Eppure la casa non è un lusso

1 Febbraio 2013
Nicola Imbimbo
Come sottolinea Marco Ligas nel suo “fondo” di apertura, la campagna elettorale anziché imporre alle forze politiche il dovere di proporre soluzioni credibili sui problemi più urgenti del Paese e della Sardegna, a partire dal lavoro e dalla inarrestabile deindustrializzazione dell’isola, si caratterizza per le pretestuose polemiche dei suoi protagonisti. E naturalmente trascura totalmente  ciò che interessa ai cittadini.
Proprio per questo vale la pena di riprendere un tema concreto  e che per tanti versi interessa  tutti: quello della casa, sollevato  in piena campagna elettorale, da Enrico Lobina, consigliere di sinistra al Comune di Cagliari.
Un problema che ha a che fare con la crisi dell’industria edilizia e della relativa disoccupazione in un settore spesso ampio serbatoio di occupazione; con la crisi del mercato finanziario e l’impossibilità di contrarre mutui; con la crisi del mercato immobiliare  e il permanere  degli alti prezzi che crea una notevole quantità di invenduto; e infine – ma non per ultimo- con  l’emergenza abitativa per tantissime famiglie prive di un diritto fondamentale, e causa non secondaria dello spopolamento di Cagliari.
Poco meno di 1000 famiglie a Cagliari  sono in graduatorie  comunali in attesa, da anni, di avere una casa in assegnazione. Nello stesso tempo si stima che solo a Cagliari ci siano non meno di 5000 appartamenti sfitti e invenduti.
E’ una situazione insostenibile che non può lasciare immobili né costruttori, né istituti di credito e meno che mai le amministrazioni pubbliche dai Comuni alla Regione.
Cosa si propone per fronteggiare l’emergenza? L’uso di uno strumento previsto dalla  vigente legislazione: la requisizione di un bene  privato “a motivo di un superiore interesse pubblico”.
In un periodo di iperliberismo  imperante, sebbene appena abbozzata,  la proposta ha suscitato proteste, o nel migliore dei casi, ironie anche tra gente comune.  Eppure la proposta non è da ‘requisizione proletaria’, non prevede l’esproprio del bene inutilizzato ma la sua messa a disposizione per 18 mesi, rinnovabili una sola volta, a canone di mercato, supportato in caso di necessità da un contributo pubblico. La casa sarebbe restituita al proprietario alla scadenza nelle condizioni in cui era al momento della requisizione facendosi garante del tutto la pubblica amministrazione.
Questa in sintesi la proposta o forse, al momento, solo una utile provocazione. Che però sarebbe sbagliato lasciar cadere. In questo paese ormai sembra che i centri di governo, dalle assemblee consiliari agli esecutivi, siano solo luoghi per avere privilegi, spesso per arricchirsi, in molti casi per sprecare danaro  pubblico per uso personale o di clientele, siano esse imprese o lobbies di vario genere. Un appannaggio della cosiddetta casta.
Nessun confronto serio sui bisogni primari e costituzionalmente garantiti di cui una grande quantità di cittadini non gode. Non vengono stimolati gli imprenditori  a non essere semplici palazzinari. Eppure è necessario che le imprese investano per alimentare un circuito di produzione di beni per soddisfare bisogni.
Una sfida  cui in particolare una maggioranza, quella del comune di Cagliari, non può sottrarsi. Il voto dei cagliaritani, dopo decenni di dominio della destra  prima democristiana e poi berlusconiana, ha premiato un sindaco giovane ed esponente di un partito di Sinistra (SEL). Questa domanda di cambiamento non può essere elusa.
La giunta  Zedda, la sua maggioranza non può tradire quel voto e quella fiducia degli elettori. Non può non condurre battaglie che sfidino i poteri forti che dominano la città e di cui il settore immobiliare,  spesso anche attraverso il controllo dell’informazione, è uno dei maggiori strumenti.
Una battaglia condotta in nome della  difesa e promozione di quei diritti garantiti oltre che dal diritto naturale  anche dalla costituzione italiana, potrebbe contribuire a far nascere nei cittadini una volontà nuova di partecipare alla vita politica, a farli diventare  padroni del destino delle comunità in cui vivono non solo esercitando il diritto di voto e delegando poi tutto ai loro rappresentanti.
Potrebbe iniziare una nuova stagione per la rinascita di una democrazia ormai sempre più declinante. Una democrazia che sia una sintesi tra delega di rappresentanza e democrazia diretta. Una democrazia in cui i cittadini qualificati informati  documentati e attivi siano soggetti anch’essi governanti  contribuendo così a riscrivere le regole della democrazia, abolire la concentrazione del potere ed i privilegi dei rappresentanti, cambiare le istituzioni.  Se si accettano certe sfide, come quella di cui parliamo “la democrazia si allarga e diventa più inclusiva: delle nuove forme di partecipazione dei cittadini, della gestione dei beni comuni, della società civile che interagisce, in piena autonomia, con una sfera politica che si apre alla cittadinanza invece di chiudersi come un riccio.”*

*Manifesto per un soggetto politico nuovo

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