Gli Indesiderabili

1 Luglio 2010

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Pier Luigi Carta

L’Unione europea conta oggi circa 78 000 km di frontiere esterne, e quasi il doppio se si contano anche quelle tra gli stati membri. Tale è il risultato dell’evoluzione dello spazio europeo a capo degli ultimi trent’anni. Le politiche d’asilo e d’immigrazione dei paesi dell’Unione europea hanno conosciuto profonde modifiche dagli anni ’80. Il rilascio dei visti “Schengen” nei consolati europei, L’indurimento delle condizioni d’ammissione a titolo d’immigrazione familiare, il rafforzamento dei controlli alle frontiere esterne o il loro dislocamento nei paesi vicini come il Marocco o l’Ucraina, lo sviluppo dei luoghi di reclusione e la pratica in voga dei “voli di gruppo” per le espulsioni costituiscono diverse tipologie di ostacoli che frenano l’immigrazione legale verso il nostro continente. La Convenzione di Ginevra del 1951 relativa allo statuto dei rifugiati è applicata in modo sempre più restrittivo, con una diminuzione di più della metà delle domande d’asilo depositate tra il 2002 e il 2008 presso l’UE, e forse mai analizzate, come successe nel maggio del 2009, quando parecchi migranti africani e asiatici sono stati fermati dalla marina durante la loro traversata nel mare nostrum, e sono stati respinti verso la Libia senza che i loro dossier fossero stati esaminati. La figura del rifugiato politico ha conosciuto una mutazione importante durante il XX secolo. L’esilio dei rifugiati spagnoli, italiani, ebrei, ungheresi e russi, fu la prova vivente della barbarie degli anni 30 e 40 e in seguito il riflesso delle politiche conseguenti allo scontro tra le superpotenze durante la guerra fredda. Durante tale periodo, fino agli anni ’60, la compassione e la solidarietà erano ancora parole facenti parte del lessico politico e intellettuale; la dimensione morale, intellettuale e politica precedeva e influenzava l’azione istituzionale e non ne era dipendente. Come esempio dello spirito dell’epoca, lo statuto di rifugiato e il diritto d’asilo furono iscritti nella Convenzione di Ginevra nel 1951, come spartiacque che spacca in due il secolo –nel 1948 era già stata creata l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (UNRWA) e il 1951 corrisponde anche all’entrata in azione dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati. L’esilio è rimasta una condizione simbolica del ‘900, e non ha mai perso i suoi connotati, di una esistenza morale e materiale “dislocata”, associata ad una perdita del territorio, dei legami e dei beni. Ma per le società ospitanti, i governi, la organizzazioni internazionali, molto è cambiato dalla fine della Guerra Fredda in poi. L’erranza e l’esilio si fecero più pericolosi, insicuri e stigmatizzati, e la categoria internazionale dei “rifugiati” fu progressivamente assimilata ad uno statuto di avente diritto difficile da conquistare, e sempre più sottomessi a condizioni di restrizione. Divenendo oggi, grazie al fuoco segnalatore appiccato dai politici e alimentato dai media, un fardello per le società e “la miseria del mondo” del quale si è dimenticata l’inobliabile sofferenza dell’esilio. Gli anni 1980-90 sono tempi di novità avvincenti, come gli enormi esodi e i campi africani (il Ruanda per esempio), in questo periodo le immagini delle grandi folle etnicizzate e spersonalizzate, che marciano lungo le strade, raggiungono ogni angolo dell’occidente, che preferisce chiudere gli occhi, e stranamente, le genti europee non riescono a tessere l’evidente collegamento. Sfugge infatti il legame tra il bambino malarico x abitante del campo rifugiati x in Uganda, stampato sulla cartolina dell’Unicef –per il quale l’avvocato y era disposto a sborsare anche 500 000 Lire all’anno- e i mitici “marocchini” che iniziavano ad affollare le nostre spiagge o i nostri parcheggi nei centri commerciali. In quel periodo infatti le solidarietà politiche hanno lasciato il posto all’inquietudine diffusa, suscitate appunto da tali immagini di masse in movimento, di individui dispersi, spaventati, di anonime vittime, percepiti come soprannumerari indesiderabili. Per i bambini con la pancia gonfia coperti di mosche i soldini iniziavano a tintinnare e per gli uomini che si accalcavano alle frontiere iniziavano a suonare gli ACA 47 e gli M 16. In Africa comunque ottenere lo status di rifugiato dopo l’aver ottenuto collettivamente al passaggio d’una frontiera, suppone d’accettare il confinamento nei campi, e con il fenomeno dei campi negli anni ’90, giunge l’epoca delle grandi ONG umanitarie e il Programma Alimentare Mondiale (PAM-WFP) diventa più incisivo. L’identificazione di rifugiato veniva infatti rilasciata non da una carta di rifugiati dell’HCR ma dalla carta del PAM, che designa così gli aventi diritto alla distribuzione delle razioni alimentari all’interno dei campi. Fino agli anni ’70 le possibilità di vedersi confermare lo statuto di rifugiato a causa di guerre, persecuzioni o violenze erano cospicue, ma non era strettamente necessario perché in Europa, soprattutto in Francia, gli immigrati trovavano già un riconoscimento sociale in quanto lavoratori immigrati. Con la crisi economica, la radicalizzazione identitaria e le modifiche alla legislazione sull’immigrazione si è progressivamente criminalizzata la mobilità Sud-Nord e Sud-Sud. Dal 1980 al 2000 le domande d’asilo son passate da un 85% d’accettazione all’85% di rigetti –anche se per la gran parte ancora legittimi ai riguardi della Convenzione di Ginevra. Oggi più di 35 milioni di persone in spostamento non beneficiano del mandato del HCR.
Oggi l’UE trasforma le domande di riconoscimento in una gestione a distanza degli indesiderabili, con il metodo dell’esternalizzazione dell’asilo, applicato già dagli anni ’90, usufruendo dei partenariati coi paesi limitrofi e le nazioni sensibili come il Senegal, Marocco e la Libia. Gli strumenti chiave della nuova politica gestionale dell’asilo politico sono i Paesi Tampone, l’asilo interno, umanitario e temporaneo, con le suddette esternalizzazioni. Il rifiuto dei rifugiati è solo uno dei tasselli, simbolicamente centrali, di una concezione più estesa che rimette in causa la libertà di spostamento dei cittadini. L’universalismo europeo negli anni 2000 nasce nell’arbitrio e nell’incoerenza, ostinandosi nel pretendere di parlare un linguaggio universale, all’interno però di quei 78 000 km di frontiere blindate, disfacendo oggi quello che aveva costruito 60 anni fa, trasformando gli esiliati in una massa informe di indesiderabili.

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