Dopo lo sciopero

16 Dicembre 2008

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Marco Ligas

Ventimila persone, forse trentamila hanno partecipato a Cagliari allo sciopero del 12 dicembre. In tutti i manifestanti si coglieva la preoccupazione per gli effetti della crisi che stiamo vivendo. Le loro rivendicazioni erano precise: difesa del posto di lavoro contro il rischio del licenziamento o della cassa integrazione, contestazione del precariato, richiesta di un sistema formativo efficiente. La chiusura degli stabilimenti del petrolchimico è stata al centro della manifestazione, non a caso i lavoratori di Porto Torres aprivano il corteo.
Le vicissitudini dell’Eni in Sardegna rispecchiano fedelmente l’andamento del processo di industrializzazione che si è verificato dagli anni ’60 in poi: dopo la crisi del comparto minerario, scelta della petrolchimica come asse portante dello sviluppo dell’isola, grandi investimenti in buona parte sovvenzionati dal potere pubblico, discreta occupazione, uso della Regione sarda come istituzione mediatrice tra gli interessi dei vari gruppi imprenditoriali e i bisogni di occupazione, declino progressivo. Tutte le trasformazioni di questi decenni si inseriscono in questo processo. Le lotte operaie, gli impegni sindacali e gli incontri con i governi nazionali non hanno invertito questa tendenza.
Oggi la Sardegna vive una situazione paradossale: i lavoratori ancora occupati rivendicano giustamente il diritto sacrosanto al lavoro, ma i comparti dove nell’isola si svolgono le attività produttive stanno smobilitando per motivi di razionalità aziendale, come sostengono le grandi imprese globalizzate. La contrattazione con queste aziende diventa sempre più difficile e spesso gli stessi governi nazionali trovano non pochi ostacoli nel condurre trattative che abbiano come obiettivo la salvaguardia del lavoro. Nel caso specifico della chimica e della Sardegna non è escluso anche un aspetto politico contingente: il disinteresse del governo Berlusconi finalizzato ad un successo dello schieramento di centrodestra nel prossimo confronto elettorale.
A rendere più difficile la situazione occupativa di Porto Torres influiscono le scelte del Governo indirizzate verso l’uso del nucleare e la costruzioni di centrali elettriche a carbone. Non c’è dubbio che chi programma queste strategie intende finanziare gruppi economici che hanno interessi diversi da quelli di cui ha bisogno la Sardegna. Eppure la strada delle energie rinnovabili è quella che bisognerebbe percorrere per ottenere sia una sufficienza energetica sia il rispetto dell’ambiente.
Sono diversi ormai gli studi che mostrano l’efficacia di nuove tecnologie per la produzione di energia; riguardano (come affermiamo in modo più circostanziato in un altro articolo del quindicinale) sia la produzione di calore attraverso sistemi di concentrazione della radiazione solare, sia l’uso di pannelli fotovoltaici. Insomma la strada della produzione delle energie rinnovabili è praticabile, non solo potrebbe creare nuove possibilità lavorative ma segnerebbe una svolta importante nella politica industriale della Sardegna, liberandola dalla dipendenza dalle materie prime di importazione che sinora ne hanno condizionato lo sviluppo.
Tuttavia la politica delle Amministrazioni pubbliche stenta a seguire questo cammino e rifiuta quelle forme di incentivazione che risultano indispensabili per il cambiamento.
Esigenze analoghe riguardano anche l’agricoltura. Sempre più spesso si organizzano convegni dove si discute dello spopolamento dei nostri Comuni e della crisi del settore agro-pastorale, ma non si fanno passi in avanti significativi per bloccare questi processi. Anche in questo settore manca la determinazione necessaria per la promozione di attività polifunzionali che rispondano contemporaneamente alle esigenze del radicamento dei lavoratori alla propria terra, al controllo del territorio e alla diffusione di attività produttive che superino una volta per tutte la monoculturalità.

***
In queste ultime settimane i partiti della ex sinistra arcobaleno, o loro segmenti, si stanno organizzando per dar vita a nuovi raggruppamenti. Sicuramente c’è l’esigenza di una nuova formazione che sappia raccogliere le idealità e i valori della tradizione del movimento operaio. Non ci sembra però che i tentativi in corso siano indirizzati verso il raggiungimento di questo obiettivo. Sembrano dettati piuttosto dall’opportunità di rispondere a sollecitazioni contingenti, dal bisogno di coprire un vuoto in vista delle prossime elezioni regionali. Nella situazione in cui è precipitata la crisi della sinistra non riteniamo utile una sua ricostruzione senza una riflessione ampia che coinvolga tutte le componenti che nella nostra società aspirano ad una organizzazione unitaria. A rendere meno convincente l’esito dei tentativi in corso è la rapidità con cui vengono presentati i programmi e gli organigrammi delle nuove formazioni. Tutto ciò genera sospetti, fa pensare ad un riciclaggio, a tentativi tesi alla riproduzione della casta
Riteniamo perciò indispensabile che queste iniziative, per essere credibili, rispondano a due condizioni preliminari: tempi diversi (necessariamente più lunghi) con modalità e regole precise di coinvolgimento, da definire con tutti coloro che sono interessati al processo di ricostruzione della sinistra; rinuncia di chi ha ricoperto incarichi pubblici a nuove candidature. Sappiamo bene che molti porranno questa domanda: perché dobbiamo lasciare fuori dalle istituzioni compagni che hanno maturato un’esperienza che potrebbe risultare ancora utile nei lavori parlamentari o dei consigli regionali? Noi riteniamo che il lavoro politico debba svolgersi in più luoghi: stare fuori dalle istituzioni non significa stare fuori dal lavoro politico-culurale-formativo di cui c’è estremo bisogno nella società. Anzi, le persone che hanno maturato un’esperienza nelle istituzioni potranno svolgere un lavoro politico ancora più importante perché potranno mettere a disposizione le maggiori competenze che derivano loro dalle conoscenze acquisite nel corso dell’impegno parlamentare. Siamo sicuri che una scelta che abbia queste caratteristiche darà alla sinistra una indubbia credibilità.

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