molto importante e servirà come esempio altrove, così anche gli italiani potranno dire di aver contribuito”.

Rispondendo ad una domanda riguardo alle negoziazioni, Mojed Bamiah spiega che la recente negoziazione sulla liberazione dei prigionieri riguardava 104 di questi che sono incarcerati da prima degli accordi di Oslo, 1994. Quelli che quelli che David Cameron ha chiamato terroristi quando è venuto alla Knesset. Qualcuno sta in cella da 32 anni per aver ucciso un soldato israeliano.

C’erano quattro fasi per la liberazione di una ventina persone per volta e la quarta fase (di trenta prigionieri) non si è realizzata, pur avendo la delegazione palestinese ottemperato ad una precisa richiesta israeliana (un ricatto bell’e buono) di non andare all’ONU per nove mesi, come prezzo per tirarli fuori. Infatti per la liberazione di ogni prigioniero gli israeliani chiedono un prezzo, praticamente li tengono in ostaggio. Il prezzo era che i palestinesi non facessero richiesta all’ONU di aderire ad alcune convenzioni internazionali (cosa che sta pienamente nei diritti dei palestinesi ed è del tutto legale).

Barghouthi non faceva parte di questo gruppo, ma è il primo di un altro gruppo che sarà in questione non appena si chiuderanno le trattative per quello in corso (il 29 aprile). I palestinesi (come 194esimo stato non membro dell’ONU) hanno già ratificato un certo numero di convenzioni sui diritti umani (convenzioni di Ginevra, sui diritti dei bambini, ecc.), che invece Israele viola sistematicamente. Attualmente le trattative sono state sospese, non si è avuta la liberazione dell’ultimo gruppo di prigionieri, e non solo, Israele mette anche in atto il ricatto economico di sospendere i pagamenti che deve all’Autorità palestinese, pur riscuotendo le tasse dei palestinesi.

Qualcuno chiede quali argomenti usino gli israeliani per impedire ai palestinesi di andare all’ONU e ratificare i trattati. “Si pensi”, risponde Mojed Bamiah, “che Lieberman, uno dei ministri più attivi nel sostenere le colonie, alla legittima richiesta palestinesi di diventare paese delle nazioni unite, ha detto che questo era atto di terrorismo. Gli israeliani vogliono che i palestinesi abbiano trattative unicamente con gli israeliani, e non accedano al diritto internazionale, cosa del tutto legale; le colonie, che sono considerate illegali dal diritto internazionale, sono invece legali per Israele”. E’ un paradosso in cui un intero popolo viene schiacciato.

Alla domanda di che cosa Marwan sia imputato i nostri relatori ricordano il ruolo di Marwan nella causa palestinese sin da giovane, quando a 15 anni entrò in Fatah, subì la carcerazione a 18 anni, fu liberato, espulso dalla Palestina, rientrò con gli accordi di Oslo di cui fu prima sostenitore, per poi ricredersi amaramente, visto l’incremento degli insediamenti, il muro e l’occupazione militare di Gaza e Cisgiordania da parte di Israele. Leader politico di grande popolarità, è stato condannato a cinque ergastoli e quaranta anni di carcerazione per omicidi da cui si è proclamato del tutto innocente.

Successivamente approfondisco qualche dato: dall’occupazione del ’67 sono stati circa ottocentomila i palestinesi che hanno fatto esperienza del carcere, in un impressionante fenomeno di detenzione di massa. L’esperienza del carcere ferisce in modo profondo e diffuso la vita dei palestinesi, e moltissime famiglie hanno avuto qualcuno dei propri membri in carcere. Di questo quadro fanno parte il disprezzo delle garanzie di chi viene arrestato, l’uso della tortura, l’isolamento, la mancanza di cure per chi si ammala, le prigioni situate nel territorio dello stato occupante: 17 prigioni, 4 centri di per gli interrogatori, in palese violazione dell’art. 76 della IV Convenzione di Ginevra, che stabilisce che una potenza occupante deve detenere i residenti del territorio occupato nelle carceri all’interno del territorio stesso.

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