Disuguaglianze

16 Luglio 2018

Foto Roberto Pili

[Massimo Dadea]

Se dovessimo attendere che la sinistra completi la sua lacerante elaborazione del lutto, dopo la drammatica sconfitta del 4 marzo, allora sì che potrebbe avverarsi la minaccia di Salvini, che pensa di restare al governo del Paese per i prossimi trent’anni. Semplicemente la sinistra non è stata capace di dare risposte concrete ed esaurienti ai bisogni primari dei cittadini: lavoro, istruzione, salute, sicurezza. La sua azione di governo ha privilegiato la parte più garantita della società, dimenticandosi degli ultimi, degli emarginati, dei deboli. Sopratutto non è stata capace di impegnarsi per superare le profonde disuguaglianze che attraversano la società, nel Paese e in Sardegna. Anzi, con le sue scelte, con le sue amnesie, con la sua inadeguatezza, è stata individuata come uno dei fattori che le hanno accentuate. Una delle più intollerabili è la disparità dei cittadini rispetto ad un diritto costituzionalmente garantito: il diritto alla salute. Quest’anno il SSN (Servizio Sanitario Nazionale) compie quarant’anni, ma il suo stato di salute non è per niente buono. Anzi. L’OMS (Organizzazione mondiale della Sanità) esprime seri dubbi sulla sostenibilità del modello italiano. Infatti la spesa sanitaria si è ridotta oramai al 6,5 % del PIL: al di sotto non è possibile garantire un’assistenza di qualità e neppure l’accesso alle cure, con conseguente riduzione dell’aspettativa di vita. I tagli lineari operati sulla spesa sanitaria stanno vanificando il diritto alla salute e lo stesso principio universalistico, e con esso l’accesso gratuito ai servizi sanitari. Sono 11 milioni i cittadini (sopratutto giovani ed anziani) che rinunciano alle cure mediche perché non possono pagare i ticket. Ben 7 milioni sono quelli che si indebitano e 2,8 milioni quelli costretti a vendere la casa per assicurarsi visite e medicine. Nel meridione, infatti, l’aspettativa di vita è più bassa di quattro anni rispetto al resto del Paese. In Sardegna tutto questo ha degli effetti dirompenti. Una regione segnata da un tasso di invecchiamento tra i più alti in Italia e in Europa, da un’alta prevalenza di patologie croniche e degenerative – tra tutte il Diabete e la Sclerosi multipla –  un’alta incidenza di patologie neoplastiche legate all’inquinamento industriale. Non è un caso che in Sardegna la principale causa di morte siano i tumori (29,1%) e non le malattie cardio-vascolari (28,6%) come nel resto del Paese. A fronte di questi dati epidemiologici è sconcertante che non sia ancora operativo il Registro regionale dei tumori e non siano assicurati adeguati Percorsi diagnostico-terapeutico-assistenziali ai pazienti affetti da Sclerosi multipla. Ed allora perché stupirsi se, secondo il rapporto CREA, la tutela della salute nell’isola è la peggiore in Italia. Una organizzazione sanitaria tanto costosa quanto inefficiente: la spesa farmaceutica più alta tra le regioni italiane; liste d’attesa inaccettabili per un paese civile (192 giorni per una mammografia, 208 per una colonscopia, 111 per una visita urologica). Un sistema ospedaliero inadeguato: oltre il 70% degli accessi in pronto soccorso è inappropriato; il tasso di ospedalizzazione, a causa dei ricoveri ingiustificati, è tra i più elevati. I presidi ospedalieri sono così impossibilitati a svolgere la loro funzione primaria – la diagnosi e la cura più fine e sofisticata – perché appesantiti dalla routine e dalla mancanza di servizi territoriali che facciano da filtro, dalla assenza di una adeguata continuità terapeutica ed assistenziale. Oltretutto, uno sperpero di risorse visto che un ricovero ospedaliero costa tra i 700 e gli 800 euro al giorno. Solo l’inadeguatezza del governo regionale poteva non accorgersi che il nodo cruciale è il territorio: l’assenza di una efficace rete di servizi territoriali. Una “riforma” della sanità regionale irrazionale, figlia di un paradigma inaccettabile: tagliare ed accentrare. Da qui la scelta di creare una macrostruttura (ATS) che genera sprechi ed inefficienze, come stanno sperimentando sulla loro pelle gli operatori sanitari. Una “riforma” che viene percepita dai cittadini, dagli operatori sanitari, dagli amministratori locali, come penalizzante perché finalizzata ad una mera riduzione della spesa sanitaria: si svuotano i piccoli ospedali, si chiudono i servizi, si spostano gli operatori sanitari. Nel contempo, i grandi ospedali, quelli di alta specializzazione, vedi ad esempio il Brotzu, lamentano una sensibile perdita di efficienza e della qualità delle prestazioni. In compenso la cosiddetta “riforma” riesce a dare un contributo decisivo all’accentuarsi degli squilibri territoriali: si svuota il territorio di servizi essenziali; si aggrava il processo di spopolamento delle aree più deboli; si da un bel contributo alla “desertificazione” sociale, economica e culturale di ampi territori della Sardegna. La tutela del diritto alla salute, il superamento delle diseguaglianze, sono un terreno concreto per misurare la vitalità della sinistra, la sua capacità di rispondere concretamente ai bisogni primari dei cittadini. Ogni altra cosa è solo lotta di potere di uomini piccoli, di capi bastone che danzano sulla tolda del Titanic.

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