Flotilla per Gaza: “Attacco di una gravità senza precedenti”

24 Settembre 2025

[red]

Alle 00:50 di questa notte è arrivata la telefonata dal giornalista e skipper di Ultima Generazione, Stefano Bertoldi, che ha denunciato l’attacco subito dalla barca su cui si trova insieme all’equipaggio.

Dal telefono Bertoldi ha riferito (qui il vocale)“I droni che ci seguono da giorni hanno fatto scoppiare un oggetto esplosivo, hanno fatto cadere il fiocco della barca, siamo a rischio della caduta dell’albero. Ho lanciato il Mayday sul canale 16 due volte. Qui si tratta di salvare vite.”

La barca ha subito danni gravi, ma l’equipaggio è salvo per miracolo e al momento di scrittura la navigazione è ancora possibile.

È in questo contesto che Beatrice, Alina e Serena sono oggi al quinto giorno di sciopero della fame davanti a Montecitorio e continuano a essere denunciate semplicemente per richiamare la complicità e il silenzio del Governo Meloni, che non solo si rifiuta di riconoscere il genocidio in corso a Gaza, ma non ha nemmeno preso le minime misure di protezione per i cittadini italiani impegnati in missioni civili e nonviolente a bordo delle Flotille. Paradossalmente, le forze dell’ordine si occupano di loro, mentre ignorano le persone realmente sotto attacco e le situazioni di pericolo che invece dovrebbero essere la loro priorità.

Le richieste dello sciopero della fame sono chiara e urgente:

  • Riconoscere il genocidio in corso a Gaza e agire di conseguenza.
  • Garantire protezione e sicurezza per gli italiani e per tutti i civili a bordo delle Flotille.

Il Governo Meloni porta una responsabilità diretta: l’inerzia e l’indifferenza istituzionale espongono cittadini italiani al rischio concreto di morire sotto attacchi armati. Questo è inaccettabile e vergognoso. Condanniamo con la massima fermezza l’attacco contro civili impegnati in operazioni umanitarie e denunciamo il silenzio del Governo, chiedendo l’intervento immediato delle autorità italiane, della comunità internazionale e delle istituzioni marittime per provvedere alla giusta protezione di vite umane prima che sia troppo tardi.

Il genocidio in corso a Gaza è già stato riconosciuto da diversi organismi internazionali: la Commissione indipendente d’inchiesta delle Nazioni Unite ha pubblicato un’analisi legale di 72 pagine che definisce inequivocabilmente genocidaria la guerra condotta da Israele. Eppure il governo Meloni non ha ancora compiuto un atto formale di riconoscimento. Non è solo una mancanza di coraggio politico: è una scelta che implica complicità diretta. Perché è importante chiamarlo genocidio? Usare la parola genocidio non è retorica. È una categoria giuridica precisa che ha conseguenze enormi:

  • Sul piano internazionale, la Convenzione ONU sul genocidio obbliga tutti gli Stati firmatari a prevenire il genocidio e a non esserne complici. La Corte Internazionale di Giustizia ha già riconosciuto un “rischio plausibile” di genocidio a Gaza, imponendo quindi obblighi anche all’Italia.
  • Sul piano nazionale, la Legge italiana n. 962 del 1967 (“Punizione del crimine di genocidio”) recepisce questi principi nel nostro ordinamento: anche la complicità in genocidio è punita dal nostro codice penale.

Il governo italiano non è un osservatore neutrale. La Camera ha appena rinnovato il memorandum di cooperazione militare con Israele, mentre i deputati di Fratelli d’Italia si sono astenuti e la Lega ha votato contro persino una risoluzione europea – già timidissima – di condanna. Arianna Meloni ha persino accusato la Flotilla di “strumentalizzare” il dolore di Gaza. In tutto questo, non riconoscere formalmente il genocidio equivale a mantenere e consolidare la complicità italiana: politica, economica e militare.

La Flotilla esiste proprio perché i nostri governi sono marci. Alina, Beatrice e Serena, con i loro corpi e il loro sacrificio, sono lì a ricordarcelo e non si fermeranno fino a quando il governo italiano non avrà riconosciuto il genocidio in Palestina, agendo di conseguenza, e fino a quando le persone italiane presenti sulle imbarcazioni non saranno tornate sane e salve. Ultima Generazione sosterrà tutte le persone che sceglieranno lo sciopero della fame come forma di resistenza nonviolenta e di pressione sul governo italiano.

Siamo già 55.000 ad aver scelto questa forma di resistenza attiva, unendoci in una mobilitazione che va oltre gli aiuti umanitari – pur necessari – e mira a compiere un atto politico concreto contro il genocidio in corso. Il boicottaggio colpisce direttamente le aziende italiane che continuano a esportare in Israele, scegliendo il profitto invece di assumersi la responsabilità di non essere complici. Continuare a commerciare significa sostenere, anche indirettamente, un sistema di violenza e oppressione: ecco perché la complicità economica non può più essere tollerata.

L’obiettivo è duplice: incidere sugli interessi economici che alimentano l’occupazione e tentare di forzare il blocco navale imposto da Israele – dove a bordo delle barche ci sono anche persone di Ultima Generazione. Gli Stati europei restano legati a interessi militari ed energetici e non intervengono: spetta a noi cittadini agire, anche da casa propria, attraverso il boicottaggio. Come ricorda Francesca Albanese in Quando il mondo dorme: “Il sistema che reprime i Palestinesi è lo stesso a cui apparteniamo noi.” Questo passa attraverso i supermercati, che vendono prodotti coltivati su terre sottratte ai palestinesi, mentre in Italia comprimono i piccoli agricoltori, trasformando la spesa quotidiana in un lusso.

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