Donne per la pace e per un futuro senza violenza
16 Giugno 2025[red]
Il 26 giugno il Coordinamento Nazionale Donne per la Pace e un futuro senza violenza lancia in ogni territorio una mobilitazione diffusa per rendere visibili le voci che si oppongono alla guerra, per creare spazi di confronto, pensiero e azione. Perché la pace non è un’utopia lontana, né un fatto privato o diplomatico. La pace è una pratica collettiva, un atto politico quotidiano, un bene comune da costruire insieme – qui e ora. Pubblichiamo il loro manifesto.
Siamo donne attive in molte città italiane, da nord a sud, impegnate nei movimenti per la pace, il disarmo, la giustizia sociale e ambientale. Da questo impegno condiviso nasce una rete nazionale finalizzata all’iniziativa del 26 giugno. Una trama plurale, in divenire, radicata nei luoghi e capace di visione, che riconosce nell’esperienza delle donne – nei corpi che si mettono in gioco, nelle parole che si sottraggono alla retorica del nemico e ai linguaggi del patriarcato – una forza di trasformazione.
Viviamo un tempo in cui la guerra viene normalizzata, giustificata, persino celebrata. La violenza bellica è tornata a essere linguaggio ufficiale delle relazioni internazionali, strumento di potere, fondamento dell’economia globale.
Ogni giorno nella Palestina sotto occupazione e assedio siamo di fronte a ciò che Stéphanie Latte Abdallah ha definito futuricidio: la distruzione sistematica di esseri umani, delle condizioni minime per vivere, immaginare un domani, tramandare memoria e speranza. E assistiamo alla devastazione di vite e territori provocata dall’invasione russa dell’Ucraina, così come al protrarsi di conflitti dimenticati in Sudan, Congo, Siria, Yemen, Myanmar e in molte altre aree del mondo. Guerre diverse, ma con radici comuni: una politica fondata sul dominio, sullo sfruttamento delle risorse e sull’indifferenza verso la vita umana e del pianeta.
A questa logica opponiamo pensiero e pratiche di pace. Rifiutiamo la semplificazione binaria dell’amico/nemico, la retorica dell’intervento armato, l’idea che la pace possa essere imposta con le armi. La guerra non è un’eccezione: è un dispositivo strutturale di potere, parte integrante di un sistema economico e politico che trae profitto dal disastro e dalla paura. «La forza è ciò che fa di chiunque le sia sottomesso una cosa», scriveva Simone Weil, e questo processo di spossessamento, che colpisce i corpi e le vite lo vediamo accadere ogni giorno, in ogni teatro di guerra, ma anche nelle nostre città, dove il linguaggio bellico invade la politica, l’informazione, la scuola, la cultura.
Denunciamo l’ideologia della forza, la militarizzazione delle istituzioni, l’espansione dell’industria bellica, l’asservimento della politica estera e dei media a una narrazione che semplifica, censura, distorce. Come sosteneva María Zambrano, infatti, può dirsi veramente umana solo una politica capace di ascoltare il pianto. Una politica che non rimuove il dolore, che non sacrifica le vite in nome della patria o della sicurezza, ma che sceglie la responsabilità, la cura, la giustizia.
In questa oscurità, come spazio di donne in relazione e costruzione collettiva, cercheremo di ascoltare, interrogare, dissentire, riaprire le domande che la guerra tenta sempre di soffocare, a partire dalla convinzione che sia necessario un impegno per una trasformazione profonda per smilitarizzare la società e le menti, per ridare senso alla convivenza.
La data del 26 giugno è stata scelta per rientrare nella settimana di mobilitazione europea di “Stop ReArm Europe” a cui aderiscono numerosi gruppi, presidi e associazioni che fanno parte della nostra Rete.