Grazie Tsipras. Da Atene la battaglia continua

16 Luglio 2019
[Marco Revelli]

Alla fine ce l’hanno fatta, gli ottusi custodi dell’ortodossia europea, a riportare al governo della Grecia coloro che l’avevano mandata in rovina. E a far fuori il miglior governo che quel povero Paese avesse avuto da decenni.
Alexis Tsipras perde le elezioni politiche a testa alta, con Syriza al 31,5% (8 punti percentuali e 300.000 voti in più rispetto a quelli di un mese e mezzo fa alle europee, 8 punti percentuali e 350.000 voti in meno rispetto a quelli presi da Nuova Democrazia di Kyriacos Mitsotakis). Lascia un Paese in ampia parte risanato: ripulito senza dubbio dalla corruzione dilagante che l’aveva divorato, i servizi essenziali restaurati, a cominciare da quelli sanitari, un’economia che ha ricominciato a crescere, la disoccupazione regredita di dieci punti dal picco del 28% del 2013, un credito internazionale riconquistato, la parte più povera della popolazione salvata dal baratro in cui sembrava destinata inevitabilmente a precipitare…
Naturalmente, in questo 7 luglio di elezioni, il pensiero ritorna a quel 14 luglio di tregenda di quattro anni fa, quando i Grandi d’Europa (si fa per dire: uomini piccini piccini al cospetto della Storia) decisero di chiedere la testa del Ribelle che aveva osato sfidarne i dogmi addirittura con un Referendum (crimine inescusabile di lesa maestà chiamare a pronunciarsi il proprio popolo), e imposero una “cura” che avrebbe ammazzato un gigante, figurarsi un piccolo Paese già dissanguato dalle cure letali che l’Eurogruppo con i suoi Memoranda gli aveva elargito. Il messaggio era tanto chiaro quanto feroce: arrendersi o perire. E non c’è dubbio che in quel consesso di lupi fossero in tanti a sperare nella seconda opzione: che quel governo morisse. Che l’eresia greca finisse.
Tsipras scelse di non perire, o meglio di non lasciar morire il proprio popolo (come sarebbe avvenuto se avesse alzato la bandiera dell’orgoglio di partito e fatto saltare quel tavolo di tortura, con la liquidità tagliata dalla Bce, le banche fallite, gli interessi sul debito pubblico alle stelle, ecc.). Decise di affrontare i successivi quattro anni destreggiandosi tra le maglie strette di un dispositivo esplicitamente pro-ciclico, pensato per aggravare anziché alleviare il peso della crisi in nome del dogma dell’austerità neoliberista imperante in Europa, combattendo con l’obbligo a un avanzo primario giugulatorio, e nel contempo mantenendo un qualche scudo sulla parte più povera per garantirle i servizi essenziali (energia elettrica, alimentazione, salute).
Che pagasse un costo in termini elettorali era nell’ordine delle cose: soprattutto da parte di quel ceto medio o medio-alto che nel momento della catastrofe si era affidato all’unica forza non compromessa nelle politiche che avevano preparato il caos. E in fondo la flessione subita è relativamente contenuta: Syriza perde appena 150.000 voti rispetto a quelli con cui nel settembre del 2015 aveva vinto (1.780.000 voti contro 1.926.000). Il suo elettorato popolare, l’anima di sinistra del Paese, nonostante la delusione rispetto alle speranze palingenetiche di allora, ha tenuto, ha capito, ha resistito. Lo dimostra il risultato frazionale ottenuto da Varoufakis che dopo aver puntato tutto sul rancore per il presunto “tradimento” di Tsipras, col suo “Fronte della Dissidenza Realistica Europea” (MeRA25) supera di poco la soglia del 3% raggranellando appena 166.000 voti. E lo stesso andamento del KKE, che addirittura perde sia pur millimetricamente (-0,30% rispetto al 2015) ne è una prova. Se le tre formazioni della sinistra Greca si fossero presentate insieme (esercizio accademico, ma utile a mostrare i danni del settarismo velleitario), sarebbero arrivate prime e avrebbero ottenuto il premio di maggioranza necessario per governare: 2.274.584 voti contro i 2.251.087 di Nuova Democrazia che, per parte sua, vince facendo il pieno di tutti i voti di tutte le destre, da quella moderata a quella radicale (ridotta di due terzi l’Unione dei centristi-Ek, più che dimezzata Alba dorata, con un’emorragia di 215.000 voti su 380.000…).
Passata la grande paura, la Grecia della rendita e del privilegio, della corruzione e della speculazione si è serrata a destra mandando al governo un banchiere di scuola ultra-liberista: l’erede della famiglia politica che truccando i conti e depredando la società aveva condotto il Paese nelle mani della Troika, il quale ora – con un programma scritto di concerto con il Fondo monetario internazionale e le grandi Banche d’investimento globali – si appresta a privatizzare tutto il privatizzabile, a rimuovere i vincoli sociali al mercato del lavoro e ai salari, a ributtare indietro sindacati e lavoratori e a restituire gli eterni privilegi ai privilegiati di sempre, a replicare cioè le politiche che conducono alla rovina. I mercati applaudono (a riprova dell’idiozia politica che li caratterizza storicamente), applaudono le cancellerie europee, dimentiche delle truffe commesse a loro stesso danno da quei conservatori in doppio petto che ora si fingono normalizzatori e sono in realtà predatori, fanno da violini di spalla i grandi giornali “indipendenti” allineati con i loro interessati Consigli d’amministrazione e gli indici di borsa, in attesa del prossimo dies irae…
Tsipras avrebbe potuto giocare la carta della demagogia e del “sovranismo” (per usare un termine abusato). Avrebbe potuto mascherare con la voce grossa scelte in realtà obbligate, maledire e ammonire verbalmente come fanno i populisti di casa nostra, per poi piegarsi di nascosto. Ha preferito parlare il linguaggio sobrio della verità e dei fatti. E ancora: avrebbe potuto giocare la carta sempre vincente del nazionalismo, soffiando sul fuoco della questione macedone, reinventando il nemico, sviando l’attenzione dal disagio sociale all’orgoglio nazionale: ha fatto il contrario. Con uno stile da vero statista ha disinnescato quella mina – ha bonificato quella piaga di confine pericolosa – facendo uno straordinario servizio alla causa della pace europea ma pagando un alto prezzo in termini di consenso (anche popolare). Nelle urne di Nuova democrazia c’è anche un bel po’ di Macedonia.
Per tutto questo noi lo ringraziamo. Syriza rimane una forza potente di opposizione in Grecia e in Europa. Il più grande partito di sinistra del continente. Non è che l’inizio. La battaglia continua.

[Da volerelaluna.it]

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